Figli di Abramo
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Figli di Abramo

Noi e l'Islam

carlo maria martini

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Noi e l'Islam

carlo maria martini

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«Gli interventi di Martini [sul rapporto con l'Islam e il mondo musulmano] hanno ampiezza e profondità tali, in questo caso come in tutto il suo magistero, da non poter essere discussi soltanto in un'ottica storico-politica. Essi sollevano questioni di principio che, proprio per la tragicità dell'ora che attraversiamo, non è più lecito mettere tra parentesi o peggio ignorare». (Massimo Cacciari)

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Information

Publisher
La Scuola
Year
2015
ISBN
9788835042709
Terrorismo, ritorsione, legittima difesa, guerra e pace2
Introduzione
I temi indicati nel titolo hanno accompagnato da sempre l’umanità, da quando Caino alzò la mano proditoriamente su Abele e lo uccise (Gen 4,8) e da quando Dio dichiarò: «Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte» (Gen 4,15), fino alla parola di Gesù: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (Gv 14,27).
Ma in questi mesi, a partire dall’11 settembre, tali temi sono ritornati di bruciante attualità. I fatti li conosciamo: gravissimi attentati terroristici che rivelano una capacità inaudita di odio e fanatismo, che si serve di tecnologie raffinate e si nutre di forme finora inedite di fondamentalismo civile e religioso (pensiamo a tutti gli aspiranti suicidi). Agli attentati è seguita un’azione di caccia ai terroristi che è sfociata in una guerra in Afghanistan. In questi ultimi giorni, poi, si sono moltiplicati vergognosi attentati suicidi contro cittadini inermi in Israele, a cui hanno fatto seguito ritorsioni e azioni militari in Palestina, in luoghi dove ormai da anni c’è un crescendo di violenza di cui non si vede la fine.
1. Uno sguardo al Vangelo ( Lc 13,1-5)
Questi fatti ci addolorano, ci interpellano, ci sconvolgono. Pensiamo con dolore agli innumerevoli morti, ai feriti che porteranno per tutta la vita il segno della tragedia, alle famiglie distrutte, ai milioni di profughi, al pianto dei bambini mutilati. Nascono molte domande, ipotesi, inquietudini. Domande di carattere umano e religioso e anche di carattere politico. Si vorrebbe capire, giudicare, vedere come agire per farla finita con il terrorismo, la paura, la guerra, come operare seriamente per una pace duratura.
Certamente la situazione è ancora troppo complessa e fluida per descriverla in maniera adeguata. Ogni giorno, poi, aggiunge la sua sorpresa, per lo più dolorosa. Avevo iniziato queste riflessioni partendo anzitutto dall’attentato alle torri gemelle, ma gli eventi in Afghanistan e, negli ultimi giorni, la recrudescenza degli eccidi in Medio Oriente hanno via via allargato il mio campo di discernimento. Del resto è innegabile che nella preparazione della tragedia dell’11 settembre ha avuto un ruolo non secondario il risentimento accumulato nell’annoso conflitto israeliano-palestinese. Perciò mi sono chiesto con insistenza e ho chiesto al Signore: in questo turbine della nostra storia, ha davvero senso parlare di pace? E in che modo, e a quale prezzo?
Parlando, leggendo e ascoltando molto, mi sono accorto di come anche i pareri siano tanto divergenti. Molteplici i punti di vista, gli angoli di visuale; fortissime le passioni, i coinvolgimenti emotivi; resistenti a sgretolarsi le precomprensioni, soprattutto quelle inconsce. Sembrerebbe più saggio attendere, pregare, e per intanto sanare e medicare in quanto si può le ferite, come in emergenza. Ma sant’Ambrogio non si è sottratto alla riflessione e al tentativo di giudizio su fatti assai gravi, pubblici e controversi del suo tempo. Così il suo umile successore chiede, per l’intercessione del nostro Patrono e con l’aiuto delle preghiere e dei suggerimenti di tanti, la grazia di poter parlare a voce alta di queste cose di fronte a Dio, al Vangelo e alla coscienza dell’umanità. Sono numerose le pagine bibliche evocate in questi mesi per cercare luce nella parola di Dio. Io vorrei partire dal passo evangelico di Luca (13,1-5) che è stato letto durante la preghiera vespertina: si tratta di due affermazioni o reazioni di Gesù, posto di fronte a gravi fatti di sangue di origine politica e a dolorose calamità naturali:
«In quello stesso tempo si presentarono a Gesù alcuni a riferirgli circa quei Galilei il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola Gesù rispose: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto sopra i quali rovinò la torre di Siloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”».
