Emilio o dell'Educazione
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Emilio o dell'Educazione

Jean-Jacques Rousseau

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Jean-Jacques Rousseau

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L'"Emilio", insieme al "Contratto sociale" l'opera più famosa e più diffusa di Jean-Jacques Rousseau, fu pubblicato nel 1762. Trascorsi oltre due secoli, nulla di Rousseau è andato perduto. I temi fondamentali della sua ricerca sono ancora attualissimi; anzi, hanno conosciuto una vitalità straordinaria anche nei nostri anni, quando si è avvertita universalmente la necessità e l'urgenza di difendere la naturalità dell'uomo dalle sovrastrutture che minacciano di soffocarla.

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Information

1. La ricezione dell’Émile di Rousseau

1.1 La censura e le celebrazioni

L’Émile rappresenta un’opera significativa nella produzione rousseauiana sia perché si colloca, insieme al Contrat social e alla Nouvelle Héloïse, tra i testi della maturità, sia perché gli effetti positivi e negativi generati dalla sua pubblicazione, avvenuta nel 1762, avranno profonde conseguenze sulla vita del suo autore.
Occorre ricordare che, nel 1762, Rousseau è un intellettuale conosciuto a Parigi e in Francia. Ha vinto con il Discours sur les Sciences et les Artes il premio dell’Accademia di Digione, ha collaborato all’edizione dell’Encyclopédie redigendo alcuni articoli sulla musica, è amico di Diderot e ha anche composto un’opera musicale, Le devin du village, che il 18 ottobre del 1752 è stata eseguita a Fontainebleau alla presenza del re[1]. Inoltre, nel gennaio del 1761 viene pubblicata la Nouvelle Héloïse che ottiene un ottimo successo di pubblico[2]. Queste motivazioni concorrono a generare una certa attesa per l’uscita dell’Émile negli ambienti dell’aristocrazia e dell’alta borghesia parigina, ma espongono anche il suo autore alle possibili critiche del pubblico e delle autorità.
Le vicende che portano alla pubblicazione del manoscritto sono complesse e, in qualche modo, anticipano i problemi e le violente reazioni che si manifesteranno dopo l’uscita del testo. Verso la fine del 1760, Rousseau ha terminato la stesura definitiva del volume e, grazie alla mediazione del maresciallo Luxembourg, suo amico e protettore, firma nel settembre del 1761 un contratto preliminare con l’editore Nicolas-Bonaventure Duchesne[3] per la stampa e la diffusione in Francia dell’Émile. Nei mesi successivi, le revisioni per la pubblicazione del testo procedono molto a rilento e il Ginevrino, nonostante le rassicurazioni degli amici, inizia a sospettare che vi sia una cospirazione contro il suo scritto. Quando viene a sapere che padre Griffet, un gesuita[4], aveva letto e parlato pubblicamente dell’Émile, i suoi sospetti si trasformano in certezze e crede di essere vittima di una cospirazione gesuita.
I timori di Rousseau per un complotto da parte dei Gesuiti sono certamente infondati e rivelano, in modo evidente, gli aspetti ossessivi del suo carattere e dei suoi comportamenti, ma mettono in evidenza anche una preoccupazione, molto realistica e sensata, per le possibili reazioni rispetto alle tesi espresse nell’Émile, in particolare quelle di carattere religioso della Profession de foi du vicaire savoyard. Durante i primi mesi del 1762, la revisione editoriale del manoscritto per la stampa procede più velocemente e, il 24 maggio 1762, le prime copie del volume sono in vendita a Parigi. Le preoccupazioni di Rousseau non sono, però, destinate a venir meno, anzi egli coglie, come ricorda nelle Confessions, alcuni elementi inquietanti nelle prime reazioni, sia private sia pubbliche, subito dopo la pubblicazione del testo: «l’uscita del libro non provocò i numerosi applausi che avevano seguito altri miei testi. Mai un’opera ha avuto così tanti elogi privati, e così poca approvazione pubblica. Ciò che mi dissero e ciò che mi scrissero le persone più capaci di giudicarne mi confermò che era il migliore dei miei scritti, e il più significativo. Ma tutto ciò venne detto con strane precauzioni, come se fosse necessario mantenere il segreto sul bene che se ne pensava»[5].
