Conclusioni
Il Te Deum di un maestro
Dalla ricostruzione condotta nel presente lavoro, emerge che una delle migliori eredità lasciate dal magister Agosti fu l’originale impianto pedagogico-didattico sperimentato con il Sistema dei reggenti, finalizzato a mettere in pratica un’idea di scuola dal duplice e inscindibile profilo educativo e culturale. Grazie ad esso, i fanciulli di una classe di scuola comune vennero messi nelle condizioni di imparare a scoprire le radici della tradizione culturale italiana, sia in termini di «cultura vissuta» (la cultura popolare, locale), sia in termini di «cultura riflessa» (la scienza).
La prima, come già evidenziato da Giuseppe Lombardo Radice1, rappresentava un momento di “iniziazione” alla seconda, per ragioni di ordine psicologico (poiché era nell’ambiente locale che si realizzavano ed assumevano un primo significato le esperienze degli allievi) e di ordine epistemologico (era dalla riflessione critica sulla realtà esperienziale, che aveva avuto origine il processo di ricostruzione delle scienze). In questo modo, gli allievi di Agosti avevano sviluppato una “strumentalità” che andava oltre le qualificazioni contenute nel concetto di alfabetizzazione funzionale (“leggere, scrivere e far di conto”), per abbracciare una prospettiva di «alfabetizzazione scientifica», in grado di farli passare dall’esperienza alla scienza, o meglio, da una scienza «del senso comune» a una scienza configurata «secondo il paradigma galileiano»2.
Il perfezionamento di tale impianto, attuato dalla Scuola come Centro di Ricerca di Alfredo Giunti, contribuì a mettere in luce quanto la didattica della ricerca messa a punto da Agosti potesse rappresentare una valida alternativa all’inquiry deweyana3. Entrambe erano caratterizzate dalla riproduzione, all’interno della loro articolazione in diverse fasi, del movimento circolare del pensiero umano, che a partire dall’individuazione di problemi nell’esperienza, giungeva alla scelta del punto di vista o dei punti di vista che avrebbero guidato l’indagine, per passare allo svolgimento dell’indagine stessa, alla conseguente formulazione di una spiegazione, allo sviluppo di una forma di apprendimento critico e, infine, alla produzione di cultura4.
I momenti culminanti di tale processualità educativa, in ogni singola persona, sarebbero coincisi con l’elaborazione di una germinale Weltanschauung (intesa come «riconduzione ad unità»), la formazione del carattere morale e la realizzazione della propria scelta vocazionale, quest’ultima intesa da Giunti come volontà di intervenire consapevolmente e costruttivamente nella realtà, allo scopo di trasformarla coerentemente ai valori individuati.
Nella scuola italiana, un processo del genere era ed è lontano dal trovare una sua attuazione, perché richiederebbe una serie di cambiamenti di ordine didattico, culturale e di mentalità, organizzativo, amministrativo ed istituzionale. Sul piano didattico, occorrerebbe passare da un piano di lavoro centrato sui contenuti e svolto per materie a un piano di lavoro centrato sull’allievo e realizzato sulla base delle componenti della persona. Sul piano metodologico, sarebbe necessario passare da un piano di lavoro fondato sulla consegna a un piano di lavoro fondato sulla riscoperta e, perciò, sulla capacità degli allievi di creare cultura. Sul piano dei contenuti, infine, bisognerebbe sostituire a un piano di lavoro disciplinarista un piano svolto interdisciplinarmente, per aree culturali.
Per non rischiare di far qualificare come “utopico” un disegno del genere, Giunti lo ancorò al continuo richiamo alla “concretezza”, espresso sia dall’accento posto su una maggiore professionalizzazione dei maestri, sia dalla ricerca di una reciproca e feconda connessione fra scuola e società. «È indispensabile che gli insegnanti cambino radicalmente mentalità, che si creino una nuova professionalità sostanziale, che modifichino il loro atteggiamento psicologico, che si facciano ben altre basi culturali; sono poi necessarie strutture e infrastrutture diverse, una più incisiva volontà politica svolta in senso autenticamente popolare, un diverso rapporto fra scuola e società civile, un effettivo spirito pluralistico, una maggiore apertura e disponibilità ai rapporti interpersonali e via dicendo»5.
