1. Introduzione
Il presente momento che vive la nostra società è decisamente critico e non trova paragoni con quanto successo in passato: esso sembra sfidare in modo particolare le esperienze associative, intese come tutte le organizzazioni (siano esse aziendali o meno). Al riguardo è estremamente importante analizzare quello che può essere il legame che intercorre fra l’innovazione in generale e, in modo più specifico, l’innovazione nell’ambito della comunicazione e delle sue forme. In quest’ottica, bisogna soffermarsi brevemente su quelli che sono stati i fattori determinanti della presente situazione e procedere ad un’interpretazione della realtà alla luce di alcune teorie sociologiche, che sembrano cogliere aspetti centrali di alcune profonde dinamiche sociali, facendo riferimento agli studi di McLuhan [1] , Parsons [2] , Bauman [3] e Carr [4] . Essere il più oggettivi possibile, utilizzando anche toni aspri se necessari, è imperativo al fine di uscire da una critica sterile al sistema evolutivo delle organizzazioni e per valutare realisticamente, nel contempo, le esperienze che li hanno condotti nel corso del tempo a perdere la capacità di interagire fluidamente con l’ambiente all’interno del quale si trovano ad operare, confidando nella possibilità di invertire tale tendenza.
1.1. Le criticità dell’innovazione
«Anche se siete sulla strada giusta, resterete travolti dagli altri se vi siederete ad aspettare» [5] (Thaler, 2002: 147). Questa frase di Godfrey esemplifica in modo perfetto le problematiche esistenti nel rapporto che storicamente è intercorso fra le organizzazioni e l’innovazione. Sebbene dalla fine del secolo scorso si sia progressivamente cercato di evolvere le organizzazioni aziendali ripensandole in un’ottica per cui tendevano a comportarsi sempre più come veri e propri organismi viventi (specialmente in alcuni settori come le telecomunicazioni e quelli legati al mondo di internet), nel complesso la connessione tra evoluzione della comunicazione aziendale e mutamenti socio-economici è stata debole. Anzi, in alcuni settori industriali, il cambiamento è sovente stato visto come un elemento da temere, da evitare, in quanto non solo foriero di extra costi ma anche come elemento del tutto non necessario. Si è spesso preferito crogiolarsi nel caldo rifugio fornito dalle esperienze consolidate, piuttosto che arrischiarsi in sconosciute innovazioni: il tutto per restare ciecamente aggrappati a paradigmi culturali, organizzativi e comunicativi che appartengono ad un mondo che sta morendo. Così come lo struzzo impaurito nasconde la testa sotto la sabbia, per anni, gran parte dei management di rinomate organizzazioni aziendali hanno evitato di vedere ed interagire con i cambiamenti del mondo che li circondava. Si tratta di un’attitudine che è alimentata da una serie di elementi, tra loro certamente collegati. Tra tutti sia consentito richiamarne almeno alcuni: a. il problematico, e sovente incompreso, rapporto fra risorse culturali innovative e comunicazione aziendale sostenibile; b. la difficile congiuntura economica, c. la presenza di archetipi peculiari del mondo aziendale.
a) Il problematico, e sovente incompreso, rapporto fra risorse culturali innovative e comunicazione aziendale sostenibile.
Una comunicazione sostenibile [6] è spesso una chimera per un’organizzazione: essa, infatti, tende continuamente verso il raggiungimento di questo traguardo, senza purtroppo mai raggiungerlo. Più che un obiettivo, la comunicazione sostenibile può essere definita come il risultato di un continuo processo evolutivo che non può mai essere arrestato. Il concetto di società liquida [7] aiuta a comprendere il perché di questa fugacità: l’esperienza individuale e le relazioni sociali sono entità segnate da caratteristiche e strutture che vanno progressivamente mutando in modo rapido, ondivago ed indeterminabile. Qualunque organizzazione desideri perseguire una comunicazione sostenibile deve, pertanto, strutturarla in modo che possa seguire questo moto perpetuo di evoluzione.
Una volta chiarito il nesso fra la sostenibilità della comunicazione e l’organizzazione è utile chiarire come essa possa perseguire questo continuo processo innovativo. Non è sufficiente, infatti, l’impiego di nuovi mezzi di comunicazione, se non si prevede di affiancarvi nuovi mezzi cognitivi e nuove modalità con cui proporre contenuti. Dal punto di vista sociale, i mezzi di comunicazione canonicamente utilizzati hanno definito precise modalità comportamentali degli individui, ed i nuovi mezzi cognitivi personali hanno potenzialità di modificare anche radicalmente le influenze sociali dei media. Assumendo queste due ipotesi è ragionevole pensare che se non si aggiornano i propri mezzi cognitivi e non ci si adegua alle modalità comportamentali prescritte dalle nuove tecnologie, non è ipotizzabile la gestione delle influenze sociali dei media. Per l’organizzazione, dunque, emerge l’esigenza di una comunicazione mirata e moderna che soppianti una comunicazione adatta per tutti e per ogni occasione, e che sia indirizzata ai bisogni specifici dei vari target. Per far ciò, è imperativo un educarsi permanente che contempli l’innesto di elementi culturali propri di altre industry e background sociali. Proprio l’educazione, intesa sia come modalità di formazione per poter essere al passo con i tempi, sia come condizione necessaria per essere protagonisti dell’innovazione, ricopre un ruolo di assoluto rilievo in ogni organizzazione.