Anche se i ricordi che Rousseau presenta nelle Confessions sono parziali e non sempre attendibili, possono essere utili per mostrare i segni di un’atmosfera emotiva che si stava sviluppando contro l’Émile e che induceva alcuni presunti amici, come D’Alembert o Duclos, a essere estremamente prudenti nell’esprimere pubblicamente elogi e commenti positivi sul testo. Intanto, a Parigi e in Francia le reazioni polemiche e le critiche contro il libro crescono e iniziano a fare presagire le decisioni violente che le istituzioni politiche e religiose prenderanno nelle settimane successive.
Il 3 giugno il libro viene sequestrato dalle autorità e, il giorno successivo, l’editore Duchesne informa Rousseau che la polizia sta impedendo la vendita del testo, che deve essere sospesa in tutte le librerie di Parigi e della Francia. Il 9 giugno il Parlamento decreta la condanna dell’Émile e l’arresto del suo autore[6]. Anche su consiglio del maresciallo Luxembourg, Rousseau, che avrebbe voluto rimanere per difendere le sue idee, lascia Montmorency e inizia una vita da esule e perseguitato fino alla fine dei suoi giorni. Si trasferisce a Yverdon, ma la condanna del testo anche a Ginevra lo costringe a fuggire nuovamente a Môtiers-Travers, territorio svizzero che apparteneva al re di Prussia Federico II, che gli offre protezione. Intanto, le condanne dell’Émile si moltiplicano: in Olanda le copie del libro vengono sequestrate, il Sinodo di Ginevra pronuncia la sua accusa nei confronti dell’Émile, la Facoltà teologica della Sorbonne lo censura[7] e, nel 1763, persino papa Clemente XIII si esprime a favore della condanna.
Il 28 agosto del 1762 appare anche il Mandement dell’arcivescovo di Parigi Christophe de Beaumont, che rappresenta un atto di accusa articolato contro l’Émile e, in particolare, contro le tesi di religione naturale espresse nella Profession de foi du vicaire savoyard. Secondo l’arcivescovo, l’educazione naturale proposta da Rousseau abbassa il genere umano alla condizione animale e condanna l’umanità a vivere senza religione: «[l’autore] si fa precettore del genere umano per ingannarlo, istruttore pubblico per indurre tutti in errore, oracolo del secolo per il piacere della distruzione. In un’opera sull’ingiustizia delle condizioni, egli ha abbassato la condizione dell’uomo a quella delle bestie; […] egli insegna lo sviluppo delle prime fasi d’età del bambino per costruire l’impero dell’irreligione»[8]. I dottori della Sorbonne e Beaumont si trovano d’accordo nel condannare l’empietà delle tesi rousseauiane che, secondo la loro interpretazione, utilizzano l’educazione naturale per sviluppare un sistema formativo che nega i principi della cristianità, come l’idea del peccato originale o il valore delle religioni rivelate[9]. Allo stesso tempo, però, le accuse non si limitano agli aspetti religiosi e considerano le fantasie e i ragionamenti illusori e ingannevoli dell’Émile pericolosi per l’ordine sociale[10]. Il giovane Emilio, educato secondo le idee dell’educazione naturale, è destinato a non riconoscere l’importanza dei legami sociali vigenti e a diffondere idee anarchiche e distruttive per la società.
