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Edizione commentata e ragionata del pensiero stoico nei cinquecento anni del suo sviluppo in Grecia e a Roma. Attraverso una selezione di testi e frammenti, l'autore fa da guida attraverso gli elementi di continuità e di contraddizione dello Stoicismo, di cui mette in risalto anche gli aspetti meno indagati.
Filosofia come cura dell'anima e sapienza di vita, il cui fine è quello di mostrare agli uomini che il tutto è molto più delle sue parti: che siano schiavi come Epitteto o imperatori come Marco Aurelio, essi devono imparare a vedere le cose dall'alto, con l'occhio dell'universo.
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Information
Topic
PhilosophySubtopic
Philosophy History & TheoryParte prima
Stoicismo antico
I
Caratteri generali
1. L’Ellenismo e la funzione terapeutica della filosofia
Quando lo Stoicismo si affacciò alla ribalta del pensiero greco (negli ultimi anni del IV secolo a.C.) l’Ellenismo era già all’apice e l’impresa di Alessandro Magno1 aveva prodotto i suoi effetti, fra i quali l’annullamento della libertà2 e dell’autonomia delle poleis (città). Nel contempo, aveva modificato profondamente la percezione che i Greci avevano di sé, perché, attraverso le conquiste militari, Alessandro li aveva messi in contatto con civiltà del tutto paragonabili alla loro e per certi versi addirittura superiori. Per questo, subirono una sorta di spaesamento e, di conseguenza, una crisi di identità e di sconforto, tanto grave quanto era marcata la loro autostima. In queste condizioni si rivolsero sempre più spesso e sempre con maggiori aspettative ai filosofi.
Una tale condizione è significativa perché costituisce lo sfondo comune dei movimenti filosofici ellenistici (Epicurei, Stoici e Scettici), i quali hanno tutti una vocazione consolatoria e psicoterapeutica per realizzare la quale dovettero affinare la loro capacità di comunicazione verso un pubblico sempre più ampio e sempre meno specializzato, sottoponendosi a una vigorosa opera di semplificazione del linguaggio e dei contenuti.
In verità, questo processo era in atto già da tempo e non si può associare interamente all’impresa di Alessandro Magno che, comunque, indubbiamente lo accelerò. Una tendenza analoga, ad esempio, si era sviluppata alla morte di Socrate che risale al 399 a.C. In quella occasione, a parte Platone, alcuni discepoli fondarono delle scuole cosiddette socratico-minori – si tratta della scuola dei Cinici, dei Cirenaici e poi anche dei Megarici e dei seguaci della scuola di Elide –, le quali smembrarono il pensiero di Socrate, che pure trovava il suo baricentro nella nozione di psyché, cioè di anima, intesa come la facoltà della ragione e la sede della volontà individuale. Questo pensiero, privato del fondamento antropologico, divenne certamente meno coerente, però fu reso più semplice sia dal punto di vista del contenuto sia da quello della comunicazione, fino ad assumere, a un certo punto, un carattere quasi divulgativo3.
Un’evoluzione analoga subì anche l’Accademia alla morte di Platone nel 347 a.C., allorché i successori, forse incapaci di mantenere i livelli del maestro, limitarono notevolmente la complessità della sua filosofia, eliminando dapprima la dottrina delle Idee4 e il connesso concetto di mondo soprasensibile, e poi riducendo il contenuto della filosofia a quello di fisica, etica e dialettica5 in una codificazione che rimase stabile per tutto l’Ellenismo.
Lo stesso può dirsi del Peritato dopo la scomparsa del suo fondatore, Aristotele6, allorché Teofrasto – primo successore dello Stagirita alla direzione della sua scuola – impose un orientamento di tipo scientifico e materialistico.
2. La fondazione e il consolidamento della scuola stoica
Si potrebbe dire che le scuole ellenistiche, forse con maggiore convinzione di altre, seguirono la tendenza generale della fuga dalla trascendenza, ritenuta una sorta di astrusità, buona solo per complicare la vita. Del resto, questa strada era già stata imboccata da tempo dai Cinici che, soprattutto con Diogene, inaugurarono un atteggiamento di diffidenza o addirittura di ostilità alla cultura7, mostrando che l’esempio di vita nella sua concretezza è assai più efficace e probante di tutte le costruzioni metafisiche di questo mondo. Ora, non è un caso che uno dei primi filosofi che Zenone di Cizio8 – il fondatore dello Stoicismo – incontrò quando giunse ad Atene fosse proprio un discepolo di Diogene, Cratete di Tebe.