Sempre con l’aiuto di Giunti, è possibile indagare quali furono le ragioni della “scarsa fortuna” del Sistema dei reggenti e della riduzione degli studi di Agosti sul metodo naturale a poche “formulette”.
Rispetto alla prima osservazione, egli sottolineò che il Sistema dei reggenti costituiva una proposta pedagogica e didattica in sé equilibrata, non “appetibile” in un’epoca – come quella post-sessantottina – in cui le persone di cultura erano «in cerca di semidei da adorare»6. Dietro l’armonia educativa perseguita dal Sistema, esse avrebbero visto solamente una «pianura piatta e monotona».
Rispetto alla seconda questione, Giunti riconobbe che l’impianto formulato da Agosti si caratterizzava per «una dominante metodologica-didattica, anziché filosofica, e questo slittare dal comodo, spesso, teorizzare, verso la prova dei fatti andava contro un concetto non ancora morto di cultura senza calli alle mani»7. L’umanesimo del lavoro di Agosti, che ispirò il tirocinio di vita e di azione al centro del “suo” Sistema, era diametralmente opposto ad una prospettiva basata sulla separazione fra scuola e lavoro, teoria e pratica, cultura generale e cultura professionale, ancora dominante nel «paradigma separatista» presente nella scuola italiana8.
Agosti, da parte sua, aveva fornito a Giunti una lettura differente del mancato successo della sua opera, riconducendolo ad una manchevolezza personale: non aver mai scritto un volume sistematico sul proprio pensiero filosofico e pedagogico, segno «dei limiti e dei difetti propri dell’autodidatta»9. Un volume che p. Agostino Gemelli aveva auspicato nascesse nei mesi dopo l’8 settembre 1943, in preparazione a un futuro concorso al ruolo universitario, ma che nei fatti Agosti non avrebbe mai approntato.
Nonostante ciò, Giunti era convinto del fatto che la paternità culturale e spirituale agita da Agosti, per decenni, nei confronti dei suoi “allievi” coinvolti nelle attività formative del Gruppo pedagogico di «Scuola Italiana Moderna» e nella redazione della rivista non avrebbe fatto disperdere il suo contributo scientifico e professionale, confluito negli ultimi tempi nell’ipotesi didattica della «Scuola come Centro di Ricerca». Lo studioso bresciano non esitò a confidargli: «adesso so che la parte della mia vita dedicata alla scuola non è stata del tutto inutile»10.
L’altra grande eredità di Agosti consistette nell’aver vissuto la sua “magisterialità” come una missione, espressione di una vera e propria promessa di amore, rinnovata giorno dopo giorno, come ebbe modo di scrivere all’inseparabile Chizzolini nel 1974: «Solo tu puoi umanamente comprendermi nel merito di questo proposito. Solo tu sai che io ho avuto due amori, ugualmente vivi: la mia Cara [la moglie Teresina, scomparsa da poco] e la scuola. Due amori ugualmente equivalenti in ordine alla vita spirituale; ma distanti e in qualche punto contrastanti: l’uno, culminante nella dedizione alla famiglia; l’altro nella dedizione – grande nella fedeltà ma umile per le mie forze – a “La Scuola”. Desidero avere occasioni per pregare con te»11.
Agosti lasciò ai suoi “eredi” la testimonianza di un uomo e di uno studioso che incarnò nella propria persona il motto neotomista della «pedagogia e vita», pronto a coniugare intransigenza e carità in senso paolino nella ricerca continua e prioritaria della Verità12, la sola che avrebbe evitato il pericolo di irrigidire il “suo” metodo naturale in un “dogma”. Fu così che, secondo Giunti, l’esigenza epistemologica nata dal suo temperamento problematico lo condusse a concepire il «metodo» come un processo perennemente dinamico, in grado di adeguarsi ai modi di intendere una data scienza in un dato momento ...