L'anima in fabbrica
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Storia, percorsi e riflessioni dei preti operai emiliani e lombardi (1950-1980)

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L'anima in fabbrica

Storia, percorsi e riflessioni dei preti operai emiliani e lombardi (1950-1980)

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I preti operai iniziarono a lavorare in Francia durante la Seconda guerra mondiale e, dalla fine degli anni Sessanta, anche in Italia alcuni sacerdoti entrarono in fabbrica per condividere le condizioni di vita dei lavoratori. Lo sviluppo dell'esperienza italiana assunse caratteri del tutto singolari, anche per le differenze esistenti nelle varie regioni e per la coincidenza con le fasi più turbolente della contestazione nel post-Concilio. Scegliere il lavoro manuale, per una parte del clero italiano, significò non soltanto un tentativo di ritorno alle comunità cristiane delle origini, ma pure partecipare attivamente alle lotte sociali e politiche che stavano investendo la società. Il caso emiliano e quello lombardo, ora presentati nel libro, permettono di conoscere in maniera ravvicinata le riflessioni di natura teologico-pastorale e le scelte politico-sociali, costantemente al centro delle discussioni nei convegni nazionali del collettivo dei preti operai italiani e della loro azione a livello locale.

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1. La nascita dei preti operai in Francia

Nell’aprile del 1943, il cardinal Emmanuel Célestin Suhard (arcivescovo di Parigi dal 1940 al 1949) lesse il dattiloscritto di Henri Godin e Yvan Daniel che sarebbe stato alla base del libro La France pays de mission? sulla condizione del cristianesimo negli ambienti operai. L’anno precedente aveva incontrato i due assistenti della Joc e li aveva sollecitati a scrivere le loro riflessioni sull’apostolato tra i giovani lavoratori nelle periferie urbane e di proporre soluzioni all’allontanamento del proletariato dalla Chiesa. La forte impressione destata dalla lettura del dattiloscritto convinse Suhard della necessità di diffondere quelle considerazioni e di tentare una nuova esperienza di apostolato. Nel maggio del 1943 incontrò i due autori, concordando l’istituzione della Mission de Paris, un gruppo di preti e laici esclusivamente impegnati negli ambienti operai [1] . Da molto tempo, il cardinale di Parigi era preoccupato dai problemi sollevati dai due giovani preti e le circostanze non facevano che ravvivare la sua ansia. Nel 1941 aveva promosso la fondazione della Mission de France, un seminario che accoglieva allievi da tutte le diocesi francesi per prepararli all’azione negli ambienti più scristianizzati, sia nelle città, sia nelle campagne. Nella primavera del 1943, aveva poi ottenuto il consenso dell’Assemblea dei cardinali e degli arcivescovi di Francia per dare il mandato ad alcuni preti di partire in incognito come operai in Germania per assistere i lavoratori francesi deportati. L’esperienza dei preti operai, che Fouilloux definisce come un «court-circuit inédit entre la condition ouvrière et le sacerdoce» [2] , produsse in Francia un cambiamento decisivo nell’intervento dei cristiani negli ambienti operai: ai sindacalisti cristiani spettava la difesa dei diritti dei lavoratori, ai militanti di Azione cattolica l’animazione religiosa, in particolare dei giovani lavoratori, e al “corpo franco” dei preti operai la presenza nelle fabbriche e nei cantieri per promuovere la “missione operaia”.
Alcuni ritornati dai campi di lavoro tedeschi [3] , cessata la guerra, decisero comunque di proseguire l’esperienza nelle fabbriche: in Germania, erano entrati in contatto con numerosi militanti comunisti provenienti da tutta Europa e avevano sperimentato nuove forme di annuncio del messaggio cristiano. Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta, oltre un centinaio di preti appartenenti sia al clero diocesano, sia a ordini religiosi, iniziarono a lavorare nelle fabbriche e nei cantieri, assumendo in alcuni casi anche incarichi sindacali nel sindacato comunista Cgt. La vicinanza di alcuni preti francesi ai movimenti di orientamento comunista destò i sospetti della curia vaticana e dei vescovi, confermati in occasione dell’arresto di due sacerdoti avvenuto il 28 maggio 1952, durante una manifestazione pacifista contro il generale americano Matthew Bunker Ridgway. Gli spazi di azione dei preti operai parvero restringersi, anche a seguito della morte nel maggio 1949 del cardinal Suhard e della pubblicazione nel luglio dello stesso anno del decreto di scomunica dei comunisti emanato da Pio XII che l’anno successivo firmò l’enciclica Humani generis, anche per contrastare la diffusione nella Chiesa di posizioni teologiche e filosofiche giudicate erronee. La vicinanza dei preti operai ai militanti comunisti cadeva sotto la condanna delle affermazioni pontificie:

