«Più di metà dell'anima mia»
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About this book

È difficile, se non addirittura impossibile, scindere il nome di Erasmo da quello di Thomas More, anche se non pochi biografi lasciano spesso nell'ombra l'immagine di uno dei due amici per rendere plausibili le loro tesi interpretative. In effetti, a chi fa di More un modello di ortodossia alquanto rigida, la vicinanza dell'umanista che maneggiava l'ironia e la polemica graffiante come nessun altro può sembrare compromettente; d'altra parte, a chi vuol vedere in Erasmo uno scettico, il ricordo del suo migliore amico, martire della fede cattolica, deve apparire ingombrante. Erasmo e Thomas More erano diversi e nello stesso tempo inseparabili, al punto che per conoscere da vicino l'uno bisogna sempre interpellare l'altro. Abbeverati alle medesime fonti e vissuti nella stessa epoca, furono legati da una di quelle simpatie totali la cui delicatezza si rivela in mille tratti affascinanti, tanto che essi resteranno nella storia come la coppia più affiatata e insieme di più alto profilo dell'età moderna (Matteo Perrini, Premessa, in E. da Rotterdam, Ritratti di Thomas More).

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XXXIV

Le lettere 33,35,36 documentano forse la più violenta delle polemiche a cui fu sottoposto More nel corso della sua attività letteraria. L’iniziatore della polemica fu Germain de Brie di Auxerre, † 1538 [1]. La sua produzione letteraria era iniziata molto presto, nel 1513, con la pubblicazione del poema epico la Chordigerae navis conflagratio «L’incendio del vascello La Cordelière», in cui il combattimento navale fra inglesi e francesi nelle acque di Brest, il 10 agosto 1512, diventava occasione per fare del comandante della nave francese Herveus Portimoger, un eroico kamikaze, volontariamente sacrificatosi per dar fuoco alla nave inglese e farla inabissare nel mare insieme a La Cordelière. La passione nazionalistica e l’anglofobia resero popolare quel poema, che piacque molto anche alla regina Anna di Bretagna, di cui il de Brie era segretario. In realtà in quello scritto ci sono tutte le premesse della successiva disputa fra More e de Brie, che scosse per un biennio, dal 1519 al 1520, il mondo delle lettere, suscitando ripetuti interventi da parte di Erasmo e dello stesso Budé.
Contrariamente a quello che scriveva de Brie era accaduto che durante la prima guerra fra l’Inghilterra e la Francia, la nave inglese Regent e la nave francese Cordelière – due delle più belle unità delle rispettive flotte – erano venute a combattimento, uncinandosi. La nave francese aveva preso fuoco, e aveva coinvolto la nave inglese nella sua distruzione: i due capitani e la maggior parte degli equipaggi erano periti. Era stato un tragico incidente, che in tempi più cavallereschi avrebbe mosso ciascuna delle due parti a vicendevole compianto. Ma l’umanista francese ne aveva tratto argomento per un carme patriottico in cui attaccava acerbamente l’Inghilterra. Il poema fu immediatamente pubblicato da Badius, il 13 gennaio 1513, con il titolo di Chordigerae navis conflagratio; More scrisse una serie di epigrammi di