Linee guida per i nidi e scuole dell'infanzia
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Linee guida per i nidi e scuole dell'infanzia

Costruire la qualità

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Linee guida per i nidi e scuole dell'infanzia

Costruire la qualità

About this book

Occuparsi di qualità, nell'ambito dei servizi educativi alla prima infanzia, si configura non semplicemente come una priorità pedagogica, quanto piuttosto come una responsabilità professionale ed etica che, in un processo partecipativo e dinamico, sappia diventare reale espressione della cura che gli adulti rivolgono ai bambini e alle loro famiglie. Il libro, nel pieno rispetto delle indicazioni nazionali e dei suggerimenti proposti dalla letteratura internazionale sull'argomento, si propone dunque come un supporto efficace, in grado di migliorare i processi di progettazione/valutazione e di offrire quegli strumenti pratici utili alla realizzazione di concreti percorsi di ricerca-intervento nei nidi e nelle scuole dell'infanzia. Il testo si sviluppa in tre parti: la prima, di ordine metodologico, è finalizzata a illustrare la ricerca; la seconda, di carattere culturale, è volta a individuare gli snodi più fecondi connessi al tema della qualità (qualità come cura, spazio estetico, ambiente naturale o di apprendimento); la terza, di ordine istituzionale, contiene il documento di sintesi del progetto, nonché le schede di ricerca e il glossario.

