Uomini e donne come noi
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Uomini e donne come noi

I migranti, l'Europa, la Chiesa

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Uomini e donne come noi

I migranti, l'Europa, la Chiesa

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Le acque del Mediterraneo sono diventate sotto i nostri occhi "cimiteri sotto la luna", per riprendere il titolo della famosa opera di Georges Bernanos. Ai confini dell'Europa si muore e sembra non fare più scandalo. «Erano uomini e padri di famiglia, erano donne e madri, erano giovani, ragazzi, bambini. Erano un popolo. Fratelli. Provenivano dall'Africa sub sahariana: dal Mali e dal Ghana, dal Sud Sudan e dalla Nigeria, dove la fame, l'odio, la violenza avevano già provato la loro nascita, la loro crescita, la loro vita. Erano uomini e donne già sfiniti, in fuga dalla guerra di Siria, della Somalia e dell'Eritrea, della Palestina, alla ricerca della libertà religiosa che non c'è in Bangladesh o in Pakistan».

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Information

Capitolo quinto

Il volto della misericordia

1. Il volto della misericordia: un anno per imparare il perdono e la prossimità

Il camminare, il raggiungere luoghi diversi, incontrare persone diverse, non escludendo nessuno è lo stile delle relazioni di Gesù. Gesù, nel racconto di Luca, è in cammino verso Gerusalemme e, in una tappa, racconta questa parabola che riguarda un altro cammino. L’essere continuamente in viaggio di Gesù, oltre che una caratteristica della sua predicazione, libera dal contesto di “scuola”, lo rende anche e continuamente “straniero” negli incontri, con gli ascoltatori, nelle città. Il samaritano protagonista della parabola è, in questo senso, anche il ritratto di Gesù, la proposta del suo stile. Il samaritano è l’altro, lo straniero che non viene presentato come l’estraneo, il nemico, ma come l’amico.
Gesù, che nel suo cammino storico incontra uomini e donne di varie provenienze (il romano, la cananea, il cireneo…), spiega nel racconto della parabola del Buon Samaritano, che nasce dalla domanda di un maestro della legge, cosa fare per ottenere la vita eterna. La prossimità diventa il segno della misericordia di Dio tra noi. Paolo VI ha ricordato nel discorso conclusivo del Concilio Vaticano II, il 7 dicembre 1965, come «L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio». Il testo è stato ripreso da Papa Francesco nella bolla di indizione del giubileo straordinario della misericordia, Misericordiae vultus.
Se nella storia del samaritano c’è la storia cristiana, è necessario guardare a chi è straniero, a chi è in cammino per la guerra, la fame, un disastro ambientale, la speranza di una vita migliore in termini di relazione, di dialogo, e costruire percorsi di incontro. È quello che ci invita a fare anche Papa Francesco in un passaggio importante dedicato all’amore ai poveri nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium:
«Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro “considerandolo come un’unica cosa con se stesso”. Questa attenzione d’amore è l’inizio di una vera preoccupazione per la sua persona e a partire da essa desidero cercare effettivamente il suo bene. Questo implica apprezzare il povero nella sua bontà propria, col suo modo di essere, con la sua cultura, con il suo modo di vivere la fede. L’amore autentico è sempre contemplativo, ci permette di servire l’altro non per necessità o vanità, ma perché è bello, al di là delle apparenze. “Dall’amore per cui a uno è gradita l’altra persona dipende il fatto che le dia qualcosa gratuitamente”. Il povero, quando è amato, “è considerato di grande valore”, e questo differenzia l’autentica opzione per i poveri da qualsiasi ideologia, da qualunque intento di utilizzare i poveri al servizio di interessi personali o politici. Solo a partire da questa vicinanza reale e cordiale possiamo accompagnarli adeguatamente nel loro cammino di liberazione. Soltanto questo renderà possibile che “i poveri si sentano, in ogni comunità cristiana, come ‘a casa loro’. Non sarebbe, questo stile, la più grande ed efficace presentazione della buona novella del Regno?”. Senza l’opzione preferenziale per i più poveri, “l’annuncio del Vangelo, che pur è la prima carità, rischia di essere incompreso o di affogare in quel mare di parole a cui l’odierna società della comunicazione quotidianamente ci espone”» (n. 199).
Con i 950 migranti rischiamo di morire moralmente anche noi, se non abbiamo sete di giustizia, se non impariamo la misericordia.

