Scuole e maestri dall'età antica al Medioevo
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Scuole e maestri dall'età antica al Medioevo

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«Papà, spiegami allora a che serve la storia» La domanda, ancora oggi attuale, fa capolino al momento di dar conto di questa raccolta di studi dedicati alla storia della scuola, dalla Roma di età imperiale fino alla Bisanzio di fine XIII - inizio XIV secolo, passando per alcune delle figure più significative di maestri d'epoca medievale di cui è rimasta traccia. Il volume raccoglie gli atti di una giornata di studi tenutasi presso l'Università Europea di Roma il 10 dicembre 2015, con la quale il corpo docenti del Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria presso la medesima Università, insieme ad alcuni insigni specialisti del settore, ha inteso proporre al pubblico un contributo sulla storia del sistema scolastico tra mondo antico ed epoca medievale. Se la riflessione di Giuseppe Mari (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) verte sulla considerazione sociale goduta dai maestri e il ruolo che questi hanno ricoperto (o dovrebbero ricoprire) nella società, in un singolare raffronto tra l'antichità e il nostro presente, quella di Giuseppe Tognon (Lumsa, Roma) offre una nuova lettura della celebre Storia dell'educazione nell'antichità di H.-I. Marrou, un classico in questo campo di studi. A tali saggi di carattere introduttivo fanno seguito alcuni contributi di carattere più specifico: mentre Francesca Romana Nocchi (Università degli Studi della Tuscia) si concentra sulla figura dell'assistente del maestro, con particolare riferimento all'età imperiale romana, Claudio Giammona (Sapienza Università di Roma) affronta il tema dell'istruzione elementare dedicandosi soprattutto all'analisi di trattati e testi grammaticali di lingua latina; infine, Lidia Capo (Sapienza Università di Roma) scandaglia la scarsa documentazione disponibile nel tentativo di ricostruire parzialmente le varie forme d'istruzione in età longobarda, non senza cogliere interessanti spunti di riflessione anche per la nostra contemporaneità.

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Information

Un maestro nell’età dei paleologi: Massimo Planude e la tradizione sulla storia di Roma a Bisanzio* - Laura Mecella – Umberto Roberto

