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Insorgere per la democrazia

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Insorgere per la democrazia

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Fra la cronaca di oggi e la storia di ieri la prima ricostruzione di un processo di democratizzazione che esige compimento. La fine dell'Unione Sovietica, la rivoluzione arancione, il regime di Janukovic, le proteste del Majdan, il rischio di una guerra civile. Una trama di differenze culturali e linguistiche interrogate nella loro profondità. La nazione è una comunità immaginata; questa è la sola prospettiva entro cui leggere i recenti avvenimenti. L'insurrezione, le elezioni, il nuovo contesto politico. Disegnando le tappe di questo processo, l'autore riflette sull'attualità nella consapevolezza di un'Europa sempre troppo fragile. Il Majdan è diventato un luogo di sperimentazione di una cittadinanza diversa, di una società in cui vige una solidarietà fraterna e in cui tutti collaborano alla creazione di una società piÚ democratica. Il sogno era mettere fine allo strapotere degli oligarchi per creare un Paese piÚ giusto economicamente e socialmente.

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Capitolo primo
Il movimento nazionale ucraino
Il nazionalismo ottocentesco
Il termine “nazione” cambiò radicalmente significato a seguito della rivoluzione francese. La democratizzazione ispirata dalla filosofia illuminista comportò che il potere politico non potesse più basarsi solo su una presunta investitura divina dall’alto, ma anche su una dal basso, da parte del popolo e di una comunità politica unitaria: la nazione. All’inizio del 1800 nell’Europa occidentale Stati come quello francese, inglese e spagnolo sembravano abbastanza coesi e omogenei: nei secoli precedenti le differenze religiose e linguistiche erano state spesso appianate da sanguinose guerre e rivolte di cui si fingeva di non avere memoria. Nel resto d’Europa invece gli organismi statali erano o piccoli Stati regionali o grandi imperi multinazionali, che univano al proprio interno diverse nazioni. Il principio democratico e l’idea che l’umanità fosse divisa in comunità nazionali avanzarono a braccetto nel corso dell’Ottocento: nacquero così i movimenti nazionali europei che lottavano per l’unità, per la “liberazione dalla dominazione straniera” e per la costituzione di Stati-nazione. Similmente a quanto avveniva fra gli intellettuali italiani e polacchi, anche gli studiosi di storia, letteratura e tradizioni popolari dell’Ucraina iniziarono a sostenere l’esistenza di una nazione ucraina, divisa fra due dominazioni straniere: l’Impero Russo e quello Austro-Ungarico.
Particolarmente importanti in questo processo furono gli scrittori e soprattutto gli storici, che si incaricarono del compito di rintracciare le origini della storia nazionale nei secoli passati, dimostrandone così la sua esistenza e il suo diritto a rivendicare l’indipendenza su un determinato territorio. Nello Stato multinazionale asburgico il nazionalismo ucraino fu parzialmente incoraggiato contro i polacchi, che erano più ricchi e pericolosi degli ucraini, mentre nell’impero zarista, che in quegli stessi anni vedeva la nascita del nazionalismo russo, fu presa la decisione di reprimere il movimento ucraino e la libertà di espressione. Furono vietate le pubblicazioni in lingua ucraina prima con la circolare Valuev (dal cognome del ministro degli interni, 1863) e successivamente con l’editto di Ems (1876). La repressione colpì le associazioni culturali che promuovevano la cultura ucraina e le idee indipendentiste, come la Confraternita dei Santi Cirillo e Metodio, nella quale militava Taras Ševčenko (1814-1861). Ex servo affrancatosi grazie alle sue doti pittoriche e compositive, Ševčenko divenne celebre con la sua raccolta Kobzar (Il bardo), ispirata alla tradizione dei bardi ucraini, che cantano accompagnandosi con la kobza, uno strumento a corde simile a un liuto. Fra gli altri attivisti della confraternita vi fu anche lo storico Nikolaj Kostomarov (1817-1885), uno dei primi a sostenere la separatezza dei popoli ucraino e russo. Kostomarov aveva a lungo studiato la storia dei cosacchi ucraini: questi mitici contadini guerrieri erano nati nel XV secolo dall’opposizione all’avanzata polacca nelle steppe del fiume Dniprò, lungo il quale essi fondarono un’entità politica indipendente, chiamata “etmanato” (dal nome del principe dei cosacchi, l’etmano). Nell’Ottocento i cosacchi furono scelti come progenitori dal movimento nazionale ucraino, che ne apprezzava le tante insurrezioni per l’indipendenza tanto contro i polacchi quanto contro i russi.
