1. Le Regioni nella proposta della seconda Sottocommissione.
Il 25 giugno 1946 l’Assemblea Costituente si insediava a Roma, nel Palazzo di Montecitorio, per la seduta inaugurale.
I 556 deputati eleggevano presidente Giuseppe Saragat [1] e vicepresidenti Umberto Terracini, Giuseppe Micheli, Fausto Pecorari e Giovanni Conti, mentre dal 10 dicembre 1945 era in carica il primo dei governi presieduti da Alcide De Gasperi. L’Assemblea avrebbe concluso i suoi lavori, dopo due proroghe, il 31 gennaio 1948, avendo tenuto 375 sedute, mentre ancora De Gasperi era presidente del Consiglio alla guida del suo quarto governo.
Eletto il 28 giugno Enrico De Nicola Capo provvisorio dello Stato, l’Assemblea affidava il 19 luglio il compito di elaborare e proporre il progetto di Costituzione ad una «Commissione per la Costituzione» composta da settantacinque membri, designati da Saragat con criterio proporzionale su libera indicazione dei gruppi politici in essa rappresentati, senza interferenze tra loro.
L’organizzazione preliminare dell’attività costituente proseguiva il 20 luglio quando la Commissione dei settantacinque, sempre attenta agli equilibri politici, eleggeva suo presidente Meuccio Ruini (Udn) prima di suddividersi in tre Sottocommissioni: la prima, sui «Diritti e doveri dei cittadini», presieduta da Umberto Tupini (Dc), composta da diciotto costituenti; la seconda, sull’«Ordinamento costituzionale della Repubblica», presieduta da Umberto Terracini (Pci), di trentotto deputati [2] (essa si sarebbe ripartita il 29 novembre in due sezioni, una sul «Potere esecutivo» con a capo lo stesso Terracini, l’altra sul «Potere giudiziario» presieduta da Giovanni Conti (Pri), mentre dal 1° agosto al 13 novembre 1946 avrebbe operato al suo interno il «Comitato per le autonomie locali» presieduto da Gaspare Ambrosini, il cosiddetto Comitato dei dieci, incaricato di elaborare il progetto degli articoli riguardanti Regioni, Provincie e Comuni) [3] ; la terza, sui «Diritti e doveri economico-sociali», presieduta da Gustavo Ghidini (Psiup), formata da diciotto commissari.
Le articolazioni dell’Assemblea, organismi politici ancorché comprensivi di «tecnici» di valore, che rispecchiavano nella loro composizione le dimensioni delle forze in essa presenti [4] , costituiti accortamente secondo le «proporzioni pesate sulla bilancia dell’orafo» [5] , si completavano il 29 novembre 1946 con la formazione di un «Comitato di redazione» (detto anche «Comitato dei diciotto» dal numero iniziale dei suoi componenti ufficiali) per un necessario coordinamento generale fra le tre Sottocommissioni anche al fine di contenere i tempi del lavoro costituzionale, in base ad «un completo mandato politico» in rappresentanza della Commissione dei settantacinque (che dal 4 febbraio 1947 non si riunirà più) per «stilare il vero e proprio progetto di Costituzione»: un impegno delicato e complesso che durerà fino al 22 dicembre 1947 con un centinaio di sedute [6] .
Di particolare incidenza sarebbe stato il ruolo del Comitato dei dieci, decisamente orientato in senso regionalista anche in ragione della sua stessa composizione, da cui sarebbe scaturito il progetto di ordinamento regionale proposto alla seconda Sottocommissione.
Esso era stato istituito come una sezione di quest’ultima dopo cinque sedute (27-29-30-31 luglio e 1° agosto 1946 [7] ) da essa dedicate alla discussione sulle autonomie locali e concluse con l’approvazione di un ordine del giorno Piccioni, allora segretario nazionale della Democrazia cristiana, che raccoglieva gli esiti del dibattito sviluppatosi in quei giorni sulla base di un’articolata relazione introduttiva di Ambrosini e di una seconda più contenuta di Perassi [8] .
Il costituzionalista siciliano, da parte sua, ricordati gli inconvenienti dell’accentramento instaurato agli inizi dell’unificazione nazionale, indicava decisamente il mezzo per eliminarli nella «adozione dell’istituto dell’autonomia politica regionale» di cui tratteggiava efficacemente gli aspetti giuridici (con particolare riguardo al tema centrale e delicato della «competenza legislativa normativa») e finanziari (la «questione forse più spinosa della finanza della regione») oltre che organizzativi come da lui ipotizzati, mentre riteneva del tutto insufficiente il decentramento burocratico [9] .