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Information

Parte seconda
Andrea Bobbio - Elisabetta Musi
Introduzione
I saggi che compongono questo capitolo rappresentano un corpus teorico eterogeneo, che raccorda ambiti differenziati del sapere sull’educazione: dallo sguardo fenomenologico ed ecologico sulla cura, alla didattica, fino alla media education e l’arte sacra. Uno sguardo così ampio e prospettico trova la sua giustificazione nell’estensione e nella profondità dei processi formativi, che dilatano il loro sguardo ben oltre i saperi codificati nelle discipline e nei campi di esperienza. Globalità e integralità dei processi educativi, infatti, significa attenzione a tutto l’essere umano nei diversi domini: culturali, sociali, etici e cognitivi; ambiti che si umanizzano proprio quando sono attraversati da un’intenzionalità etica e da una ricerca di senso1.
Il fil rouge che lega i diversi saggi, riguarda inoltre il rapporto del bambino con gli ambienti della sua formazione, con la qualità delle relazioni affettive che costellano la sua esperienza vitale e quindi con la sostanza etica, estetica e spirituale espressa dalla progettualità pedagogica dell’adulto educatore e dai suoi dispositivi educativi. Ciò fa sì che, nella riflessività educativa, si saldino i piani dell’idealità – il valore della persona e dei suoi diritti di animal educandum – con quelli di carattere strumentale e metodologico, in un rapporto di reciproca legittimazione e riconoscimento. Anche la qualità delle mediazioni (didattiche, metodologiche, curricolari, tecnologiche) che accompagnano il bambino nella sua scoperta del mondo, infatti, esprimono il senso della cura e dell’impegno, così come, egualmente importanti, sono i valori dell’ascolto della relazione, in cui si riflette l’attenzione e il rispetto per il bambino e la sua sensibilità. L’ecologia della cura diviene allora un elemento di qualità del processo educativo: raccorda l’esperienza della creaturalità umana (sì spirituale, ma anche biologica, biofilica, etologica) con i tratti della cultura e della parola; connette i mondi della famiglia (con tutte le sue potenzialità ed i suoi limiti) con quelli dei servizi educativi; istituisce nessi tra ambienti di apprendimento differenti (naturali e artificiali) ponendosi quale istanza riequilibratrice tra ipo ed iper stimolazione (non sempre educativa).
L’itinerario di lettura di questo secondo capitolo si snoda quindi a partire dal concetto di ambiente (come sfondo ove si sviluppano concretamente tutte quelle transazione che permettono la crescita e lo sviluppo) in una visione che ne comprende prospetticamente tutte le sue estese configurazioni semantiche: di ambiente naturale (E. Bardulla); di ambiente sociale (P. Triani); di ambiente etico e estetico (M. Visioli); di ambiente virtuale (D. Felini); di ambiente affettivo (E. Musi); di ambiente didattico (M. Antonietti).
Ecco allora emergere, nella lettura dei saggi che seguono, un panorama unitario e congruente, ove i gesti, gli sguardi e gli atteggiamenti della cura, impalpabilmente celati nelle pieghe del quotidiano, raccordano i diversi saperi simbolici nella loro qualità di linguaggi universali, capaci di memoria e di trascendenza. La prospettiva, tuttavia rimane quella evangelica, dello “sguardo-bambino”: se non ritornerete come bambini non entrerete…: come a dire che la strada verso la qualità si traccia e si documenta dal basso, attraverso la valorizzazione dei diritti sottili del bambino: di esplorazione, di avventura, di scoperta, di accompagnamento, di bisogno di senso e di significato della vita, nella sua imperscrutabilità e nei suoi rischi.
1 Scrive a questo proposito Nicola Paparella «possiamo considerare il principio dell’integralità educativa secondo quattro livelli: gli atti, i processi, i contenuti e le prospettive: [per quanto riguarda i primi] significa farsi carico del fatto che l’uomo è, sì, anche esposto agli effetti della imitazione, del condizionamento, dell’ammaestramento, ma è principalmente chiamato ad esercitare la conoscenza, la volontà, la moralità, la libertà, il suo anelito al divino…; integralità dei processi vuol dire attivazione di tutte le risorse della persona, tenendo presente che i gesti dell’uomo esigono dei significati (senza i quali mancherebbe di senso e di pregnanza), che l’attività chiede di farsi esperienza, che l’apprendimento esige di farsi occasione di crescita nella libertà. Il richiamo alla integralità dei contenuti (ossia alla totalità del sapere, alla cultura, alla competenza globale della persona ecc.) serve a mettere al riparo da ogni eccesso che poi inevitabilmente si tradurrebbe in forme di esclusione o di obliterazione […], mentre integralità delle prospettive vuol dire tenere sempre untiti e compresenti il piano della natura e quello della cultura, l’arte e la scienza, la prospettiva naturale e quella soprannaturale, la fede e la libertà, la libertà e la virtù». (N. Paparella, Istituzioni di pedagogia, Pensa Multimedia, Lecce 1992, p. 34).
