Paolo VI
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Una biografia

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Una biografia

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L'Istituto Paolo VI di Brescia propone ai lettori una biografia di Paolo VI che ripercorre le tappe fondamentali della vicenda umana ed ecclesiale di Giovanni Battista Montini, a partire dalle origini familiari e dall'ambiente bresciano in cui aveva mosso i primi passi, attraverso il servizio in Segreteria di Stato e il ministero episcopale a Milano, fino al periodo del pontificato, il quale è stato indissolubilmente intrecciato con la prosecuzione del Vaticano II e con l'attuazione degli orientamenti maturati dall'assemblea conciliare.Il volume si basa sul lavoro di raccolta di documenti, di edizione di fonti, e sugli studi storici e teologici condotti nel corso degli anni dal centro di studi bresciano e, per la prima volta, può giovarsi della pubblicazione dello scambio epistolare che negli anni giovanili Giovanni Battista Montini ha intrattenuto con numerosissimi corrispondenti. Gli autori, infine, hanno potuto avvalersi delle testimonianze su Giovanni Battista Montini-Paolo VI raccolte in vista del processo di beatificazione. Introduzione di Angelo Maffeis, Presidente dell'Istituto Paolo VI Il volume è costituito da quattro parti divise cronologicamente, scritte da diversi autori: Xenio Toscani (1897-1933) Fulvio De Giorgi (1934-1954) Giselda Adornato (1954-1963) Ennio Apeciti (1963-1978)