risposta, obiettando alla lingua inglese che vi si utilizzava. Più tardi quando si arrivò alla pubblicazione dell’intera raccolta dei suoi epigrammi, Moro, ragionandone con Erasmo che ne curava l’edizione, gli aveva molto opportunamente suggerito di escluderli. Sennonché Erasmo con una leggerezza veramente imperdonabile, inconsapevole forse di quanto quegli epigrammi potessero urtare un francese, li inserì nella raccolta. Quando questi furono pubblicati da Froben nel marzo 1518 de Brie, fortemente indignato, compose un poema, Antimorus, che pubblicò a Parigi, nonostante le suppliche di Erasmo, nell’inverno 1519. In esso de Brie accusava Moro del più grande crimine che potesse commettere un umanista: quello di aver composto dei versi zoppicanti, di barbarismi e di solecismi.
Tuttavia Moro avrebbe tollerato l’ingiuria, benché lo irritasse questo rinnovarsi della polemica dopo tanti anni e in un periodo di pace e concordia; ma de Brie andò oltre, e tentò di mettere cattivo sangue tra lui e il re, ponendo in risalto il modo in cui, nel carme latino per l’incoronazione di Enrico VIII, scritto vari anni prima ma solo allora pubblicato, Moro aveva censurato il governo di Enrico VII, “attaccando sfacciatamente il padre nell’atto stesso in cui elogiava il figlio”. E questo, non era cosa da prendersi alla leggera. Moro passò allora al contrattacco con la sua Epistola a Brixio, Pynson London 1520. Stampata per la prima volta, con molte imprecisioni, nelle Lucubrationes di More, Episcopius, Basilea 1563, con l’annotazione in margine, «anche questa pubblicata per la prima volta», dopo la lettera di More a Dorp, a sua volta «mai edita prima». Sembra sia stata scritta molto presto dopo che More ebbe visto l’Antimorus, intorno alla terza settimana di marzo, così che si possa datare questa lettera alla fine di marzo o all’inizio di aprile. In essa More si assume la responsabilità dei suoi errori di metrica (pur spiegando che tra i vari passaggi redazionali dall’autore al copista e all’editore ciò sia possibile che accada), e termina la lettera con un accenno proprio ad essi così: «...che gli dei siano propizi a me e a te, e correggano i vizi di ambedue, correggano il mio modo errato di parlare ed emendino i solecismi del tuo ingegno; a me concedano di togliere dal mio linguaggio le parole barbare, a te questi barbari costumi dell’animo; insomma, largiscano a me di avere sani i piedi nella poesia, a te sana testa nel corpo»[2].
Le prolisse repliche di More indirizzate a de Brie e a Erasmo posero fine alla controversia, ma passarono alcuni anni prima che la disputa si placasse. A quel tempo de Brie aveva ottenuto ricchezza e posizione, essendo divenuto canonico di Notre Dame di Parigi ed elemosiniere di Francesco I. Acquistò una proprietà terriera a Gentilly per lo svago dei suoi amici, tra i quali c’era il suo antico maestro, Lascaris, che arrivò a Parigi nel 1526. Nei suoi ultimi anni di vita de Brie lavorò su Crisostomo, traducendone alcuni scritti. La sua ultima controversia fu con Erasmo, che attaccò, più amichevolmente, per le rispettive posizioni assegnate a Budaeus e Badius nel Ciceronianus (Froben Basilea, marzo 1528).


