Bioetica
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Nozioni fondamentali

Francesco D'Agostino, Laura Palazzani

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Nozioni fondamentali

Francesco D'Agostino, Laura Palazzani

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Tutto ciò che è possibile oggi, in seguito al progresso inarrestabile della scienza e della tecnologia, è anche eticamente lecito? Non è semplice rispondere a questa domanda, fondamentale per la bioetica. Il volume ricostruisce la storia della bioetica e della sua interazione con il biodiritto e la biopolitica, delinea in modo critico gli orizzonti teorici e le categorie concettuali per interpretare i principali problemi bioetici, articolandoli alla luce delle più recenti acquisizioni tecno-scientifiche. Sono affrontate anche le dimensioni della bioetica sociale, interculturale, non umana e post-umana. L'antologia raccoglie i principali riferimenti normativi sul piano della legislazione e giurisprudenza, nazionale ed internazionale.

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Information

Publisher
La Scuola
Year
2014
ISBN
9788835038764
Parte seconda
Questioni di bioetica
Capitolo primo
All’inizio della vita umana
1. Statuto dell’embrione umano
Il dibattito bioetico sullo statuto dell’embrione umano è emerso in seguito alle recenti possibilità di manipolazione della fase iniziale della vita dell’essere umano, aperte dal rapido avanzamento biomedico delle conoscenze scientifiche e delle applicazioni tecnologiche. È possibile produrre in vitro embrioni mediante la fecondazione assistita con innumerevoli tecniche a scopo riproduttivo o sperimentale; è possibile congelare gli embrioni per conservarli; è possibile diagnosticare precocemente a livello prenatale eventuali patologie ed intervenire (laddove è possibile) per modificare il patrimonio genetico a fini terapeutici o a scopo selettivo; è possibile trasferire embrioni nell’utero della madre biologica o surrogata; si progetta la gestazione in un utero artificiale (la ectogenesi); è possibile clonare embrioni (mediante scissione embrionaria) e si prospetta la clonazione umana per trasferimento di nucleo, a scopo riproduttivo o “terapeutico”; si discute dell’uso di cellule staminali (embrionali e non). L’attuazione o l’attuabilità futura di tali pratiche solleva urgenti interrogativi che rimandano preliminarmente ad un chiarimento sullo statuto del nascituro: entro quali limiti può essere eticamente consentito l’avanzamento delle ricerche scientifiche e delle applicazioni tecnologiche sulla vita umana al suo inizio?
Si tratta di rispondere ai seguenti interrogativi: come è l’embrione umano?; chi è l’embrione umano?; come lo dobbiamo trattare? In base alle risposte a questi interrogativi è possibile distinguere, nell’ambito del dibattito interdisciplinare e pluralistico, due principali linee di pensiero: una linea che nega la dignità intrinseca al concepito (attribuendo solo una eventuale dignità estrinseca) e una linea che giustifica una dignità intrinseca all’embrione umano. Si tratta ora di indagare il fondamento filosofico delle diverse teorie, che portano a divergenti proposte sul piano normativo ed applicativo1.