Quella cosacca fu idealizzata come una società egualitaria e in parte democratica, contrapposta alla servitù della gleba che era stata introdotta solo dopo che la Russia riuscì a sottomettere i nobili cosacchi nel corso del 1700. Sebbene sia improprio considerare i cosacchi una nazione in senso moderno, le loro vicende si prestarono bene a questo tipo di idealizzazione romantica. Queste semplificazioni furono del resto proprie di qualsiasi narrativa nazionale del XIX secolo: basti pensare all’importanza del mito della Roma antica per l’Italia.
Un ruolo centrale nella vicenda nazionale fu poi giocato dallo storico Mychajlo Hruševs’kyj (1866-1934): dopo essersi laureato nel 1890 alla facoltà di Storia dell’università di Kyïv, egli si dedicò anima e corpo alla scrittura di un’imponente opera in dieci volumi, nella quale ricostruiva le vicende dei territori ucraini dall’antichità fino all’Ottocento. Nel 1894 divenne professore ordinario all’università di Leopoli, capitale della Galizia, allora parte dell’impero austriaco. Lì proseguì la sua attività scientifica e civile dando nuovo impulso alla Società Scientifica “Ševčenko”, che era stata fondata a Leopoli nel 1873 per celebrare il poeta e diffondere la lingua e la letteratura ucraine.
Nella Galizia austriaca il sentimento nazionale ucraino era assai più diffuso nella popolazione anche grazie all’azione dei preti uniati cattolici. L’Ucraina era stata cristianizzata dal principe Volodymyr I (958-1015) al tempo della Rus’ di Kyïv: la Rus’ era una federazione di principati commerciali che nel corso del medioevo dominò le terre delle attuali Ucraina e Russia. Kyïv cadde sotto il peso delle invasioni mongole e tatare nel 1240 e una serie di piccoli principati si divisero le terre ucraine. L’espansione del regno polacco nel corso del 1500 portò con sé anche a un riavvicinamento della chiesa ortodossa al cattolicesimo: con l’Unione di Brest (1596) una parte del clero ucraino riconobbe l’autorità del Papa ma mantenne il rito ortodosso, dando vita alla Chiesa uniate ucraina, che raccolse fedeli soprattutto nelle regioni ucraine occidentali. I preti uniati erano istruiti nei seminari italiani o austriaci, dove apprendevano anche le mode politiche occidentali, come il nazionalismo. Tornati come parroci nella Galizia austriaca, essi furono i più importanti vettori di diffusione dell’idea nazionale ucraina, che, anche per questa ragione, è così radicata nelle regioni occidentali.
Hruševs’kyj lasciò Leopoli dopo la rivoluzione del 1905: in Russia si stava avviando una democratizzazione dell’impero che a molti sembrava sostanziale. Lo storico padre della nazione ucraina decise quindi di tornare a Kyïv per giocare un ruolo più attivo nei tentativi di conquistare l’indipendenza nazionale.
Guerre e rivoluzioni
Lo scoppio della Prima guerra mondiale nel 1914 causò un’accelerazione della disgregazione degli imperi russo e austro-ungarico: entrambi cercarono di utilizzare il fattore multinazionale contro l’altro, ma il risultato fu che ambedue gli eserciti ressero molto male alle difficoltà della guerra e i soldati cercarono di ritornare a casa o di riordinarsi in formazioni autonome a sostegno delle nuove nazioni che sembravano emergere sullo scacchiere politico.