Enver Bardulla
Educare a prendersi cura dell’ambiente nella scuola dell’infanzia
1. Un tema a lungo ignorato
La produzione scientifica sull’educazione ambientale rivolta ai bambini dai tre ai sei anni è notoriamente molto scarsa, al punto che la denuncia di questo stato di cose può considerarsi una costante dei pochi contributi dedicati specificamente all’argomento. I loro autori richiamano peraltro l’attenzione sul carattere paradossale di questo dato, in stridente contrasto con l’enfasi generalmente posta sulla necessità di iniziare il più precocemente possibile l’azione educativa in favore dell’ambiente: una necessità sulla quale i risultati della ricerca sui principali fattori in grado di incidere sulla formazione degli atteggiamenti, valori e comportamenti richiesti per un’inversione di tendenza nel rapporto con l’ambiente naturale non sembrano lasciare alcun dubbio1.
Non si può tuttavia non riconoscere che, fermo restando il paradosso, le cause della carenza rilevata sono molteplici e tutte facilmente comprensibili. Per un verso, esse attengono alle difficoltà intrinseche nelle quali si imbattono sia la psicologia ambientale che quella dello sviluppo nell’affrontare i problemi riguardanti il rapporto dei bambini con l’ambiente naturale e costruito. Non è certo un caso se, dopo la pubblicazione nel 1955 del volume di Piaget su La rappresentazione del mondo nel fanciullo2, è dovuto trascorrere parecchio tempo prima che il tema venisse ripreso, per di più solo da uno sparuto gruppo di psicologi. Per l’altro, sono riconducibili al modo stesso in cui sono state impostate, nel corso dei decenni, le strategie d’intervento educativo in materia di ambiente. Basti pensare al ruolo decisivo inizialmente attribuito alla produzione e diffusione di conoscenze sul funzionamento normale e patologico dei sistemi naturali, ed alla conseguente finalizzazione dell’azione educativa all’acquisizione di competenze ecologiche da parte dei ricercatori e dei tecnici a tal fine necessari e da parte dei soggetti titolari di decisioni in grado di compromettere la salute dell’ambiente.
In quanto scienza di recente istituzione e che richiede preliminarmente la padronanza delle discipline aventi per oggetto componenti e fattori dei sistemi naturali, lo studio dell’ecologia non può che collocarsi in uno stadio avanzato della formazione scolastica. Quand’anche affrontato nella scuola dell’obbligo, come strategia didattica per un insegnamento integrato delle scienze, presuppone pur sempre negli allievi il conseguimento di un livello di sviluppo cognitivo che non è certo alla portata del bambino della scuola dell’infanzia.
In una fase dominata dall’idea che all’origine della crisi vi fosse soprattutto l’ignoranza e che solo la scienza fosse in grado di fornirne la soluzione e di costituire una guida sicura per i comportamenti da adottare, non vi erano del resto alternative. Il fatto stesso che a lanciare per primi l’allarme fossero stati gli scienziati non poteva che rafforzare questa interpretazione. Date queste premesse, la risposta non avrebbe potuto venire dal basso ma soltanto dagli esperti, a maggior ragione se si considera che, agli inizi, l’attenzione era focalizzata principalmente sugli episodi di inquinamento più drammatici e macroscopici, piuttosto che sull’inquinamento diffuso. La stessa urgenza con la quale si riteneva fosse necessario intervenire per evitare la catastrofe3 contribuiva senza dubbio a favorire un’impostazione settoriale e specialistica dell’intervento educativo.
Anche nella fase successiva, una volta acquisita la consapevolezza dei limiti dell’approccio iniziale e della necessità di realizzare, in tempi medio-lunghi, tramite l’educazione, il cambiamento di mentalità che solo avrebbe reso possibile il superamento di una crisi di origine fondamentalmente culturale, i progetti di educazione ambientale e gli studi ad essa relativi continueranno a trascurare la fascia d’età che qui ci interessa.
