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Antropologia politica degli italiani
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Gli aspetti storici e culturali dell'identità degli italiani, il familismo e la privazione di Stato, la democrazia bloccata e i deficit del sistema politico, il nostro trasformismo alle prese con la globalizzazione, nello sguardo appassionato e lucido di un filosofo. «Nel tanto evocato crepuscolo della Seconda Repubblica siamo già pronti a cambiare d'abito per una terza? Non lo so, ma so di certo che diversi lo diverremo, come altre volte nella storia. Cambiamo, ma senza averlo davvero voluto e senza sapere perché, cambiamo perché la storia ci cambia».
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Information
Nella globalizzazione.
Ci basta il trasformismo?
Ci basta il trasformismo?
La cosiddetta Prima Repubblica non è finita affatto, ma è proseguita, e della sua necrosi stiamo patendo, a tutt’oggi, l’infezione. La dissoluzione dei partiti storici non è stata affatto indolore, ma ha liberato spazio per l’antipolitica, che da sempre è stata un terreno favorevole per l’emersione di outsider populisti capaci di colmare le voragini lasciate aperte dalle crisi dei partiti classici. La politica non sopporta il vuoto e, qualunque sia il modo, lo rioccupa. Oggi in parlamento il partito più antico è rappresentato dalla Lega Nord. Detto questo, quanto la dissoluzione dei vecchi partiti ha modificato i blocchi sociali? Dare un’adeguata risposta a questi interrogativi è complesso, ma credo si possa dire che, fatte salve alcune rigidità ideologiche – gli opposti estremismi – e le altrettanto abituali transumanze, quel che in Italia, unitamente alla Lega, ha costituito l’irruzione del diverso è stata la nascita di un partito personale. Un partito però che, lungi dal bipolarizzare il sistema, ha diviso radicalmente il campo: o con me o contro di me. Perciò, mentre dopo Tangentopoli pareva si creassero le condizioni per una democrazia dell’alternanza, il sistema della rappresentanza si bloccava di nuovo, dal momento che le sorti personali del leader venivano a coincidere con i destini della democrazia. Di qui la corsa a una reciproca delegittimazione che ha reso la cosiddetta società civile sempre più disillusa dai propri rappresentanti e perciò sempre meno motivata alla partecipazione politica. E quand’anche volesse scegliere, non trova alternative credibili. Ciò accade perché l’attuale personale politico è in larga parte materiale residuo della Prima Repubblica e, anche se qualificato, non può essere percepito come nuovo e, meno che mai, diverso. Questo spiega perché gli italiani tendono a separare le loro sorti personali dalla politica, e cercano di risolvere i problemi nel modo in cui l’hanno sempre fatto e lo sanno fare: si riattivano le reti familiari e si fa affidamento sui legami di solidarietà.
D’altra parte, la platea dei nuovi poveri come potrebbe reggere alle crisi se priva di questi legami? Oggi, paradossalmente, non sono i giovani a sostenere i vecchi, ma sono le pensioni dei vecchi a mantenere i giovani. Proprio quei giovani da lavoro precario che non si riesce a capire come possano costruirsi le pensioni contributive che li dovrebbero mantenere da vecchi. È del tutto evidente che, a fronte di un sistema politico-sociale inceppato, si rimetta in gioco l’antica indole adattativa degli italiani.
E allora, quali le nostre risorse? Il darsi da fare (siamo industriosi); l’abitudine ad adattarsi al peggio; la capacità di costruire reti solidali (siamo generosi). Ma a fronte di quest’adattività positiva vi è anche un ragionare a breve, una facile disponibilità ad accettare compromessi, alimentando per tal via la forza di poteri corruttivi, che minano alla radice la convivenza democratica. Come direbbe Guicciardini, c’è un eccessivo interesse al proprio particulare. Ma per mentalità o per necessità? Certo c’è un’Italia che a tutto questo non si allinea e reagisce, ma c’è un’Italia più numerosa che da sempre facilmente si appiattisce. Il blocco moderato siamo noi.
Nel tanto evocato crepuscolo della Seconda Repubblica siamo già pronti a cambiare d’abito per una terza? Non lo so, ma so di certo che diversi lo diverremo, come altre volte nella storia. Cambiamo, ma senza averlo davvero voluto e senza sapere perché, cambiamo perché la storia ci cambia. Guicciardini ha ragione: come dire, è la forza delle cose. Questo è il nostro trasformismo. Ci cambierà ancora – anzi ci sta già cambiando – la globalizzazione, ma a questo punto bisogna capire che ruolo stiamo giocando in essa, possiamo giocare come popolo e – perché no – come nazione. Allo scopo, bisogna comprendere se la nostra indole trasformista, che nel bene e nel male ci ha finora giovato, ci basta ancora. Ma è già un buon inizio renderci conto – e senza veli – di che pasta siamo fatti davvero.
Nella stessa collana
1. Franco Loi, Educare la parola, a cura di Giuseppe Mari
2. Enrico Berti, Invito alla filosofia
3. Lorenzo Montanari, Pronto soccorso dell’italiano
4. Antonio Paolucci, Arte e bellezza, a cura di Carolina Drago
5. Ste...
Table of contents
- Copertina
- Frontespizio
- Colophon
- Sommario
- L’identità degli italiani: storia e cultura
- Familismo
- Una democrazia bloccata
- Nella globalizzazione. Ci basta il trasformismo?