Dopo l’invito del presidente Terracini – che non mancherà più avanti di esporre il suo pensiero dopo aver preso atto che «la grande maggioranza è favorevole alla creazione dell’ente regione» [10] – a «limitare la discussione intorno a questo tema iniziale: se l’ente regione debba esistere e debba entrare nell’ordinamento dello Stato, oppure no» [11] , i commissari, benché in una fase ancora interlocutoria, prefiguravano in qualche modo con i loro interventi gli schieramenti che andranno a consolidarsi via via nei partiti rispetto alla questione regionale durante il lavoro costituente, trascurando intanto l’aspetto della delimitazione territoriale delle Regioni [12] .
Caratterizzate da molte personali riflessioni e diversificate all’interno degli stessi gruppi politici di appartenenza, potevano così registrarsi, tra le più significative, le posizioni in linea di massima favorevoli dei repubblicani Zuccarini, Perassi e Conti, dei democristiani Bulloni, Fuschini, Mannironi, Mortati [13] , Piccioni, Tosato e Uberti, degli autonomisti Lussu e Bordon, oltre che dei commissari siciliani, i qualunquisti Patricolo e Castiglia e il demoliberale Fabbri; le argomentazioni contrarie dei comunisti Grieco [14] , Nobile e La Rocca e dei socialisti Targetti e Rossi, mentre il loro collega di partito Lami Starnuti si dichiarava favorevole a un ente regione inteso come «strumento di decentramento amministrativo autarchico»; le posizioni particolari di Finocchiaro Aprile, del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia, sostenitore di una Confederazione di Stati in uno spirito meridionalista e antiunitario sui generis e del demolaburista Bozzi favorevole non alla regione generalizzata, ma solo a una «regione facoltativa» demandata alla volontà delle Provincie; l’atteggiamento moderatamente favorevole di Einaudi («si può creare la regione ma non si può eccedere nel fissarne i compiti»; e ancora «se si vuole istituire la regione si deve abolire la provincia, perché, se si aggiungesse la regione alla provincia, si moltiplicherebbero gli uffici e i gravami fiscali») particolarmente motivato sotto il profilo economico finanziario; le cautele espresse dallo stesso presidente Terracini il quale, peraltro, si associava decisamente a quanti erano contrari al mantenimento delle Provincie nel caso dell’introduzione delle Regioni, mentre uno schieramento trasversale sulla possibile coesistenza di Regioni e Provincie si stabiliva tra i democristiani Bulloni, Mannironi, Fuschini, Cappi, De Michele, Codacci Pisanelli, i socialisti Targetti e Rossi, il qualunquista Castiglia e Aldo Bozzi.
Dal 1° agosto, dunque, acquisiti tali orientamenti, la seconda Sottocommissione sospendeva la discussione sulle autonomie locali in attesa di ricevere gli approfondimenti ritenuti necessari dal Comitato dei dieci.
Dei «tormentati e lunghi lavori» [15] di questo Comitato non vi è verbalizzazione, ma è possibile ricostruirne il percorso dalle originarie proposte del presidente Ambrosini alla stesura provvisoria del 16-17 ottobre 1946 e fino al testo definitivo dello «Schema di progetto sull’Ordinamento regionale» [16] . Su di esso lo stesso Ambrosini avrebbe riferito alla Sottocommissione nella seduta del 13 novembre, ripercorrendo puntualmente l’itinerario del gruppo di lavoro attraverso l’illustrazione dei 24 articoli destinati ad essere ripresi nell’ampio dibattito sulle autonomie locali che, dopo l’intervenuta sospensione, proseguirà fino al 18 dicembre 1946, per complessive 33 sedute [17] .
Dopo aver previsto all’art. 1 che «il territorio della Repubblica è ripartito in Regioni e Comuni» (non menzionando le Provincie definite al successivo art. 17 «circoscrizioni amministrative di decentramento regionale secondo l’ordinamento che verrà stabilito dalla legge»), il progetto si soffermava sulla Regione e le sue competenze (Capo I), sugli Organi della Regione (Capo II), sui Rapporti fra Regioni e Stato (Capo III), sul Fondo di solidarietà fra le Regioni (Capo IV), su Provincie e Comuni (Capo V), prima di dettare alcune norme generali (Capo VI). Tra queste ultime l’art. 22 – vicinissimo alla elencazione e nello stesso numero della Relazione Jemolo [18] – indicava in diciotto le Regioni «secondo la tradizionale ripartizione geografica dell’Italia» (Piemonte, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Liguria, Emilia, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzi e Molise, Campania, Puglia, Lucania, Calabria, Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta) e l’art. 23 consentiva «alle popolazioni interessate, mediante deliberazione della maggioranza dei rispettivi Consigli comunali, di chiedere il distacco da una Regione e l’aggregazione ad un’altra», e inoltre «la richiesta dell’erezione di una nuova Regione quando provenga dai Consigli comunali rappresentanti una popolazione di almeno 500.000 abitanti»: modificazioni da disporre «con legge dello Stato, previo parere delle Assemblee regionali interessate».