1. Massimo Planude e gli Excerpta Planudea

Quando, la mattina del 15 agosto 1261, ormai padrone di Costantinopoli Michele VIII Paleologo varcò trionfalmente la Porta d’Oro alla volta del monastero di Stoudion, alla folla festante che lo accompagnava parve finalmente risorgere l’antico splendore dell’impero, dopo l’ignominosa parentesi del dominio latino e decenni di dure mortificazioni. Eppure né la genialità politica di Michele (1261-1282) né l’accanita resistenza del figlio e successore Andronico II (1282-1328) riuscirono a salvare la città da un declino ormai inarrestabile: gli endogeni elementi di debolezza di questo regno dimidiato e le sempre più forti pressioni esterne, che nell’arco di due secoli avrebbero consegnato la città ai Turchi, emergono evidenti già in questa prima fase di apparente rinascita, e segnano drammaticamente i decenni a cavaliere tra XIII e XIV secolo. E tuttavia, anche in questo frangente di aspre contese militari, di difficoltà economiche e contrasti religiosi, e nonostante le spoliazioni subìte durante il predominio latino, Costantinopoli appariva ancora come la regina delle città, crocevia del commercio internazionale e residenza delle più disparate etnie dell’ecumene (vi dimoravano Russi, Serbi, Bulgari, Turchi, Veneziani e Genovesi) [1] . Di questo clima fervido di incontri e di scambi beneficiò soprattutto la vita culturale, che con le sue vette elevatissime – tali da preludere all’Umanesimo occidentale – rappresentò il canto del cigno dell’ormai morente civiltà bizantina. La storiografia più recente ha duramente contestato la connotazione di “rinascenza” per la grande fioritura intellettuale e artistica dell’èra paleologa; e se in effetti la definizione appare per molti versi impropria, è tuttavia indubbio che l’età dell’ultima dinastia bizantina vide la nascita di personalità d’eccezione, che impressero la propria impronta sulla storia culturale, non solo orientale, del periodo [2] . Tra queste, spicca certamente la figura del monaco Massimo (al secolo Manuele) Planude.
Di origine provinciale (nacque a Nicomedia in Bitinia poco dopo la metà del XIII secolo), insieme alla famiglia il piccolo Manuele si trasferì ben presto nella capitale, dove ricevette quell’eccellente educazione che gli consentì, dapprima, di svolgere servizio a corte (forse come γραμματικός, raggiungendo il rango di συγκλητικός) e, successivamente, dopo il ritiro in convento, di istituire una delle principali scuole cittadine [3] . Si discute molto sulla natura di questi centri d’istruzione costantinopolitani, che dovettero pullulare ben prima dell’avvento di Michele VIII – come efficacemente dimostra lo stesso caso di Planude; se la tesi tradizionale secondo cui essi sarebbero da considerarsi antesignani delle moderne università oggi viene perlopiù respinta, è pur vero che sulle rive del Corno d’Oro continuarono per secoli ad affluire poeti, grammatici, ma anche astronomi e matematici, che a vario livello e secondo diverse modalità impartivano, spesso a caro prezzo, il proprio insegnamento. Erano infatti le famiglie degli scolari a garantire la sopravvivenza dei μαίστορες (dei maestri): le scuole erano istituzioni private (sebbene in qualche modo soggette al controllo dello Stato e probabilmente anche del Patriarcato), incentrate sulla figura di un maestro carismatico affiancato dai suoi più fedeli assistenti. Istituzioni disomogenee sia per contenuti che per qualità dell’insegnamento, visto che mentre alcune si limitavano ad impartire i rudimenti della grammatica e delle scienze, altre potevano anche garantire ad un ristretto numero di allievi i massimi gradi d’istruzione; ma tutte finanziariamente sostenute da un’élite desiderosa di conseguire almeno quell’adeguata preparazione in campo grammaticale, retorico, filosofico e giuridico necessaria per accedere ai diversi comparti dell’amministrazione imperiale o per intraprendere una soddisfacente carriera ecclesiastica. Scuole per i rampolli dell’aristocrazia bizantina, dunque, ma non solo: sul Bosforo accorreva, per affinare la propria educazione, la jeunesse dorée di tutta Europa, d’Italia soprattutto. Dall’XI secolo circa, e nonostante le travagliate vicende militari e politiche subìte, Costantinopoli ereditò dall’Atene classica un ruolo paradigmatico nella formazione dei ceti dirigenti [4] ; e non è un caso che proprio dalla cerchia di Planude sia uscito uno degli uomini politici più insigni del tempo, nonché intellettuale di alto livello soprattutto nel campo degli studi astronomici e letterari, ovvero il potentissimo Teodoro Metochita [5] .
Poco sappiamo della vita di Planude prima della monacazione e, come si è visto, è difficile anche la ricostruzione dell’effettivo ruolo da lui ricoperto nell’apparato burocratico palatino (dove rimase almeno fino agli inizi del 1283) [6] ; certo è che, dopo il ritiro in monastero, lo vediamo a capo di un centro di studi di primo piano nella capitale [7] . Nella sua scuola, aperta ai laici e da cui uscirono insigni medici, grammatici e politici, vengono attestati vari livelli di insegnamento, da quello elementare ai gradini più alti della ἐγκύκλιος παιδεία (ovvero delle arti liberali nella loro interezza): come si deduce dall’epistolario, Massimo sembra essersi dedicato prevalentemente all’educazione degli allievi più grandi, lasciando ai monaci suoi collaboratori l’impegno di avviare all’apprendimento gli scolari più giovani.
Poliglotta e poligrafo, Planude s’interessò di grammatica, retorica, letteratura, storia, geografia, matematica, geometria, musica e astronomia: difficile trovare un campo cui l’eclettico intellettuale non abbia rivolto la propria attenzione. Ricostruì una carta geografica dell’ecumene sul modello di quella tolemaica, avviò agli studi astronomici il già citato Teodoro, compose manuali di grammatica, trattati e raccolte (celeberrima quella epigrammatica nota come Anthologia Planudea). A rendere grande il suo nome furono però soprattutto due aspetti della sua professionalità: da un lato, l’intensa attività di copia e restauro filologico dei testi; dall’altro, il lavoro di traduzione in greco di opere latine.