Chiunque osservi il mondo odierno, che è fuori dell’ovile di Cristo, facilmente potrà vedere le principali vie per le quali i dotti si sono incamminati. Alcuni, senza prudenza né discernimento, ammettono e fanno valere per origine di tutte le cose il sistema evoluzionistico, pur non essendo esso indiscutibilmente provato nel campo stesso delle scienze naturali, e con temerarietà sostengono monistica e panteistica dell’universo soggetto a continua evoluzione. Di quest’ipotesi volentieri si servono i fautori del comunismo per farsi difensori e propagandisti del loro materialismo dialettico e togliere dalle menti ogni nozione di Dio [4] .
Il 22 e il 23 maggio 1953, a Parigi, una delegazione di preti operai fu ricevuta da alcuni vescovi francesi, per chiarire la propria posizione in merito all’azione missionaria e agli impegni in campo sindacale e politico. I vescovi erano preoccupati delle posizioni che avevano preso certi sacerdoti al lavoro: per i preti operai, la lotta di classe era un fatto inevitabile causato dal regime capitalistico che obbligava i proletari a difendersi per tutelare i propri diritti; di fronte a tale realtà, la classe operaia non poteva accettare una fede religiosa sostenuta da una Chiesa considerata fiancheggiatrice della borghesia e dei suoi interessi politici [5] . I vescovi ritenevano queste scelte un allontanamento dalle funzioni sacerdotali e la negazione di quella che era considerata la necessaria distinzione tra funzioni del clero e ruolo del laicato. Il 27 maggio 1953 l’arcivescovo di Marsiglia, Jean Delay, ordinò ai preti operai della sua diocesi di cessare il lavoro; il 1° giugno dello stesso anno giunse a Parigi il nuovo nunzio apostolico Paolo Marella (per sostituire Angelo Roncalli, considerato poco solerte nel trasmettere le direttive vaticane in Francia); il 26 giugno il cardinale Eugène Tisserant, decano dei cardinali, comunicò all’episcopato francese, secondo quanto diffuso da un’agenzia di stampa, che «Le Vatican souhaite la suppression pure et simple des pretres-ouvriers contaminés par le virus soviétique» [6] . Con la lettera del 27 luglio 1953, resa pubblica in settembre, il cardinal Pizzardo, prefetto della Congregazione dei seminari, vietò l’ingresso dei seminaristi in fabbrica per svolgervi dei periodi di formazione [7] . Con la stessa intenzione, il nunzio Paolo Marella il 23 settembre 1953 convocò i vescovi francesi per comunicare loro le decisioni prese dalla Santa Sede in merito alla questione dei preti operai. Durante l’incontro, al quale parteciparono 26 vescovi, fu ordinato di far rientrare dal lavoro tutti i sacerdoti, senza accennare alle disposizioni vaticane, ma agendo sotto la propria responsabilità, e di redigere una lista da inviare a Roma delle persone soggette al provvedimento. Achille Liénart (arcivescovo di Lilla dal 1928 al 1968) e Maurice Feltin (successore di Suhard, arcivescovo di Parigi dal 1949 al 1966) segnalarono le gravi conseguenze che tale gesto avrebbe comportato per la Chiesa di Francia, soprattutto di fronte agli ambienti operai. I preti operai della regione parigina inviarono a Feltin un documento di difesa, il cosiddetto Document vert , nel quale criticavano aspramente la formazione borghese del clero e l’immagine degli ambienti operai sostenuta dalla Chiesa, e ricordavano le intenzioni che avevano dato avvio alla Mission de Paris dieci anni prima. I sacerdoti che erano entrati nelle fabbriche e nei cantieri avevano compreso che non era possibile esimersi dalla lotta per la liberazione della classe operaia di cui si sentivano indissolubilmente parte. Giunti ad una simile consapevolezza, per i sacerdoti era difficile, se non impossibile, tornare indietro.