E4,1087
Greenwich, marzo-aprile 1520

Thomas More al dottissimo e ottimo Sig. Erasmo da Rotterdam

Hai mai visto, ottimo e dottissimo Erasmo, qualcuno di più dolce di questo nostro de Brie? Finge di nascondere qualcosa a se stesso e pensa che ciò resti sufficientemente celato anche a tutti gli altri mortali. È infatti impossibile che quell’uomo, per quanto stupido, non si sia di tanto in tanto accorto di quanto fosse assurdo, spiacevole, infame attaccare con alterchi e rimbrotti qualcuno senza averne motivo; racconta, fissa nella mente, continua sempre a ribadire di limitarsi a difendersi per il fatto di essere stato provocato dai miei epigrammi, così che, attaccato da imprecazioni e maledizioni, non ribatte all’avversario se non con scherzi, motti e facezie. Per il resto non spende nel frattempo neppure una parola sull’insolenza, sulle bugie, sugli oltraggi con cui in precedenza aveva provocato l’intera Inghilterra, come neppure sul fatto che fa rivivere quell’inimicizia che un tempo ci fu tra di noi nel pieno dei tumulti della guerra, ma che, già morta un tempo, ora riposava nella pace eterna. E l’uomo si mostra a tal punto parassita come Formione[3] che, siccome ci si può facilmente rendere conto che la sua causa non potrebbe che essere condannata da chiunque abbia conosciuto a fondo il caso, tuttavia, come se fosse stata approvata sicuramente e chiaramente dai giudici che servivano, si infuria con me, quasi ne avesse pieno diritto, e svuota arguto e scherzoso tutta la sentina del suo petto: lui che, dopo aver deciso che uno o due epigrammi scritti per gioco dovessero essere considerate offese, come se l’averlo soltanto detto significasse aver direttamente convinto tutti, allo stesso modo convinse se stesso che si sarebbe assunto un’impresa degna di lode a rispondere con un libro violentissimo a pochi versi giocosi scritti allora contro il suo sfacciatissimo libretto e nel pieno del caos bellico, e a farlo infine ora, tanti anni dopo che si è conclusa e firmata la pace, nel pieno di un’armonia quale non ve n’è mai stata tra nessun popolo; e lo fa, evidentemente, sperando che nessuno ci veda tanto bene da riuscire a cogliere ciò di fronte a cui lui stesso chiude gli occhi, e confidando di non trovare un giudice tanto inopportunamente severo da esigere una prova diversa da quella che de Brie presenta, soprattutto nel momento in cui egli ostenta con tanta sicurezza la correttezza della propria causa.
A me sarebbe però sembrato di certo molto meno sfacciato se avesse mostrato questi orpelli soltanto al popolo, dove avrebbe potuto trovare alcuni ai quali era fino ad allora sconosciuta la questione, molti ai quali era ignoto uno di noi due, certi ai quali piacciono le liti, anche squilibrate: e se un bue di questa fatta non si fosse gettato a questo modo, comprensivo di tutte le selle, su di te, che non solo conosci la prua e la poppa della disputa (sempre che tu abbia letto la Chordigera[4], perché so che hai letto il resto[5]), ma anche i disputanti, dentro e fuori a ciò che dicono; e poi sapendo che liti di questo tipo, anche quando siano sorte per una motivazione giusta, ti sono tuttavia odiose e invise, per la limpidezza e umanità del tuo ingegno, e tanto più questa causa sconvenientissima, ingiustissima, disumanissima, e che sembrava essere stata da te condannata in anticipo con la lettera che gli avevi mandato[6], con l’aggiunta anche delle motivazioni del tuo verdetto: la prima (che alla letteratura interessava che fossimo concordi) più inventata in onore di entrambi che autentica, l’altra decisamente giustissima, perché ciò che avevamo risolto mentre durava la guerra, conveniva che ora, conclusa la pace, lo dimenticassimo. Tra queste motivazioni quella che era più affabile che vera, pur concedendola con discreto disprezzo per me, la riconosce[7] tuttavia candido e umile per quanto riguarda lui; l’altra, che era tanto vera da non poter essere negata, finge di dimenticarla, e mi getta nuovamente negli occhi la polvere della provocazione, proclamandosi da me stuzzicato per primo[8] e in modo ostile.
E di certo se de Brie, siccome si aggira esclusivamente nelle metafore comiche, ordina di cominciare questa opera dal mio epigramma[9] come dall’epitasi[10], non posso negare di averlo provocato. Ma se, come di consueto, sopporta che si aggiunga al suo posto la protasi, non mi sembra in discussione che il suo turbolento colpo di scena non abbia nulla di comico. Innanzi tutto, infatti, chi non si stupirebbe della straordinaria sfacciataggine di chi proclama tante volte di essere stato provocato per primo, pur sapendo che...

Table of contents

  1. Copertina
  2. «PIÙ DI METÀ DELL’ANIMA MIA»
  3. Indice dei contenuti
  4. Introduzione
  5. I
  6. II
  7. III
  8. IV
  9. V
  10. VI
  11. VII
  12. VIII
  13. IX
  14. X
  15. XI
  16. XII
  17. XIII
  18. XIV
  19. XV
  20. XVI
  21. XVII
  22. XVIII
  23. XIX
  24. XX
  25. XXI
  26. XXII
  27. XXIII
  28. XXIV
  29. XXV
  30. XXVI
  31. XXVII
  32. XXVIII
  33. XXIX
  34. XXX
  35. XXXI
  36. XXXII
  37. XXXIII
  38. XXXIV
  39. XXXV
  40. XXXVI
  41. XXXVII
  42. XXXVIII
  43. XXXIX
  44. XXXX
  45. XXXXI
  46. XXXXII
  47. XXXXIII
  48. XXXXIV
  49. XXXXV
  50. XXXXVI
  51. XXXXVII
  52. XXXXVIII
  53. XXXXIX
  54. ISCRIZIONE SULLA TOMBA DI THOMAS MORE
  55. Indice dei nomi