Nel contesto di una visione empiristica, che riduce la possibilità conoscitiva della ragione umana all’osservazione dei fatti e al calcolo deterministico delle conseguenze di certe cause – nella sfiducia di poter cogliere qualcosa oltre il fatto – l’embrione umano sin dal suo inizio è ritenuto una mera cellula appartenente alla specie umana che si forma casualmente e si moltiplica, secondo la legge causa/effetto, divenendo un aggregato di cellule umane (estese e in movimento), in contatto accidentale le une con le altre, che si differenziano in tessuti ed organi, scambiandosi informazioni biochimiche e genetiche, secondo una complessificazione morfologica, neurofisiologica e funzionale. È questa la visione che presuppone una concezione scientistico-riduzionista, che ritiene che il dato fattuale conoscibile dalla scienza sperimentale sia tutto ciò che esiste, escludendo l’esistenza di ciò che non è conoscibile scientificamente ed empiricamente verificabile (cioè le qualità, le essenze, i fini). A partire da una concezione neopositivista della conoscenza – che riduce la ragione umana a razionalità empirica, strumentale e calcolante, la cui conoscenza di verità è subordinata alla verificazione fattuale –, l’embrione umano è ridotto meccanicisticamente a mero dato oggettuale, materia organica con uno sviluppo estrinsecamente più o meno probabile: la ragione umana non è in grado di leggere nell’embrione alcun segno della sua rilevanza antropologica (della sua identità personale), nessuna indicazione della sua rilevanza etica e giuridica (della sua dignità e soggettività giuridica). Il mero fatto contingente dell’esistenza materiale della vita biologica di un embrione umano, in questa prospettiva di pensiero, non giustifica l’obbligatorietà di alcun comportamento sul piano assiologico e normativo: lo sbarramento esplicitato dalla legge di Hume nell’orizzonte non-cognitivista tra fatti e valori/diritti, tra essere e dover essere, impedisce la considerazione ontologica del nascituro come soggetto e persona. È questo l’orizzonte epistemologico entro il quale si inscrivono le teorie che escludono esplicitamente la soggettività personale all’embrione umano; l’embrione non è “ancora” soggetto, ma lo diviene in qualche momento di sviluppo successivo, delineando diversi “confini” dell’inizio della persona, posticipati rispetto all’inizio biologico della vita dell’essere umano.
Il primo confine della soggettività oggetto di discussione riguarda il momento stesso della fecondazione2. La fecondazione non è un evento semplice, istantaneo e statico, ma un processo dinamico e complesso che si svolge nel tempo (tra le 18 e le 35 ore), dal momento della penetrazione dello spermatozoo nell’ovulo sino allo stadio di singamia (il momento della completa fusione di tutti i cromosomi delle cellule germinali): tale processo è descritto, in modo estremamente dettagliato, dalla scienza, in particolare dalla biologia molecolare. La teoria della singamia ritiene che l’essere umano non sia già bio-geneticamente costituito al momento della penetrazione del gamete maschile nel gamete femminile, ma che si possa considerare l’essere umano un soggetto non prima del momento della completa fusione dei gameti e dei rispettivi pronuclei. L’entità precedente alla singamia viene generalmente denominata, da coloro che abbracciano questa prospettiva, ootide o ovocita a due pronuclei o prezigote per indicare l’ovocita fertilizzato allo stadio pronucleare: si ritiene che, non essendo possibile stabilire l’identità di tale entità in modo univoco, non sia moralmente illecito congelarla o sottoporla ad altre manipolazioni3.
Tale teoria è stata criticata sulla base del fatto che già al momento della penetrazione dello spermatozoo nella zona pellucida dell’ovulo le membrane delle rispettive cellule si aprono e mettono in comune il materiale genetico, iniziando una intensa attività di mescolanza e di interazione. La singamia non costituisce nulla di nuovo (per quanto attiene la strutturazione genetica), bensì è una mera giustapposizione di materiale genetico già esistente e pre-determinato; la penetrazione dello spermatozoo è considerata, in questa prospettiva, l’evento iniziale fondamentale che costituisce in sé l’unità biologica delle due cellule gametiche, ognuna con il proprio patrimonio genetico che veicola le informazioni necessarie per guidare ogni sviluppo successivo; lo sviluppo è un processo vitale umano continuo (che prosegue senza impulsi genetici esterni) ed irreversibile (sviluppandosi in una concatenazione sequenziale di eventi), risalendo al cui inizio è rintracciabile l’origine ontologica della vita dell’essere o organismo umano come un tutto. L’incontro e la stretta interazione dei due gameti umani costituiscono l’identità biogenetica dell’essere umano, radicalmente nuova, unica e irripetibile, che subisce cambiamenti quantitativi ma non trasformazioni sostanziali qualitative durante lo sviluppo diacronico.