Noto un particolare curioso. Sant’Ambrogio, che pure commenta con accuratezza e talora con pedanteria l’intero terzo vangelo, su tale punto è reticente. Sorvolando su qualunque sentimento antiromano che poteva risultare dal crimine di Pilato, si limita a un’affermazione marginale, ipotizzando, per il massacro di Gerusalemme, una colpa rituale dei Galilei uccisi, così da farne un caso esemplare di punizione «per coloro che su istigazione diabolica non offrono il sacrificio con animo puro»1. Evita quindi di lasciarsi coinvolgere dalle ardue domande politiche e teologiche che emergono da tali eventi e lascia senza commento lo sconcertante e inedito comportamento di Gesù. Noi però non riusciamo a fare altrettanto.
Gesù si trova infatti di fronte a un groviglio di problemi etici, teologici e politici. Gli interrogativi che emergono sono analoghi, ma superiori per gravità a quello sul quale sarà poi interrogato a proposito del tributo da pagare a Cesare (Lc 20,20-26): interrogazione quest’ultima – nota l’evangelista Luca – propostagli «da informatori che si fingevano persone oneste, per coglierlo in fallo nelle sue parole e poi consegnarlo all’autorità e al potere del governatore» (Lc 20,20).
Qui si tratta ugualmente di domande a trappola, ma a proposito di fatti ben più sconvolgenti. V’è in questione ciò che noi chiameremmo una “strage di Stato”, voluta dal rappresentante dell’imperatore e per di più perpetrata nel luogo sacro del tempio: quindi un massacro avvenuto probabilmente durante le festività pasquali, nel quale dovevano essere state trucidate molte persone, forse terroristi disposti al sacrificio supremo. Non sappiamo quanti fossero, ma è sufficiente ricordare che alcuni anni prima il predecessore di Pilato aveva ucciso in una sola occasione tremila ebrei.
Gesù viene dunque provocato a esprimersi e a dare un giudizio: condannerà l’assassinio politico, voluto per umiliare ulteriormente gli Ebrei e profanare il tempio? Griderà contro la crudeltà e il cinismo del regime dominante? Oppure, come altri in Israele che ritenevano la dominazione straniera comunque un minor male di fronte a un possibile caos, dirà che si è trattato di una dolorosa operazione di legittima difesa, di una repressione inevitabile per scongiurare nuove stragi da parte di un terrorismo suicida e senza sbocchi? Non aveva forse un tempo lo stesso profeta Geremia sconsigliato atti di inutile resistenza al conquistatore babilonese? Immagino che Gesù si sarà sentito addosso la domanda che un giorno gli rivolgeranno i Giudei nel tempio: «Fino a quando terrai l’animo nostro sospeso? Se tu sei davvero il Cristo, dillo a noi apertamente». Cioè, nel nostro caso: facci sapere, tu che sai tutto, da che parte sta la verità e da che parte sta l’ingiustizia. Anche la seconda situazione narrata da Lc 13,1-5 richiama domande attuali. Essa riguarda una calamità naturale, la caduta di una torre a Gerusalemme che travolge diciotto persone (noi pensiamo agli incidenti e drammi di questi ultimi tempi: i disastri dei trafori del Monte Bianco e del Gottardo, il tragico incidente di Linate, gli incidenti aerei delle ultime settimane, le stragi per le fughe di gas...). Allora, come ora, tali incidenti suscitavano tante domande: si tratta di calamità inevitabili o sono frutto di negligenza, di errore umano o di incoscienza o di imprudenze inescusabili? Chi è colpevole? Chi doveva vigilare? Quale autorità ha omesso i dovuti controlli, ha sottovalutato gli appelli ecc.?
I due episodi sono proposti a Gesù perché prenda posizione. Molti aspettano, come ho sopra indicato, che egli si dichiari contro il tiranno Pilato; altri vorrebbero che criticasse i Galilei come terroristi insipienti. A proposito della caduta della torre ci si attende che denunci con parole di fuoco l’incuria dei governanti o, al contrario, rimproveri l’imprudenza colpevole della gente. Invece si verifica l’imprevisto. Gesù non prende posizione né pro, né contro nessuna delle persone coinvolte, non si esprime su chi degli immediati protagonisti sia da ritenersi colpevole. Proclama, è vero, un suo giudizio, che dovremo approfondire. Ma la sua voce sta al di sopra di tutti i temi sia pur gravi di politica corrente. Ciò può sorprendere, deludere e turbare. Vedremo che cosa voglia dire per l’oggi. Notiamo tuttavia fin da ora che si verifica qui quanto affermava un recente storico delle origini cristiane:
«In confronto ai profeti classici di Israele, il Gesù storico è notevolmente silenzioso a proposito di molte scottanti questioni sociali e politiche del su...

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