«Ecco come avvenne l’incontro di Zenone con Cratete. Di ritorno dalla Fenicia, dove aveva acquistato della porpora, fece naufragio presso il Pireo. Salì allora ad Atene e, avendo ormai trent’anni compiuti, si sedette nel negozio di un libraio. Questi stava leggendo il secondo libro dei Memorabili di Senofonte. Fu colto da tale emozione che domandò dove si potessero incontrare uomini di tale statura morale <come il Socrate di cui parlava Senofonte> […]. Per una felice coincidenza, in quel mentre passava di lì Cratete e il libraio, indicandoglielo a dito, gli disse: “Segui quell’uomo”. Da allora fu discepolo di Cratete, consacrò ogni sua energia alla filosofia»9.
Ma che cosa avrà mai in comune un filosofo sottile e creativo come Zenone – e ancor più i suoi successori – con personaggi così poco colti e concilianti verso la cultura com’erano Diogene e Cratete? La convinzione è che la comunicazione del messaggio filosofico non passa solo attraverso le parole e le strutture del ragionamento, ma anche attraverso l’esempio di una vita coerente10.
Un tale esempio prese corpo nella figura del saggio stoico e nell’idea che anche il Cinismo potesse essere assunto come una specie di via breve alla saggezza per quella sua capacità di scuotere le convenzioni e per la sua interiore libertà e forza comunicativa. Ma la giustificazione che i nostri filosofi danno della figura del saggio e della coerenza fra il dire e il fare è filosoficamente molto raffinata e profonda e va ben oltre gli orizzonti mentali di Diogene e Cratete: Cinici sì, ma non sempre, non a ogni costo e soprattutto cum grano salis:
«Alcuni credono che il pensiero cinico e la vita cinica siano condivisibili dal saggio, posto che si trovi in condizioni che richiedono atteggiamenti siffatti. Altri però negano che ciò debba in alcun modo avvenire»11.
La fondazione della scuola stoica non si arrestò alle posizioni di Zenone, ma si sviluppò con Cleante12 – il quale vi apportò una particolare sensibilità religiosa – e concluse il suo periodo di gestazione con Crisippo13.
Così, quando il mondo dei filosofi, forse per la prima volta nella sua storia, si trovò dinnanzi a un problema drammatico e collettivo e venne chiamato a dargli una risposta, grazie al contributo di questi tre pensatori fu pronto a lasciare i vecchi metodi della tradizione, attrezzandosi per il compito richiesto, sostanzialmente su queste linee fondamentali:
1) aprendo le scuole a un gran numero di discepoli, anche non greci e anche donne;
2) evitando il più possibile le argomentazioni troppo astratte e di difficile comunicazione;
3) concedendo particolare risalto alla morale rispetto alle altre discipline14;
4) ritenendo fisica e logica come strutture di sostegno dell’etica per fondare la morale su un universale concetto di natura15;
5) potenziando gli aspetti consolatori della filosofia, nonché la sua funzione terapeutica dei mali dell’anima;
6) e infine, cercando un collegamento e una consonanza con la religione (mitologia, culto, riti), qualsiasi essa fosse e di qualsiasi popolo fosse espressione16.
Tali iniziative convergevano tutte nel tentativo di dare sicurezza all’uomo attraverso un processo che si potrebbe dire di identificazione con l’intero universo17, perché veramente potesse vivere secondo natura: non la natura bucolica e vicina dei primi filosofi, ma la natura di tutto il cosmo.
La ricerca della “cosmicità” dell’uomo fu anche garanzia della diffusione dello Stoicismo, della sua adattabilità a contesti diversi18 e dell’incisività nel campo sociale e dei costumi19 dovuta anche al continuo rinnovamento a cui si sottopose.
In effetti, a differenza dell’Epicureismo che rimase sostanzialmente immutato nei suoi contenuti dottrinali, lo Stoicismo subì sensibili cambiamenti fin nel corso della sua gestazione20, tanto per l’effetto della libertà di opinione e discussione che vigeva all’interno della scuola, quanto per la continua sollecitazione della critica accademico-scettica, ad esempio del filosofo Arcesilao di cui Zenone fu compagno alla scuola di Polemone. Strabone, che su questo tema è la nostra maggiore fonte di informazione, descrive bene la situazione e il diverso stile dei due contendenti, e nota come la contropolemica difensiva di Zenone poco alla volta si spostò dal vero obiettivo, appunto Arcesilao, al suo referente, Platone, con un salto forse non del tutto legittimo.
«Una volta che la loro separazione fu manifesta, non si risparmiarono i colpi; ma non tutt’e due allo stesso modo: era infatti Arcesilao a colpire Zenone. Quest’ultimo, infatti, pur nello scontro, manteneva un certo stile e una certa dignità, ma non riusciva a far meglio del retore Chefisodoro (costui, infatti, con l’intenzione di criticare Aristotele, finì per dir male di Platone) […]. E poi Zenone, da parte sua, dopo che prese le distanze da Arcesilao, se non fosse sceso in polemica con Platone, a parer mio, non sarebbe stato affatto un filosofo da poco, non foss’altro che per quel modo sereno di fare. Forse Zenone non era all’oscuro delle dottrine di Arcesilao, ma senz’altro non conosceva quelle di Platone: e lo si capisce dagli attacchi che gli mosse»21.