Il secondo confine della soggettività personale dell’embrione umano è stato individuato al momento dell’annidamento nella parete uterina del corpo materno, momento nel quale si instaura una strettissima interrelazione cellulare4. In tale prospettiva, l’embrione umano prima dell’impianto sarebbe un mero insieme di cellule, un essere con sola vita organica, appartenente alla specie biologicamente umana: solo con l’impianto si costituirebbe l’essere umano individuale relazionato. Tale teoria è stata criticata, sia sul piano scientifico che filosofico: sul piano scientifico, è stato rilevato che già prima dell’impianto si instaura una relazione biochimica tra l’embrione e la madre; sul piano filosofico è stato osservato come la relazione, pur essendo un elemento indispensabile per lo sviluppo embrionale, non costituisca l’essere, bensì ne presupponga l’esistenza: non c’è relazione (nemmeno fisiologica) se non esiste un essere che si relaziona ad altro da sé. Già nella fase preimpiantatoria il genoma umano dello zigote ha la forza di orientare in modo autosufficiente lo sviluppo in una certa direzione: la relazione con la madre è una delle tante relazioni “estrinseche” – forse una delle più importanti, ma non la sola e non la decisiva – che garantisce le condizioni di sviluppo5.
Un ulteriore confine della soggettività embrione è identificato nel 14° giorno dalla fecondazione, momento della formazione della stria primitiva6. È stato rilevato come il concetto di individualità (intesa nel senso di non possibilità di divisione o unità intrinseca e distinzione da altro da sé) non sia predicabile dell’embrione umano, a causa dei fenomeni (possibili nelle prime due settimane di vita embrionale) della gemellazione monozigotica (la formazione di gemelli con lo stesso patrimonio genetico) e della fusione chimerica (la compattazione ibrida delle cellule di embrioni geneticamente diversi). Secondo questa teoria, possiamo risalire alla nostra identità genetica dal momento della fecondazione, ma non anche all’identità individuale. Prima del 14° giorno non si potrebbe parlare propriamente di individuo umano, data la possibilità che un individuo divenga due individui e che due individui divengano un solo individuo: si tratterebbe di una contraddizione, dato che l’individuo non si può dividere.
Tale argomento, da molti ritenuto convincente e comunque difficilmente risolvibile, presenta alcune lacune. Innanzitutto i fenomeni sui quali si basa il ragionamento sono statisticamente rari: nei casi in cui non si verifica la scissione gemellare (ed è il caso più frequente) la teoria non è in grado di spiegare l’improvvisa trasformazione in individuo di un mero ammasso di cellule in semplice contatto le une con le altre. Oltretutto, il fenomeno della gemellazione è spiegabile anche senza negare l’individualità: gemellazione non significa divisione, bensì duplicazione (o, anche, moltiplicazione) di un individuo in due (o più) individui. In tal senso è l’individuo che “dà origine” ad un altro individuo, che da quel momento inizia un processo vitale con un patrimonio genetico identico: una sorta di gemellazione cronologicamente posticipata. La totipotenzialità delle cellule (la possibilità di dare origine a più individui, se separate, o ad un solo individuo, o chimera, se aggregate) non identifica una fase di indeterminazione, semmai indica la capacità in atto di eseguire teleologicamente un programma determinato di progressiva differenziazione, in assenza di interferenze (quali sono l’isolamento o la compattazione delle cellule).
La formazione del sistema nervoso centrale è il confine della soggettività personale identificato dalla teoria utilitarista7. Nel contesto di una visione che considera quale elemento costitutivo per l’attribuzione dello statuto personale ad un soggetto la capacità di avere interessi, l’inizio della persona è identificato con l’inizio della sensitività, la capacità percettiva di desiderare e preferire il piacere al dolore. Tale teoria ritiene di poter escludere dallo statuto personale tutti quei soggetti che non sono ancora dotati di percettività, o che, pur essendone dotati, soffrono troppo o fanno soffrire troppo gli altri: in tal senso la loro vita non consentirebbe di massimizzare il piacere (in riferimento a sé e agli altri), e non meriterebbe di essere vissuta.