Sicuramente, la censura del testo da parte delle autorità religiose ha prodotto effetti negativi sulla vita di Rousseau che, a cinquant’anni di età, considerato un autore di successo, si è trovato a dover fuggire e a dover condurre una vita da esule. Le tesi provocatorie, per la sensibilità religiosa dell’epoca, espresse nella Profession de foi possono permetterci di comprendere, almeno parzialmente, la violenza delle reazioni iniziali contro l’Émile. In realtà, è anche il contesto politico e sociale di quegli anni a contribuire a generare un clima così sfavorevole e unanime contro Rousseau[11]. Bisogna però osservare che non solo gli esponenti della tradizione religiosa hanno manifestato la loro ostilità nei confronti del testo rousseauiano, ma anche la cultura illuminista si è espressa, in modo forte, contro i principi educativi del Ginevrino. Voltaire dichiara, in diverse lettere dopo la pubblicazione dell’Émile, che si tratta di un testo incoerente che offende sia i filosofi, sia gli spiriti religiosi: «Jean-Jacques, che ha scritto contro i preti e contro i filosofi, è stato condannato al rogo a Ginevra per il suo Émile»[12]. Anche negli anni dell’esilio e, in particolare, durante il soggiorno inglese, Rousseau è uno dei bersagli preferiti della penna caustica di Voltaire che, in tutti i modi, cerca di sminuire il valore delle sue opere[13]. A testimonianza del clima ostile che si era creato intorno al Ginevrino negli ambienti letterari e filosofici dell’Illuminismo, anche Diderot, amico di un tempo, prende le distanze dai temi dell’Émile[14].
Gli Illuministi non perdonano a Rousseau il profondo sentimento religioso che traspare dalle pagine della Profession de foi e le critiche, più volte ripetute nel testo, alla supponenza dei filosofi e alla formazione libresca e astratta dei giovani. Le accuse del Ginevrino contro le istituzioni formative del Settecento di essere pedanti e di costruire un’istruzione astratta e lontana dalla realtà e dagli interessi dell’allievo rappresentano, per gli intellettuali illuministi, un attacco diretto nei confronti della fiducia nella ragione umana e nel progresso scientifico. La scelta di far leggere a Emilio il Robinson Crusoe come unico romanzo fino all’età di quindici anni e l’affermazione perentoria «odio i libri, perché insegnano a parlare solo di ciò che non si conosce»[15] spingono molti Illuministi a considerare frettolosamente l’Émile un trattato educativo che vuole riportare l’umanità a uno stato primitivo e a ribadire le critiche che erano già state formulate con la pubblicazione dei Discours[16]. Queste prime interpretazioni polemiche considerano l’educazione naturale come un processo che vuole formare un selvaggio, senza cultura e incapace di vivere in società. La complessa categoria metafisica di natura che è alla base del testo rousseauiano perde, in questo modo, le sue molteplici sfumature etiche e filosofiche e viene ridotta a contesto bucolico o a ipotetico stato di natura primitivo, nel quale l’umanità potrebbe vivere felicemente rinunciando alla propria socievolezza e ragionevolezza. Emilio diventa il simbolo del buon selvaggio e rappresenta un modello utopico di felicità, che può essere raggiunta solo allontanandosi dalle consuetudini e dalle norme sociali.
Questa lettura superficiale influenza molto gli ambienti culturali dell’epoca. Non a caso, vengono pubblicati negli anni successivi una serie di scritti come l’Anti-Émile di Formey[17] o la Lettre à Mr. D***, sur le livre intitulé: Émile, ou de l’éducation di padre Griffet[18], che criticano le tesi illusorie, irrealistiche e antisociali di Rousseau. La moltiplicazione di questo genere di libri testimonia l’interesse della cultura settecentesca per le questioni formative, ma contribuisce anche ad accrescere l’isolamento del pensatore ginevrino e ad accreditare un’idea riduttiva dell’Émile. Un’idea che verrà ripresa, in diverse forme e modalità, anche nei secoli successivi e che porterà a diffondere il pregiudizio che l’educazione naturale sia identificabile con un processo formativo se...

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