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CAPITOLO QUARTO

L’EPISCOPATO MILANESE

L’incontro con l’arcidiocesi

«La figura del Vescovo, voi lo sapete, non è semplice. Tanta esteriorità lo circonda, che dirà, sì, la singolarità e la sublimità delle funzioni episcopali; ma può darsi ch’essa oggi più confonda che non chiarisca le idee su ciò che il Vescovo veramente è, e più che offrire un’espressione genuina della sua missione, diventi, all’occhio del popolo, oggi ormai inesperto nel linguaggio simbolico della Chiesa, una figurazione strana e anacronistica, un costume convenzionale puramente decorativo, o un’incomprensibile rappresentazione d’ignote realtà» [1] .
Così si esprime il card. Giovanni Battista Montini, il 22 maggio 1961, a Lugano (Svizzera), dove si è recato per il venticinquesimo anniversario di ordinazione episcopale dell’amministratore apostolico della città, mons. Angelo Giuseppe Jelmini, suo amico [2] . A fronte di quella confusa e lontana definizione del vescovo, aggiunge il card. Montini, altre invece ne chiariscono il magistero e il governo, ma tutte quelle diverse qualifiche si riassumono in una sola, «la parola più familiare e più densa di significato, il Pastore» [3] . È lo stesso Montini, dunque, ad offrire la chiave di lettura più adatta del suo episcopato, quella che egli vive nei diversi settori della grande arcidiocesi milanese.
Nelle ultime settimane del 1954, precedenti l’arrivo in diocesi, egli incontra a Roma i principali rappresentanti del mondo ecclesiastico ambrosiano e delle sue associazioni laicali per avere un quadro più chiaro di quanto lo attenda [4] . Rivelatrice di un’attenzione pastorale che svilupperà nel corso della sua esperienza episcopale è la decisione del neoeletto arcivescovo di esercitarsi nel rito ambrosiano con l’aiuto di mons. Ernesto Camagni, minutante in Segreteria di Stato e suo amico, nativo di Baruccana, vicino a Monza.
A Milano non arriva un intellettuale astratto, ma un sacerdote molto conosciuto e impegnato, anche se vive un momento di sgomento spirituale per le sue nuove responsabilità, come scrive il 7 aprile 1955 all’amico mons. Giuseppe De Luca: «Io sto misurando l’aspetto formidabile del mio ministero, e sperimento fino alla sofferenza l’angustia delle mie capacità, l’inettitudine della mia debolezza. Ho tanto bisogno che Dio mi prenda in mano» [5] . Qualche mese dopo, il 20 agosto 1955, in una lettera al trappista Thomas Merton, finissimo scrittore convertito, conservata nell’archivio privato di mons. Pasquale Macchi, segretario personale di G.B. Montini-Paolo VI, riflette: «Di solito, nessuno gode della conquista di condizioni conformi ai propri sogni e ai propri piani; circostanze provvidenziali cambiano il programma pratico della nostra vita; e bisogna alla fine amare e servire quella forma di vita che le vicende provvidenziali del nostro pellegrinaggio ci impongono».
La grande diocesi ambrosiana è solidamente sostenuta da istituzioni come l’Università Cattolica del Sacro Cuore, il seminario di Venegono Inferiore (Varese) e le altre quattro sedi vocazionali [6] , molteplici opere assistenziali e culturali, un forte sviluppo dei movimenti giovanili ; vi si stampa il quotidiano cattolico nazionale «L’Italia». Il territorio vanta numeri di tutto rispetto, ma che non devono illudere: circa 3.700 sacerdoti e religiosi, 14.600 suore, 946
parrocchie, che contano da 40.000 fedeli in periferia a soli 92 nella parrocchia del Duomo; una popolazione di tre milioni e mezzo di anime, con ben 200.000 soci dell’Azione Cattolica e 50.000 aclisti, ma al cui interno una percentuale variabile tra il 14 e il 35% frequenta la messa domenicale. Questo il quadro che attende Montini.
Egli arriva in diocesi il 4 gennaio 1955 in treno, da Roma, fermandosi a Lodi per il saluto delle autorità religiose e civili. Da lì prosegue in automobile e, giunto nei pressi di Melegnano, entrando nel territorio della diocesi ambrosiana si prostra a terra, appoggia nel nevischio il suo cappello e, tra lo stupore dei presenti, bacia la strada bagnata e fangosa della diocesi recitando una preghiera: a significare l’umile accettazione di quella terra come sua, una promessa di amore e di servizio. Quindi l’arcivescovo prosegue il suo viaggio fino al Collegio degli oblati missionari di Rho, dove pernotta fino al giorno dell’ingresso ufficiale in Milano, il 6 gennaio.
Mons. Montini è senz’altro un ministro pienamente consapevole del suo nuovo ruolo. Dice, infatti, ai fedeli nel solenne discorso d’ingresso: «Apostolo e Vescovo io sono; Pastore e Padre, maestro e ministro del Vangelo; non altra è la mia funzione fra voi» [7] . Ed espone un progetto pastorale che si sviluppa tra due poli: fedeltà e difesa della tradizione cattolica ambrosiana, e suo rinnovamento per rispondere adeguatamente al tempo attuale, all’«umanesimo buono della vita moderna» [8] . In una temperie storico-ecclesiale caratterizzata perlopiù da atteggiamenti di arroccamento o di contrapposizione nei confronti della modernità, Montini prospetta invece un incontro tra due ricchezze: quella di una Chiesa secolare carica «di santità, di arte, di storia, di letteratura, di carità» e quella «meravigliosa e modernissima di vita e voglio dire di lavoro, d’industria, di commercio, di arte, di sport, di politica» [9] . Parallelamente i criteri di azione individuati dall’arcivescovo viaggiano su due binari: «Approfondire e allargare» [10] . Approfondire il nucleo vivo della fede per liberarla da tutte le esteriorità e i compromessi che ne appannano la forza evangelizzatrice: « Non nova, sed nove » [11] , dice il presule, e lo ripeterà ancora nel corso del suo episcopato. Ma egli invita anche ad approfondire – in un percorso che promette di seguire per primo – i multiformi atteggiamenti verso la religione degli uomini d’oggi, che vanno dal fervore all’ateismo, passando a volte per formalismi e devozioni che inquinano la purezza del messaggio cristiano.
La seconda fase che egli propone all’arcidiocesi, quella dell’allargare, è più problematica, perché pone il consueto problema dei confini tra sacro e profano; ma Montini, dando per acquisite le distinzioni, si mostra molto fermo sul «diritto sp...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Paolo VI
  3. Indice dei contenuti
  4. INTRODUZIONE
  5. CAPITOLO PRIMO
  6. CAPITOLO SECONDO
  7. CAPITOLO TERZO
  8. CAPITOLO QUARTO
  9. ​CAPITOLO QUINTO
  10. CAPITOLO SESTO
  11. CAPITOLO SETTIMO
  12. CAPITOLO OTTAVO
  13. CAPITOLO NONO
  14. INDICE DEI NOMI