In particolare, riguardo alla «questione contrastatissima del numero delle Regioni», così Ambrosini:
Vi erano, al riguardo, diverse proposte avanzate da alcuni Commissari, nonché segnalazioni e richieste specifiche di enti e di personalità qualificate, per la costituzione di altre Regioni, oltre le storiche. Il Comitato, in mancanza degli elementi necessari per una ponderata decisione in merito, preferì attenersi al criterio della tradizionale ripartizione geografica dell’Italia, non precludendo tuttavia, per un’esigenza di giustizia, la possibilità alle popolazioni interessate di chiedere, mediante deliberazione della maggioranza dei rispettivi Consigli comunali, il distacco da una Regione e l’aggregazione ad un’altra o la costituzione di una nuova Regione [19] .
Tra quanti avevano fatto sentire la propria voce non erano mancati i costituenti molisani.
Dopo un incontro informale, avvenuto nei primi giorni di ottobre, di Camposarcuno, Ciampitti e Colitto con il Comitato dei dieci [20] , il 10 novembre, era stata redatta dall’on. Camposarcuno e (secondo la testimonianza dell’on. Colitto [21] ) sottoscritta dagli altri deputati Ciampitti, Colitto e Morelli, nessuno dei quali era nella seconda Sottocommissione, una ferma e articolata lettera fatta tempestivamente pervenire al presidente della Commissione per la Costituzione Ruini, al presidente della seconda Sottocommissione Terracini e al presidente del Comitato per le autonomie locali Ambrosini, nella quale erano raccolte le motivazioni di ordine storico, economico, culturale dell’aspirazione molisana e ripercorse le tappe più recenti e significative del movimento regionale dal 1919, prima di concludere con un fervido appello di porre termine all’«artificiosa unione» con gli Abruzzi.
Nel frattempo si era registrata e andava delineandosi nel Molise una ripresa della questione regionale oltre l’angusto rivendicazionismo polemico riemerso, come si è visto, nella scia dell’esito elettorale del 2 giugno.
Gli echi del dibattito intervenuto tra le forze politiche nazionali e nelle sedi istituzionali preposte alla formulazione di ipotesi sulla riforma dell’amministrazione e la riorganizzazione dello Stato alimentavano nuovamente, tra speranze e timori, l’aspirazione regionalistica molisana.
Questa era stata indirettamente stimolata anche dalle dichiarazioni rilasciate da Terracini in una intervista a Nuova rassegna nella quale l’autorevole presidente della seconda Sottocommissione aveva reso noto che in seno al Comitato dei dieci si andava delineando la «quasi unanimità per la soppressione della Provincia come ente autarchico e per la sua permanenza come sede decentrata dei servizi regionali» (posizione che sappiamo essere sostenuta dallo stesso Terracini nel caso dell’istituzione dell’ente Regione), ma che tale prospettiva era ancora «indecisa» data la presenza nella stessa Sottocommissione di «difensori più numerosi e agguerriti» della Provincia tradizionale [22] .
La rivendicazione del riconoscimento regionale veniva così ad intrecciarsi con l’esigenza della conservazione della Provincia di Campobasso il cui presidente Eugenio Grimaldi, evidentemente bene informato ed allarmato dalle risultanze emerse nella seconda Sottocommissione che il 1° agosto avevano dato luogo alla costituzione del Comitato per le autonomie locali presieduto da Ambrosini, il 19 agosto inviava ai sindaci della provincia allora coincidente, com’è noto, con l’intero territorio del Molise, una lettera con la quale preannunciava l’indizione di un Congresso per sostenere che «nella eventualità che l’Assemblea Costituente deliberi la creazione dell’ente regione, il Molise venga riconosciuto come regione a sé stante, conservandosi in ogni caso l’ente provincia»:
In questi giorni una sottocommissione, facente parte della Commissione formata in seno alla Assemblea Costituente, ha trattato il problema delle autonomie locali con particolare riguardo alla questione della Regione.
Tale questione ha un interesse vitale pel Molise, e pertanto è necessario che tutti gli enti, specialmente gli enti locali territoriali, facciano sentire la loro voce al riguardo.
Fin da due anni orsono la Deputazione Provinciale, di fronte al risorgere della proposta di creazione di questo nuovo ente, conscia delle responsabilità che ad essa non potevano non derivare, ebbe a promuovere riunioni alle quali hanno partecipato i rappresentanti di tutti i partiti e personalità peculiarmente com...