Il processo continuo che porta alla distruzione e ricostruzione creativa delle vecchie forme di comunicazione non è per nulla repentino, e forse anche per questo, viene ben assimilato da tutti i soggetti preposti alla sua pianificazione e realizzazione. Tradurre in pratica ciò che si può apprendere a livello teorico dallo studio delle altre industry non è un processo semplice. Il raggiungimento dell’obiettivo prefissato, ovvero di un processo innovativo e continuo mirato alla sostenibilità della comunicazione, è possibile unicamente tramite l’impiego di quei concetti presi in prestito dalle scienze aziendali, per cui un’organizzazione necessita di saper comunicare internamente, prima ancora che esternamente. Partendo dalle teorie riguardanti la strategia della comunicazione [8] , si può comprendere come la comunicazione non possa essere gestita in modo non organizzato né, tantomeno, da risorse prive di quel background teorico sufficiente a supportare il cambiamento. Per questo preciso scopo è necessario saper inserire nuove risorse caratterizzate da forti professionalità specifiche e che sappiano introdurre concetti teorici propri di altre realtà nell’organizzazione nella quale operano. Grazie a questi soggetti è possibile, infatti, sviluppare un’apertura mentale nei confronti delle tecniche e delle pratiche utilizzate da altre organizzazioni per comunicare e questo rende possibile lo sviluppo di quelle contaminazioni culturali e di stile che tanto valore possono portare all’impresa.
In conclusione è possibile sostenere che il miglioramento continuo, tramite l’impiego di risorse esterne all’organizzazione ed una forte organizzazione dei processi, è l’unico cammino intraprendibile per qualunque impresa voglia perseguire una comunicazione sostenibile.
b) La difficile congiuntura economica
La drammatica congiuntura economica che ha colpito l’economia mondiale nell’ultimo decennio ha messo a dura prova i sistemi aziendali globali. In una contingenza così critica, infatti, i management sono stati per lo più dediti ad effettuare drastici tagli e riduzioni di costi per salvare le proprie aziende, piuttosto che dedicarsi a sviluppare percorsi evolutivi per le loro organizzazioni. Termini come “ downsizing aziendale” ed il crollo degli investimenti in Ricerca e Sviluppo hanno fatto sì che quelli che un tempo potevano a buon diritto essere definiti come gioielli del panorama economico mondiale si siano trasformati in volgari monili di stagno. Risulta chiaro come una scelta così drastica sia stata dettata dall’estrema necessità della contingenza, tuttavia è fondamentale riprendere, non senza difficoltà, a guardare al futuro in un’ottica di miglioramento. Se non si ricomincerà presto ad investire in innovazione aziendale, specialmente per quanto riguarda la comunicazione, molte altre organizzazioni verranno sacrificate sull’altare della crisi.
c) La presenza di archetipi peculiari del mondo aziendale
Nella psicologia analitica di Jung e delle sue evoluzioni meno pervase dal misticismo, gli archetipi si presentano come un contenuto dell’inconscio collettivo che determinano la tendenza a reagire ed a percepire la realtà secondo forme tipiche costanti nei vari gruppi culturali e periodi storici. Jung, riferendosi all’inconscio collettivo, segnala che gli archetipi comunicano «al mondo effimero della nostra coscienza [...] lo spirito dei nostri ignoti antenati, il loro modo di pensare e di sentire, il loro modo di sperimentare la vita e il mondo, gli uomini e gli dei» [9] . La caratteristica saliente di un archetipo consisterebbe, dunque, nel fatto che i contenuti nei livelli più profondi dell’inconscio non risultano mai accessibili direttamente ma affiorano nel linguaggio figurato, nei simboli, nei miti e nelle rappresentazioni. In particolare, secondo alcune evoluzioni del pensiero junghiano, l’inconscio collettivo può essere ragionevolmente immaginato come un elemento che affiora in ciascun individuo dall’esperienza comune, dall’istinto o dalla cultura condivisa. Ora sembra rintracciabile la presenza di archetipi peculiari nelle organizzazioni aziendali quando si osserva come molti appartenenti ad esse, ritengano che vi siano delle forme prescritte ed immutabili con le quali comunicare ed agire. Oltre ad una serie di forme espressive vetuste, si rileva spesso la persistenza di vocaboli ad esclusivo appannaggio degli addetti ai lavori, che sovente risultano incomprensibili per la vasta platea dei portatori di interessi. Per quel che concerne le linee d’azione, poi, spesso si rileva un attaccamento quasi patologico a modalità proprie di un’epoca che non c’è più e che non hanno più ragion d’essere. Le stesse forme