Il confronto polemico fra le due scuole non coinvolse solo la figura di Zenone, ma vide impegnato soprattutto Crisippo, il quale, a quanto sembra, costruì un apparato difensivo del sistema stoico molto saldo e capace di resistere anche alle critiche successive di Carneade:
«Sono portato a credere che non per caso, ma per volontà della Provvidenza divina Crisippo sia venuto dopo Arcesilao e prima di Carneade […]. Crisippo infatti, collocandosi fra loro due, con gli scritti polemici diretti contro Arcesilao, neutralizzò anche i terribili attacchi di Carneade, lasciando, come si usa in caso di assedio, molte prove a difesa dell’evidenza sensibile, eliminando ogni motivo di confusione fra prolessi e concetti, rettificando ciascuna delle due e collocandola nel giusto posto. In tal modo, tutti i tentativi che da allora in avanti si fossero effettuati per scuotere e far violenza alla verità dei fatti sarebbero finiti nel nulla, confutati come argomenti artificiosi e sofistici»22.
Il risultato di questo lungo confronto fu che lo Stoicismo si complicò in alcuni suoi temi e in altri perse coerenza, ma nel complesso su certi punti essenziali raggiunse, perché costrettovi, una straordinaria profondità (ad esempio sul problema della libertà e del saggio).
Inoltre, l’impegno di costante rettifica rese questa filosofia duttile e reattiva a molteplici sollecitazioni, aggiustando di volta in volta i propri contenuti senza mai perdere la sua anima.
Così alla fase originaria (veterostoica), seguì una fase mediana (il Mediostoicismo di Panezio e Posidonio, collocabile fra la metà del II e il I secolo a.C.) responsabile, fra l’altro, dell’introduzione della filosofia stoica a Roma e, con Posidonio (I secolo a.C.), dell’apertura a influenze accademiche.
La terza fase del nuovo Stoicismo (il Neostoicismo di Seneca, Musonio, Epitteto e Marco Aurelio, che si collocano nel I-II secolo d.C.) è espressione dell’ambiente romano, anche se solo con Seneca è in lingua latina. Questo, nel complesso, sviluppa i temi morali della dottrina e trascura quelli legati alla logica e alla fisica, se non per quegli aspetti che giovano alla determinazione della condotta dell’uomo.
3. La semplificazione della filosofia: come è organizzata la filosofia per gli Stoici
Sono gli Stoici stessi a fornirci una traccia per presentare il loro pensiero, anche se non è del tutto certo in quale ordine di esposizione le parti della loro filosofia vadano affrontate.
«Sostengono che il ragionamento filosofico è tripartito: una parte è costituita dalla fisica, un’altra dall’etica, e un’altra ancora dalla logica. Questa divisione risale a Zenone di Cizio nell’opera Il ragionamento23. Altri mettono per prima la logica, per seconda la fisica, e al terzo posto l’etica. Fra questi è Zenone nella sua Logica»24.
Bisogna però riconoscere che almeno l’ordine di valore di tali discipline non è messo in dubbio:
«Costoro sostengono che una parte della filosofia prende il nome di fisica, una parte di etica, e una parte di logica […] A) In modo convincente paragonano la filosofia ad un orto fertile, dove la fisica è simboleggiata dalle piante d’alto fusto, l’etica dai frutti gustosi, la logica dalle salde mura di cinta. B) Altri invece la paragonano ad un uovo: il tuorlo, che per alcuni altro non è che il pulcino, corrisponde all’etica, l’albume, in quanto nutrimento del tuorlo, alla fisica. La logica sarebbe invece il guscio esterno. C) Tuttavia, Posidonio, sulla base della considerazione che le parti della filosofia sono inseparabili fra di loro, e che invece le piante alla vista sono diverse dai frutti e dalle mura, ritiene migliore il paragone della filosofia con l’organismo vivente, per cui la fisica si rapporterebbe alla carne e al sangue, la logica alle ossa e ai nervi, e l’etica all’anima»25.
I tre esempi che ci vengono proposti sono tutti ricchi di significato e permettono di trarre alcune conclusioni:
1) che il fine del filosofare è l’etica26;
2) che la logica ha per lo più un...
Table of contents
- Copertina
- Colophon
- Prefazione
- Stoicismo antico
- Mediostoicismo
- Neostoicismo
- Bibliografia
- Concetti
- Indice dei nomi
- Sommario
- Note