Ancora una volta, si è trattato di una scelta in certo senso obbligata ed influenzata da una pluralità di fattori. Tra questi, un ruolo di primo piano è stato svolto dalla tendenza a concepire l’azione educativa sulla scorta del modello di soluzione razionale dei problemi fatto proprio dai documenti internazionali, la Carta di Belgrado del 1975 e la Dichiarazione di Tbilisi del 1979. Un modello il cui merito era appunto quello di poter fungere da guida per il lungo percorso richiesto per la formazione di cittadini consapevoli delle proprie responsabilità verso l’ambiente e desiderosi di adoperarsi attivamente per farsene carico. Prendendo le mosse dalla presa di coscienza dell’esistenza del problema, come condizione preliminare della conoscenza del medesimo e delle possibili soluzioni, questo modello mirava poi a far acquisire gli atteggiamenti ed i valori in grado di motivare l’impegno personale e, successivamente, le competenze e abilità richieste per attuarlo, per concludersi con la partecipazione diretta o indiretta (tramite i propri rappresentati negli organismi politici), alle iniziative in favore dell’ambiente.
Quali che fossero le intenzioni dei creatori del modello, sta di fatto tuttavia che, nelle sue applicazioni curricolari, esso ha favorito il diffondersi di una concezione dell’educazione ambientale organizzata secondo una progressione lineare. Per conseguire il risultato finale, essa privilegiava, nelle diverse fasi di sviluppo/scolarità, alcuni degli obiettivi desunti dallo schema sopra indicato. Così, nell’educazione prescolare e nella scuola primaria, l’accento doveva essere posto sulla creazione di consapevolezza e atteggiamenti, mentre nella scuola media a questi due obiettivi si aggiungevano anche le abilità, e, nella secondaria superiore, si doveva puntare soprattutto su abilità, atteggiamenti e partecipazione4.
All’adozione di un modello lineare concorreva del resto anche la tendenza a ritenere che sull’obiettivo finale – l’adozione, da parte dei destinatari dell’intervento educativo, di comportamenti responsabili nei confronti dell’ambiente – non potessero esservi dubbi. Si riteneva, infatti, che la scienza potesse fornire al riguardo indicazioni incontestabili. Ed è questo senz’altro un convincimento che, complice anche la latitanza dei pedagogisti ed il fatto che ad occuparsi per primi di educazione ambientale sono stati soprattutto studiosi di estrazione scientifico-naturalistica, ha favorito non solo il prevalere di una concezione dell’intervento educativo di tipo specialistico e settoriale ma anche una visione distorta della stessa educazione.
Espropriata della responsabilità di individuare i fini e gli obiettivi da perseguire, questa doveva semplicemente farsi carico della scelta dei mezzi più idonei allo scopo, attingendo principalmente alle conoscenze fornitele dalla ricerca psicologica. A dire il vero, non sono mancate, neppure nella fase iniziale, analisi volte a sottolineare l’irriducibilità dell’educazione ambientale ad intervento di carattere settoriale. Ma si è trattato di voci isolate, prive d’incidenza sulle strategie elaborate dagli organismi internazionali che hanno dettato la linea per gli interventi in questo ambito.
Ho trattato diffusamente del superamento di quest’approccio in altra sede5. Mi limito quindi a segnalare come ad esso abbiano contribuito sia le posizioni assunte dall’ecologia profonda e le riserve da più parti avanzate sul ruolo svolto dalla scienza, tanto nella determinazione quanto nei tentativi di superamento della crisi, e, più in generale, la messa in discussione delle strategie fondate sulla razionalità da parte del pensiero postmoderno. E ad affermare come a questo filone si possano ricondurre anche le posizioni di chi ritiene che lo sviluppo di atteggiamenti e comportamenti di cura nei confronti dell’ambiente possa venire solo da un’educazione fondata soprattutto sull’arte e sulla letteratura6: anche questo un punto di contatto con le tendenze attualmente in voga in pedagogia e, al tempo stesso, una conferma indiretta della sovrapponibilità tra educazione ambientale ed educazione tout court.
Non meno rilevanti, per il discorso che vado facendo, sono gli sviluppi successivi. Quelli, cioè, costituiti dalla valenza ideologico-politica progressivamente assunta dalla problematica ambientale e dal dibattito innescato dal tentativo di conciliare la salvaguardia dell’ambiente con le esigenze dell’economia: un tentativo che, sul versante dell’educazione, si è tradotto nel passaggio, tutt’altro che pacifico, dall’educazione ambientale all’educazione per la sostenibilità.
Le ripercussioni di entrambi questi sviluppi non sono state di poco conto e non possono certo essere ignorate da chi voglia intraprendere oggi un’azione educativa sulle tematiche ambientali. Hanno infatti affossato la speranza, nutrita da m...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Introduzione
  5. Parte prima
  6. Parte seconda
  7. Parte terza
  8. Glossario
  9. Appendice
  10. Sommario
  11. Nella stessa collana
  12. Collana Didattica
  13. Collana Saggi
  14. Collana Orso blu
  15. Collana Profili
  16. Collana Interviste
  17. Collana Legislazione
  18. Collana Biblioteca
  19. Classici del pensiero
  20. Collana Alfabeto dell’educare
  21. Collana Maestri
  22. Collana Emmaus