di organizzazione sono ormai paragonabili a dei pachidermi lenti ed ingombranti, che vengono quasi ricreati per gestire quella stessa realtà che li mette in crisi, diventata ormai così mutevole da poter essere definita “liquida”. Il concetto di “società liquida”, come è noto, è di natura sociologica e nasce con Bauman [10] . Esso considera l’esperienza individuale e (come diretta conseguenza) le relazioni sociali come entità segnate da caratteristiche e strutture che si vanno progressivamente disgregando e poi riaggregando in modo rapido, ondivago ed indeterminabile. Si tratta di un’attitudine che appare in contraddizione con il concetto stesso di azione sociale, che Parsons richiama come comportamento motivato ed influenzato da precise cause che consistono nello scopo di raggiungere determinati obiettivi. Nel modello parsonsiano [11] , infatti, le chance di sopravvivenza dei sistemi sociali e delle società dipendono direttamente tanto dal procacciamento delle risorse quanto dal perseguimento degli scopi collettivi, dal mantenimento della struttura latente e dall’integrazione. Già nel 1937 Parsons ricordava il legame che intercorre tra adattamento e funzione, individuando le azioni delle parti sociali come quelle rivolte a realizzare il benessere del lavoratore o del cittadino. Partendo da questo assunto, egli procedeva a definire quattro elementi propri dell’azione sociale:
un soggetto, che può essere individuale o composto da una pluralità di individui;
una situazione che ha al suo interno fattori umani, sociali o naturali con cui si relaziona;
un sistema di simboli con i quali il soggetto interpreta gli elementi della situazione e le proprie azioni;
un complesso di regole per le quali l’azione si crea.
Considerando questi quattro fattori alla luce delle dinamiche dell’attuale situazione, si può osservare che nel corso degli ultimi decenni i soggetti che indirizzano e rappresentano i management aziendali sono restati pressoché gli stessi. Diversa sorte è toccata agli altri fattori. La situazione umana e sociale con cui questi soggetti si relazionano è cambiata in maniera radicale, in quanto espressione di una società totalmente impensabile anche fino ad un paio di decadi fa. Il cambiamento di tale variabile determina una trasformazione a catena che influenza, o meglio dovrebbe influenzare, il sistema di simboli con cui interpretare le situazioni ed il complesso di regole che determina l’azione. È proprio in questo punto che il meccanismo di comunicazione aziendale si è inceppato. Così come un motore con problemi di carburazione, si è progressivamente ridotta la capacità di questi soggetti di farsi comprendere dai loro stakeholder.
1.2. La comunicazione fra pionierismo ed atteggiamento conservatore
Il pensiero della Scuola di Toronto, così come espresso da McLuhan [12] e de Kerckhove [13] , esprime un accentuato determinismo tecnologico: essi postulano l’idea che, all’interno di una società, la struttura mentale delle persone e la cultura siano influenzate dal tipo di tecnologia di cui tale società dispone. Ripercorrendo la storia dell’umanità tramite un’analisi evolutiva delle tecnologie della comunicazione, si giunge a sostenere che al mutamento sociale corrisponde un cambiamento tecnologico delle modalità comunicative. McLuhan già nel 1962 sosteneva la convinzione che gli strumenti tecnologici siano estensioni delle estremità e dei sensi dell’uomo, e pertanto vi è la vitale necessità di conoscere il meglio possibile le tecnologie a disposizione. L’aumento delle difficoltà di comprensione, evidenziato nel passaggio per cui «Ogni miglioramento nelle comunicazioni aumenta le difficoltà di comprensione» [14] , va di pari passo con uno scarso o assente aggiornamento dei fruitori della comunicazione, i quali rimangono vittime di uno stato di torpore intellettuale causato dalle assunzioni non neutrali intrinseche in ciascuna tecnologia. Forse questa frase ha ispirato così profondamente molti odierni esponenti appartenenti ai management aziendali da portarli a mantenere forme comunicative stereotipate ed arcaiche. Forse, dunque, la staticità delle forme è stata male interpretata nelle sue motivazioni: essa non sarebbe, dunque, imputabile al timore del cambiamento o, peggio ancora, ad una cecità volontaria che porta ad ignorare gran parte dei mutamenti della società moderna. Il dilemma è grande e la soluzione potrebbe essere complessa … Oppure, anche questa volta, il Rasoio di Ockham potrebbe farci strada verso una soluzione più semplice. Secondo questa regola pratica ideata per scegliere validamente tra due ipotesi proposte, in quanto entrambe caratterizzate dalla stessa capacità di spiegare i fenomeni...