Allo scriptorium della scuola planudea dobbiamo infatti la realizzazione di molti codici (che trasmettono anche rari testi scientifici, come gli scritti di matematica di Diofanto di Alessandria [8] ), accompagnata da una paziente cura filologica. Come è stato scritto, «si amava riesumare vecchi libri deteriorati e lacuneux» (facendoli spesso venire dalla provincia dove fortunosamente si erano conservati), per poterli copiare restaurandone il testo [9] : per non fare che qualche esempio, vengono così prodotti nuove edizioni e commenti di Pindaro, dei tragici, di Tucidide e di Plutarco (sia il Plutarco dei Moralia che delle Vitae Parallelae, dove forse meglio che altrove si riflette la duplice vocazione planudea di filologo e di educatore). Comincia così la grande stagione della filologia bizantina di età paleologa, che anche nei due secoli seguenti vedrà illustri studiosi cimentarsi nel certosino lavoro di emendamento dei testi: degni eredi della tradizione alessandrina, i filologi bizantini avrebbero consegnato all’Umanesimo occidentale, dopo la caduta della città nel 1453, un patrimonio librario di straordinaria importanza.
Significativo è anche l’altro grande impegno di Planude, ovvero la trasposizione in greco di opere latine: a lui si devono, tra le altre, le traduzioni del Somnium Scipionis ciceroniano con il relativo commentario di Macrobio, del De trinitate agostiniano, del De consolatione philosophiae di Boezio, dei Disticha Catonis e, sorprendentemente, di alcune opere ovidiane. Nel sempre più massiccio deterioramento dei rapporti tra Oriente e Occidente causato dalla dominazione latina di Costantinopoli al termine della Quarta Crociata, la decisione di Planude di veicolare nella lingua degli Elleni opere ritenute fondative del patrimonio filosofico e letterario occidentale non soltanto appare decisiva sul piano culturale, ma acquista anche una valenza ulteriore. La scelta del De trinitate di Agostino risultò infatti funzionale alla politica unionista di Michele VIII, che per spezzare la temuta alleanza tra gli Angioini e il papato propugnò strenuamente la riunificazione delle chiese cattolica ed ortodossa (tanto da far persino sostenere che la traduzione planudea fosse stata commissionata dall’imperatore stesso); a sua volta la predilezione per Boezio, con la tentata armonizzazione della dottrina aristotelica con quella platonica, si inseriva pienamente nella querelle tra le due correnti filosofiche così accesa anche a Costantinopoli [10] . A quell’epoca, nonostante il carattere cosmopolita e multietnico della capitale bizantina, il bilinguismo era merce rara tra gli stessi intellettuali – Andronico II dovette rivolgersi proprio a Planude, ormai già da anni ritiratosi in convento, per la delicata ambasceria a Venezia del 1296-1297 (all’indomani dell’eccidio che a Costantinopoli i Genovesi perpetrarono a danno dei Veneziani), dal momento che a corte l’imperatore non disponeva di qualcuno che padroneggiasse altrettanto bene la lingua del Doge. L’interesse del dotto monaco appare dunque ancor più degno di nota: è evidente la volontà di diffondere la conoscenza della cultura latina sia presso i propri allievi che presso i concittadini, favorendo, attraverso il superamento della barriera linguistica, l’abbandono degli antichi pregiudizi verso la letteratura del nemico; ed è forse da questa medesima istanza di mediazione culturale che nasce e si sviluppa anche lo spiccato interesse di Planude per la storia dell’antica Roma.
Un’efficace sintesi di entrambe le caratteristiche che sono state individuate come precipue del magistero planudeo – estrema cura per la conservazione del testo ed amore per il mondo latino – è infatti rintracciabile nel manuale di storia romana redatto come sussidio alle lezioni e convenzionalmente noto con il nome di Excerpta Planudea [11] . Si tratta di una raccolta di circa 335 escerti di storia romana, da Romolo all’età di Graziano, conservata come parte di una più ampia Synagoge (Συναγωγή) contenente brani di diverso argomento e tratti da svariati autori [12] . La sezione di storia romana è ancora in gran parte inedita (l editio princeps del cardinale Angelo Mai interessa parzialmente solo 90 frammenti e i successivi studi si sono concentrati perlopiù sui primi 44 brani dell’opera), e poca attenzione ha sinora suscitato presso la critica moderna [13] . Da ciò che è possibile ricostruire dagli studi fin qui condotti, la silloge può essere così suddivisa: mentre i primi 5 brani risultano di varia ascendenza, gli escerti 6-44 derivano da Giovanni d’Antiochia (e ad essi è interamente dedicato il secondo paragrafo del presente contributo). Per i frammenti dal nr. 45 in poi, fino all’anno 229 d.C. si individua la tradizione di Cassio Dione filtrata dall’epitome di Xifilino, mentre per il periodo successivo sino a Graziano, Planude si sarebbe servito principalmente dell’opera di Peanio (che alla fine del IV secolo tradusse in greco il Breviarium di Eutropio), contaminandola con la stessa fonte impiegata nel XII secolo da Costantino Manasse (autore, a sua volta, di una cronaca...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Scuole e maestri dall’età antica al Medioevo
  3. Indice dei contenuti
  4. PREMESSA
  5. La figura del maestro fra antichità e contemporaneità - Giuseppe Mari
  6. «Morfologia» delle culture e «forma» dell'educazione classica nell'opera di H.-I. Marrou - Giuseppe Tognon
  7. Assistant professor: ruoli e pratiche didattiche fra antico e moderno* - Francesca Romana Nocchi
  8. Molestus rudimentorum labor: osservazioni sull’insegnamento elementare - Claudio Giammona
  9. I longobardi e la scuola - Lidia Capo
  10. Suos liberaliter instruxit: l’insegnamento di Gerberto d’Aurillac - Laura C. Paladino
  11. Un maestro severo nelle memorie di Guiberto di Nogent - Luigi Russo
  12. Eloisa e il filosofo pregiuidizi e stereotipi tra storia della lettura e delle idee - Riccardo Fedriga
  13. Un maestro nell’età dei paleologi: Massimo Planude e la tradizione sulla storia di Roma a Bisanzio* - Laura Mecella – Umberto Roberto
  14. INDICE DEI NOMI
  15. CULTURA STUDIUM - Nuova serie