Il 5 novembre 1953 i cardinali Maurice Feltin, Achille Liénart e Pierre-Marie Gerlier (arcivescovo di Lione dal 1937 al 1965) si recarono a Roma in udienza da Pio XII, alla presenza dei cardinali Montini, Ottaviani e Pizzardo. Il papa espresse immediatamente le sue preoccupazioni, legate allo stravolgimento del sacerdozio e al pericolo di contaminazioni marxiste. Questo, pur tuttavia, non voleva significare che i sacerdoti non potessero compiere il loro apostolato in ambienti operai, né che non potessero dedicarsi al lavoro manuale. Occorreva, però, limitare il loro campo di azione, evitando così potenziali derive. Al ritorno da Roma, Feltin convocò il superiore del seminario della Mission de France e il 16 novembre rese pubblica una dichiarazione [8] . Secondo il documento, i sacerdoti erano autorizzati a mantenere gli impegni di apostolato in ambiente operaio, ma ad alcune condizioni: dovevano essere scelti in modo adeguato dal proprio vescovo; dovevano ricevere una formazione solida, sia dal lato dottrinale, sia da quello della direzione spirituale; dovevano lavorare manualmente per un tempo limitato, per poter adempiere agli obblighi dello stato sacerdotale; non dovevano assumere impegni sindacali o politici, in quanto demandati ai laici; non dovevano vivere isolati, ma in una comunità di sacerdoti o in una parrocchia.
Il 25 gennaio 1954 i vescovi francesi inviarono una lettera a tutti i preti operai francesi, invitando tutti i sacerdoti che non sarebbero riusciti a ottenere la riduzione delle ore lavorative a lasciare l’attività entro il 1° marzo 1954. Entro quella data, i sacerdoti dovevano anche abbandonare gli impegni sindacali. A coloro che non si fossero sottomessi alle disposizioni episcopali, non soltanto sarebbe stata tolta ogni missione, ma, sarebbero state comminate le pene canoniche e, nel caso di domanda di riduzione allo stato laicale, questa non sarebbe stata accolta. Di fronte alla lettera, oltre settanta preti operai presenti nelle diocesi francesi stesero una nota pubblicata il 3 febbraio 1954 sul quotidiano comunista «L’Humanité», tale documento denunciava le condizioni poste dall’autorità ecclesiastica. Le motivazioni religiose, che erano state portate dalla gerarchia a giustificazione di tale scelta, non erano considerate valide dai preti al lavoro che sostenevano che la vita di lavoratori non avesse impedito loro di rimanere aderenti alla fede cristiana e al sacerdozio. La situazione era, però, irreversibile. Nonostante l’eco che la vicenda ebbe sulla stampa e le esortazioni dei sacerdoti, si era giunti a una decisione definitiva.
Il 20 e il 21 febbraio 1954, fu tenuta una riunione di tutti i preti operai francesi a Villejuif, nei locali del Café de la paix. Durante questa assemblea tutti presero la parola esponendo le ragioni della propria scelta. Circa metà del centinaio di preti al lavoro in Francia in quel momento decise di non sottomettersi alla decisione della curia vaticana [9] .
Le limitazioni imposte nel 1954 non bloccarono totalmente le esperienze di lavoro dei preti operai francesi. Il caso della comunità di sacerdoti e religiosi nel quartiere operaio di Gerland, situato nella periferia operaia a sud di Lione, rappresenta un esempio del modo in cui una parte della Chiesa di Francia reagì all’interdizione del 1954. Fu il vescovo ausiliare della diocesi di Lione, Alfred Ancel, a guidare il gruppo [10] . La vicenda ha una sua peculiarità, e di certo anche una sua unicità. La scelta di monsignor Ancel destò un certo interesse nell’opinione pubblica francese, anche a seguito di alcuni servizi giornalistici, lasciando sperare che l’esperienza dei preti operai potesse riprendere in modi diversi dal passato, ma con gli obiettivi simili. L’esperienza condotta a Gerland, tuttavia, aveva caratteri molto diversi da quelli della Mission de Paris.
Tra il 1949 e il 1954, Ancel aveva scritto ed era intervenuto pubblicamente in merito al problema operaio e all’allontanamento della Chiesa dal proletariato, segnalando come una parte delle gerarchie ecclesiastiche francesi avesse preoccupazioni simili a quelle dei preti operai. Al vescovo premeva maggiormente sottolineare l’importanza dell’integrità sacerdotale e l’attaccamento alla dottrina sociale della Chiesa; egli, sulla linea del magistero di Pio XII, ribadiva la distanza dall’ideologia marxista, ma allo stesso tempo cercava di comprendere le posizioni assunte dai comunisti e dagli operai. La sua attenzione tentava di disincagliare il confronto con il comunismo dalla lotta ideologica nella quale una parte considerevole del cattolicesimo si era bloccata. Ancel, partendo dalle riflessioni dell’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII e dal magistero sociale dei successivi pontefici, riteneva importante considerare innanzitutto le concrete condizioni di vita e di lavoro degli operai, anziché impegna...