2. Rassegnazione e paura: il coraggio della accoglienza e della nonviolenza

Troppe volte in questi mesi si è avuto paura, si è passati dalla rassegnazione alla violenza. Accoglienza e non violenza sono le parole che orientano lo stile cristiano in un mondo di migranti. Le paure, i pregiudizi, le fatiche dell’incontro – segnalate anche dai Vescovi italiani nel documento Educare alla vita buona del Vangelo – che si respirano anche nelle nostre comunità cristiane chiedono un laicato capace di fare della relazione, dell’incontro con l’altro un luogo della credibilità della fede, ma anche un momento importante nell’itinerario educativo. Le parole di un africano, di un algerino, quale era S. Agostino di Tagaste e vescovo d’Ippona, a commento del racconto dei discepoli di Emmaus, possono illuminare e superare la nostra paura di fronte a un esodo di persone che Lampedusa ha vissuto in questo anno:
«Che sorta di mistero, miei fratelli! Gesù risorto entra in casa loro, si fa loro ospite e, mentre era rimasto sconosciuto lungo tutto il cammino, lo si riconosce allo spezzare del pane (cfr. Lc 24,30-31). Imparate ad accogliere gli ospiti, nella cui persona si riconosce Cristo. O che non sapete ancora che, tutte le volte che accogliete un cristiano, accogliete Cristo? Non lo dice forse lui stesso: Ero forestiero e mi avete accolto? E se gli replicheranno: Ma quando, Signore, ti abbiamo visto forestiero, risponderà: Tutte le volte che l’avete fatto a uno dei miei fratelli, fosse anche il più piccolo, l’avete fatto a me (Mt 25,35.38.40). Quando dunque un cristiano accoglie un altro cristiano, è un membro che si pone al servizio di un altro membro, e con questo reca gioia al capo, che ritiene dato a sé ciò che si elargisce a un suo membro. Ebbene, finché siamo quaggiù, si dia il cibo a Cristo che ha fame, si dia da bere a lui assetato, lo si vesta quando è nudo, lo si ospiti quand’è pellegrino, lo si visiti quando è malato. Queste cose comporta l’asperità del cammino. Così dobbiamo vivere nel presente pellegrinaggio durante il quale Cristo è nel bisogno: ha bisogno nei suoi, pur essendo pieno di tutto in sé. Ma colui che nei suoi è bisognoso, mentre in sé abbonda di tutto, convocherà attorno a sé tutti i bisognosi. E vicino a lui non ci sarà più né fame né sete, né nudità né malattia, né migrazioni né stenti né dolore (…) Tutta la nostra occupazione sarà la lode di Dio. E cosa loderemo se non ciò che ameremo? E null’altro ameremo se non ciò che vedremo. Vedremo la verità, e questa verità sarà Dio stesso, di cui canteremo la lode. Lassù troveremo ciò di cui oggi abbiamo cantato: troveremo l’Amen, cioè Quel che è vero, e l’Alleluia, cioè: Lodate il Signore» (Discorsi, 236,3).
La debolezza culturale più rischiosa nelle nostre città è cedere alle paure, cedere ai profeti di sventura, ai politici che interpretano senza speranza il futuro.
«L’opera educativa – ci hanno ricordato i vescovi italiani – deve tener conto di questa situazione e aiutare a superare paure, pregiudizi e diffidenze, promuovendo la mutua conoscenza, il dialogo e la collaborazione» (CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, 2010, n. 14).

3. L’annuncio e la testimonianza in tempo di migrazioni

Il fenomeno migratorio chiede oggi un lavoro di discernimento dei cristiani e delle comunità che aiuti da una parte, in ambito socio-politico, a salvaguardare la dignità della persona umana; dall’altra, sul piano culturale e pastorale, se è importante sottolineare l’identità cristiana e il rispetto delle regole fondamentali della convivenza, è altrettanto importante costruire regole e itinerari che valorizzino la ricchezza delle differenze culturali e religiose, soprattutto, ci ricorda Papa Francesco nella Misericordiae vultus, del mondo ebraico e islamico.
Pertanto, l’annuncio e la testimonianza dei cristiani e delle comunità si giocano a tre livelli: un livello socio-politico, culturale e religioso.
Sul piano socio-politico, di fronte a tendenze che tendono a costruire forme nuove ed esasperate di individualismo e di separatismo che mal interpretano la tradizione di un regionalismo che era espressione di una maggiore sussidiarietà, l’esperienza cristiana è chiamata a coniugare il fenomeno migratorio con una serena consapevolezza della necessità di costruire, nella legalità e giustizia, percorsi di ascolto, incontro, tutela e di integrazione, senza superficialità e improvvisazione, che rendano attenta la società ai meccanismi, alle cause, alle risorse e ai problemi di un incontro non solo possibile, ma ormai ineludibile con persone con storie di vita diverse.
Sul piano culturale, l’incontro generato dalla mobilità e da una immigrazione che ormai ha due volti – una storica di oltre 15 anni e ormai radicata, e una giovane, di pochi anni e di pochi mesi – porta con sé la necessità di una elaborazione culturale, di una comunicazione e informazione che aiutino a conoscere correttamente l’esperienza culturale di chi proviene dai diversi continenti e dai diversi Paesi del mondo, interessando anche la scuola a percorsi e incontri di mediazione culturale che non solo facilitino l’accesso al sapere della scuola, ma aiutino l’incontro tra i diversi saperi e rivedano, in senso interculturale, la conoscenza di alcune materie (storia, geografia, religione…). Forse anche le nostre elaborazioni culturali possono trovare nel fenomeno migratorio un luogo di “sintesi” signi...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Sommario
  5. Pietà per noi, Signore
  6. Capitolo primo: Le nuove sfide del Mediterraneo
  7. Capitolo secondo: Le porte aperte
  8. Capitolo terzo: Rileggere la storia della Chiesa e della città
  9. Capitolo quarto: La nostra patria Europa
  10. Capitolo quinto: Il volto della misericordia