Altri autori identificano l’inizio della soggettività personale nella fase della formazione della corteccia cerebrale, considerata la condizione di possibilità per l’esercizio della funzione razionale. Si tratta di una visione razionalista della persona che ritiene indispensabile (in senso minimale) l’accertamento della presenza delle condizioni neurologiche che consentano lo sviluppo organico dell’intelligenza. È la tesi sostenuta dai teorici del parallelismo tra “morte cerebrale” e “vita cerebrale”8, che identificano la nascita del soggetto umano con la rilevazione dell’attività corticale (specularmente all’accertamento della morte come cessazione della funzione cerebrale) e dai teorici dell’emergentismo9, teoria materialistica che ritiene che dalla combinazione di più parti possano “emergere” proprietà nuove e trascendenti, quali la mente dalla corteccia cerebrale.
C’è anche chi teorizza l’imprescindibilità della ragione, intesa quale esercizio effettivo (in senso massimale), per la definizione della persona. Tale teoria finisce con l’identificare la persona nella fase della vita umana postnatale (escludendo dallo statuto personale oltre all’embrione, anche il feto, il neonato, ma anche il minore), al momento dell’acquisizione dell’autocoscienza10, della manifestazione della capacità di intellezione e di autodeterminazione11 (facoltà di intendere, di volere e di valutare).
Gli approcci utilitaristico e razionalistico (in senso minimale e massimale) hanno una comune radice nel funzionalismo, ossia nella identificazione della soggettività personale con la rilevazione esteriore delle condizioni o dell’esercizio effettivo di determinate funzioni: tale teorizzazione è stata criticata in quanto la presenza di una funzione (sensitiva, intellettiva, autocosciente o volitiva) o delle condizioni per il suo esercizio presuppone l’esistenza di un soggetto; è questa che rende possibile l’esercizio di certe funzioni, non l’esercizio delle funzioni che costituisce l’esserci del soggetto. Le funzioni non sono “il” soggetto, semmai sono “del” soggetto: le funzioni non potrebbero esserci se non fossero manifestate da un soggetto che per natura è in grado di manifestarle; il soggetto preesiste alle funzioni stesse, è la condizione ontologica ineliminabile per la loro estrinsecazione12.
Tutte le teorie che ritengono l’embrione umano un aggregato di cellule privo – almeno fino ad un certo stadio di sviluppo – della soggettività personale (sostenute con argomentazioni diverse) sono criticabili su due piani: a livello epistemologico e filosofico. Sul piano epistemologico è indispensabile ricordare che se la scienza sperimentale si limita metodologicamente allo studio quantitativo e mette tra parentesi le qualità e le essenze13, ciò non significa, ontologicamente, che la realtà (oggetto di osservazione scientifica) sia solo materia o meccanismo, riducibile ad estensione e movimento e che non esistano qualità ed essenze. Proprio la descrizione scientifica del fenomeno biologico umano ci consente di comprendere la sua costitutiva parzialità e la necessità di un rimando ad una riflessione ulteriore: l’osservazione biologica del corpo umano nelle fasi iniziali di sviluppo, ci mostra la necessità di superare la spiegazione scientista e meccanicista e di formulare ipotesi interpretative metabiologiche: il corpo umano, sin dallo stadio zigotico unicellulare, è un organismo umano, un essere vivente della specie umana con un sistema unico, integrato e organizzato (non più scomponibile nei componenti che lo hanno generato, le cellule germinali) che contiene in sé intrinsecamente tutte le informazioni genetiche, individuali e specifiche, orientate teleologicamente e autonomamente all’attuazione del corpo nella sua completezza, nelle diverse fasi dello sviluppo continuo, graduale e coordinato14. C’è un’evoluzione ininterrotta, di progressiva complessificazione, una regolarità ordinata orientata all’attuazione del corpo: non c’è casualità accidentale e serialità causale.