Table of contents

  1. Copertina
  2. L’ANIMA IN FABBRICA
  3. Indice dei contenuti
  4. PREFAZIONE
  5. TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI
  6. INTRODUZIONE
  7. I. I PRETI AL LAVORO TRA COMUNITÀ CRISTIANA E CLASSE OPERAIA
  8. 1. La nascita dei preti operai in Francia
  9. 2. Le prime forme di apostolato operaio in Italia
  10. 3. La centralità del Concilio Vaticano II
  11. 4. La contestazione cattolica in Italia
  12. 5. La nascita del gruppo dei preti operai italiani
  13. II. ORIGINI E PERCORSI DEI PRETI OPERAI EMILIANI E LOMBARDI
  14. 1. Gli anni Settanta del cattolicesimo italiano
  15. 2. Le peculiarità della storia italiana dei preti operai
  16. 3. Il sacerdozio e la fabbrica
  17. 4. Storie di preti al lavoro
  18. 5. La fabbrica come “luogo sociale”
  19. 6. La doppia fedeltà a Cristo e alla classe operaia
  20. III. L’IMPEGNO POLITICO E SOCIALE DEI PRETI OPERAI EMILIANI E LOMBARDI
  21. 1. Il “compromesso storico” e il referendum sul divorzio
  22. 2. Tensioni ed esperienze nella diocesi ambrosiana
  23. 3. La riflessione teologica nella Chiesa modenese
  24. 4. L’impegno globale con gli uomini
  25. 5. “Contro l’uso antioperaio della fede”
  26. 6. Le elezioni politiche del 1976
  27. IV. DALL’IMPEGNO POLITICO NELLA SOCIETÀ ALLA RIFLESSIONE TEOLOGICA NELLA CHIESA
  28. 1. Una stagione di cambiamenti
  29. 2. L’analisi teologico-pastorale dei preti operai emiliani
  30. 3. Classe operaia ed emarginazione
  31. 4. Una nuova teologia
  32. 5. Costruire l’evangelizzazione a partire dalla condizione operaia
  33. 6. Il complicato rapporto con i vescovi
  34. CONCLUSIONI
  35. FONTI
  36. BIBLIOGRAFIA
  37. INDICE DEI NOMI