L’impero zarista fu il primo a cedere sotto la spinta della rivoluzione liberal-democratica del febbraio 1917: mentre a Pietrogrado Kerenskij e Lenin si contendevano il potere, in Ucraina l’organo più influente era la Rada (“consiglio”, è l’equivalente ucraino del termine russo “soviet”) centrale di Kyïv, dominata dalle forze del movimento nazionale ucraino, che erano principalmente di ispirazione socialista. Kyïv non dichiarò subito l’indipendenza, ma fece precise richieste per l’autonomia nazionale che si temeva non venisse garantita dal governo di Pietrogrado. Quando i bolscevichi di Lenin presero il potere in Russia, la Rada guidata da Hruševs’kyj dichiarò l’indipendenza della Repubblica popolare ucraina (7 novembre 1917). Mosca non accettò l’indipendenza ucraina e prese a riorganizzare i comunisti ucraini, che erano diffusi soprattutto nelle regioni industrializzate dell’est (Charkiv, Ekaterinoslav oggi chiamata Dnipropetrovs’k e Juzovka oggi Donec’k). Lo scontro tra le due formazioni fu interrotto dall’occupazione dell’Ucraina da parte degli imperi centrali a seguito della pace di Brest-Litovsk firmata dai bolscevichi: con l’appoggio degli occupanti, che erano interessati alle risorse alimentari ucraine, prese il potere il tenente generale Pavlo Skoropads’kyj. Di origini cosacche ma fino ad allora sordo al richiamo del nazionalismo ucraino, Skoropads’kyi abbracciò l’idea di uno Stato nazionale solo alla sua salita al potere; il suo governo era un’oasi felice se comparato agli sconvolgimenti sociali della Russia bolscevica, ma l’economia del Paese era subordinata all’approvvigionamento degli eserciti tedesco e austriaco che continuavano la guerra sugli altri fronti. A seguito della sconfitta di Vienna e Berlino nella guerra mondiale, l’Ucraina tornò in uno stato di guerra civile. Lo scontro vedeva contrapporsi le forze nazionali ucraine guidate da Symon Petljura, i bolscevichi, i bianchi di Denikin e Wrangler e le forze anarchiche guidate dall’operaio Nestor Machno.
Sarebbe troppo complicato e lungo seguire le alterne vicende della guerra civile in Ucraina, che si concluse con la vittoria finale dei bolscevichi sulle forze congiunte di Petljura e della neonata repubblica polacca. È invece fondamentale sottolineare che la forza decisiva in questo scontro fu quella dei contadini: essi costituivano la maggioranza assoluta della popolazione e determinarono con il proprio appoggio il successo di questa o di quell’altra fazione. Il desiderio principale dei contadini era tornare a lavorare la terra autonomamente, senza interferenze da parte di organismi esterni o statali. Come ha illustrato Andrea Graziosi, il favore delle masse contadine fu in ultima istanza conquistato da Lenin, che con la NEP (Nuova politica economica) concedeva loro un’ampia autonomia. La NEP costituiva certo una contraddizione della teoria politica dei bolscevichi, ma questa concessione di libertà e persino di forme di libero mercato fu ritenuta necessaria da Lenin per conquistare il favore dei contadini e per ridare fiato all’economia dopo le requisizioni forzate di derrate alimentari note come “comunismo di guerra”. Si trattava di un compromesso che era destinato a essere rivisto da parte dei comunisti, ma le masse contadine ucraine non immaginavano la provvisorietà della situazione.
Il movimento nazionale ucraino si era dimostrato troppo debole per imporsi: esso era forte soprattutto fra gli intellettuali e nella Galizia austriaca, dove era nata la Repubblica popolare ucraina occidentale poi riunita brevemente al resto del Paese nel dicembre 1918. Ma Petljura non seppe conquistare le masse contadine e finì addirittura per cedere la Galizia alla Polonia in cambio di un’inutile alleanza militare contro Mosca. La ragione stava nel fatto che le masse contadine, seppure parlassero prevalentemente ucraino, non erano ancora state “nazionalizzate”, ovvero non si sentivano parte della nazione ucraina: se interpellati i contadini si definivano semplicemente come gente del posto e la loro prima preoccupazione era come sarebbero stati gestiti i campi e non l’istituzione di uno Stato-nazione. Per questo la campagna militare congiunta di Petljura e di Piłsudski nel 1920 non fu in grado di mobilitare le masse e fu respinta dalle forze bolsceviche.
A favore dei bolscevichi si schierarono alla fine del conflitto anche gli ampi strati di popolazione ebraica: i nazionalisti ucraini avevano avuto buonissimi rapporti con gli ebrei, ai quali avevano riconosciuto piena cittadinanza. La Rada aveva persino creato un Commissariato agli affari delle nazionalità, la cui guida fu affidata a un ebreo. Ciononostante molte forze armate della guerra civile ucraina, fra cui anche formazioni sotto il comando di Petljura, compirono azioni di persecuzione degli ebrei se non addirittura veri e propri pogrom. Anche le forze sotto il comando dell’anarchico Machno, che controllò l’Ucraina centro-orientale fra il 1919 e il 1921, si macchiarono spesso di crimini contro le comunità ebraiche. Gli ebrei quindi finirono per sostenere il potere che sembrava dare maggiori garanzie di sicurezza e in questo i nazionalisti ucraini furono nuovamente superati dal potere bolscevico, che sembrava voler integrare completamente gli ebrei nel nuovo Stato, senza badare alla loro nazionalità.