Per spiegare adeguatamente il fenomeno visibile si deve postulare filosoficamente un principio di unificazione organica (che è di più della somma delle parti, cellule, organi, tessuti) e di organizzazione dinamica permanente (che guida lo sviluppo ininterrotto e la progressiva organizzazione). Il corpo umano ha uno sviluppo continuo che non ha salti di qualità o tappe che assumono una particolare significatività. Il salto di qualità è all’inizio e alla fine del processo di sviluppo ininterrotto: non ci sono momenti più o meno rilevanti. Delle due l’una: o tutte le fasi sono egualmente importanti o non lo è nessuna: qualsiasi deviazione da questa logica introduce elementi di arbitrarietà15. Se lo sviluppo è continuo, l’embrione è “già” persona, in quanto, pur non essendo ancora manifestate in atto, tutte e al massimo grado le proprietà, sono presenti le condizioni che costituiscono il supporto necessario del processo dinamico ininterrotto che consentirà l’attuazione di tali caratteri16.
Coloro che negano all’embrione il riconoscimento dello statuto personale, non ammettono che l’embrione abbia un valore e una dignità intrinseca: valore e dignità possono tutt’al più essere conferiti estrinsecamente o occasionalmente all’embrione per diverse ragioni (decisioni autonome o opzioni ispirate a criteri di calcolo dell’utile, da parte di chi è in grado di agire sul piano morale). Nell’ambito delle teorie funzionaliste all’embrione (non ancora persona) non può in alcun modo essere garantito, oggettivamente, il rispetto delle persone: solo le persone “a pieno titolo” (i soggetti in grado di esprimere i propri interessi, in grado di ragionare e di valutare) possono disporne a piacimento o accidentalmente proteggerli. Gli utilitaristi ritengono lecito sopprimere embrioni non senzienti, ma ritengono anche che gli embrioni dal momento in cui hanno sviluppato la sensitività possano essere ugualmente distrutti, usando tecniche indolori (non avendo essi il diritto a vivere, ma solo il diritto a non soffrire inutilmente). I razionalisti (coloro che considerano rilevante la funzione razionale, quale condizione o esercizio attuale) ammettono la possibilità che le persone “in senso stretto” possano liberamente decidere di dare ad un embrione un alto valore morale, in particolari situazioni, per “simpatia” (per compartecipazione al vissuto dell’altro) o per “beneficenza” (per la volontà di fare ciò che è bene per l’altro). In tal senso l’embrione, se non riconosciuto come agente morale, potrebbe pur sempre essere un “paziente morale” nei confronti del quale si ha un qualche dovere, un dovere “prima facie”, derogabile in caso di conflitto: il dovere di tutela non è incondizionato e prioritario, ma può cedere il passo a doveri considerati più importanti in certe circostanze (ad esempio, la volontà di sperimentazione o il desiderio di procreazione ad ogni costo, anche se comporta la distruzione di alcuni embrioni).
In una posizione intermedia sono coloro che, non volendosi pronunciare in merito alla predicabilità della nozione di persona all’embrione, ritengono che l’embrione vada comunque protetto e tutelato in senso forte sulla base della regola aurea: l’embrione, essendo un nostro “simile”, ed essendo destinato intrinsecamente a svilupparsi in un essere umano completo, chiede l’impegno responsabile della nostra libertà. La posizione tuzioristica è condivisa da chi ritiene che il valore della vita umana sia un bene così alto che, anche nel dubbio circa la riconoscibilità dello statuto personale, merita comunque di essere rispettata.
Il riconoscimento dell’embrione come persona giustifica invece la fondazione della dignità intrinseca in senso forte. Lo statuto personale dell’embrione umano è considerato la condizione necessaria e sufficiente per mostrarne la valenza morale e la titolarità di diritti: se la pienezza di vita della persona è il fine intrinseco dell’uomo inscritto nell’embrione, già a tale stadio la vita umana deve essere rispettata in senso forte, al fine di garantirne la piena espressione. In tal senso è fondato il dovere assoluto (senza eccezioni) e gerarchicamente prioritario del rispetto dell’embrione umano, quale espressione della vita dell’essere umano, ove il rispetto va intes...

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