Nonostante le simpatie suscitate, soprattutto nel corpo diplomatico inglese, la delegazione ucraina a Versailles non fu mai accreditata alla conferenza di pace, che ignorò le richieste di costituire uno Stato ucraino in un territorio che comunque era sotto il controllo di Mosca. I sostenitori dell’indipendenza ucraina si videro perciò costretti a lasciare la parte del Paese sotto il controllo dei bolscevichi e a vivere in esilio in altri Paesi europei o in America. La Galizia assieme a Leopoli entrò invece a far parte della rinata repubblica polacca.
La politica nazionale sovietica e il Holodomor
La costruzione del primo Stato nazionale ucraino fu così opera del potere internazionalista e comunista dei bolscevichi. Secondo la teoria marxista le nazioni erano parte della sovrastruttura messa in campo dalla borghesia per dividere e dominare la classe lavoratrice. Quando prese il potere, Lenin si rese presto conto che l’impero russo rischiava di disgregarsi in tanti Stati nazionali. Egli teorizzò che in una situazione di imperialismo come quella zarista, nella quale una nazione – quella russa – aveva svolto un ruolo di dominazione sulle altre, le singole rivoluzioni nazionali fossero portatrici di valori progressisti e socialisti. Il compito del potere bolscevico non era perciò quello di opporsi a tali movimenti, ma di supportarli e di aiutarli a fondersi nella grande rivoluzione sociale comunista. Assieme alla NEP Lenin varò un’importante politica di indigenizzazione e radicamento sul territorio del potere bolscevico, chiamata korenizacija: al fine di integrare le rivoluzioni nazionali che coinvolgevano tutte le periferie dell’impero, il nuovo Stato socialista sarebbe nato come una federazione di repubbliche nazionali che avrebbero sostenuto e diffuso le differenti culture nazionali. Nella società socialista le nazioni sarebbero scomparse fondendosi in un’unica entità, ma Lenin pose questo momento in un futuro non preciso, creando così una seconda contraddizione interna al regime bolscevico. Fino a che Stalin non fu in grado di assumere il controllo su tutto il Paese, cosa che avvenne fra la fine degli anni ‘20 e l’inizio dei ‘30, la politica di indigenizzazione fu perseguita con successo, portando a una ucrainizzaizone della repubblica ucraina fondata dai bolscevichi nel 1921.
In Ucraina la figura maggiormente coinvolta nel processo di ucrainizzazione fu quella del commissario all’educazione: questa carica fu ricoperta prima dal socialista-rivoluzionario Oleksandr Šums’kyj (1924-1927) e successivamente dal suo oppositore bolscevico Mykola Skrypnyk (1927-1933). Nonostante il secondo avesse accusato il primo di essere troppo nazionalista, entrambi furono decisivi per la costruzione di un sistema scolastico in ucraino che alfabetizzò pressoché l’intera popolazione, fondarono una Accademia delle scienze nazionale e istituzionalizzarono la lingua ucraina, della quale furono pubblicati i primi dizionari e le prime grammatiche ufficiali dopo i divieti zaristi. Il numero di chi parlava ucraino aumentò anche nelle città dell’est, solitamente abitate da operai russi trasferitisi per lavorare nelle industrie e nelle miniere.
L’ascesa di Stalin al potere andò però a turbare questo equilibrio: convinto dell’inevitabilità della guerra con il capitalismo, Stalin era deciso a sfruttare le risorse agrarie sovietiche per procurarsi i fondi necessari all’industrializzazione forzata del Paese, indispensabile in caso di conflitto. Mentre gli stessi comunisti ucraini pensavano di poter conquistare maggiore indipendenza da Mosca, Stalin decise una centralizzazione completa, che partiva dall’eliminazione della NEP e dalla creazione di grandi aziende agricole collettive (i kolkhozy e i sovkhozy). Nel 1928 fu l...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Introduzione: Sentirsi ucraini
  5. Capitolo primo: Il movimento nazionale ucraino
  6. Capitolo secondo: La democratizzazione incompiuta dell’Ucraina post-sovietica
  7. Capitolo terzo: La rivoluzione arancione
  8. Capitolo quarto: Il regime di Janukovyč e l’Euromajdan
  9. Capitolo quinto: Una guerra civile?
  10. Sommario
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