Crisi della storia, crisi della verità
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"È difficile dire che impressione faccia, oggi, la lettura dell'opera di Henri Irénée Marrou in uno studente universitario. È certo che non deve
trattarsi di una lettura semplice e non solo perché un libro come, ad esempio, 'La storia dell'educazione nell'antichità' ha uno spessore erudito che difficilmente si lascia penetrare senza un'adeguata strumentazione. Il punto rilevante a me pare un altro. Marrou procede, per continuare nell'esempio prescelto, nella sua Storia rivestendo l'oggetto di tanta erudizione di un linguaggio che non arretra di fronte al rischio di attualizzare il proprio discorso."

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Information

1. I termini di una inimicizia: Marrou e Croce

Crocianamente, dicevo prima, perché è evidente che, se la misura della scrittura di Marrou è molto lontana dal pathos contenuto ma intensissimo di Croce, lo storico della tarda antichità trovava nel filosofo napoletano e in maniera particolare ne La storia come pensiero e come azione – un libro uscito nel 1938 al termine del lungo apprendistato italiano di Marrou – un’autorevole conferma a quella nozione di «ruolo sociale della storia» che sta alla base della sua stessa immagine di «historien engagé» fissata da Pierre Riché in una biografia che in maniera piuttosto singolare non fa mai menzione per altro del filosofo idealista, se non per qualche brevissimo cenno [1] .
Certo, i rapporti con la cultura idealistica e con gli «hegeliani», come li definiva Marrou, furono sempre segnati da una irriducibile inimicizia culturale, e nei confronti di Croce in particolare le riserve furono sempre esplicite [2] . Ma nel quadro di un rapporto polemico, il giudizio di Marrou al riguardo è inequivocabile. Sulla strada che porta alla redazione della Connaissance historique, in una nota sulla Méthodologie historique pubblicata, immediatamente a ridosso del volume maggiore, dalla «Révue historique» nel 1953, Marrou scriveva, e l’affermazione è significativa, anche se attenuata dalla limitazione «chez lui aussi»: «[...] ci sono molte cose, in questa teoria e soprattutto nelle sue applicazioni, che restano valide al di fuori del sistema: l’idea che si ritrova anche presso di lui [Croce], del ruolo sociale della storia [...] essa è l’opera di uomini in carne ed ossa che cercano di usare in modo utile la memoria che l’umanità conserva del proprio passato» [3] .
Per la riflessione di Marrou sulla conoscenza storica la lezione crociana fu decisiva. Mosso da una forte carica polemica contro ogni forma di astrazione e di essenzialismo nel discorso storico, Marrou spingeva per una teorizzazione fiduciosa nel racconto e nella narrazione. La ricerca, osservava nelle sue note sulla metodologia, non ha per fine di alimentare la «contemplazione solitaria dello storico», il quale accumuli nelle sue schede una scienza sempre più precisa e completa ma «incomunicabile». No, scriveva lo studioso di Agostino, con una voce che nella storiografia francese rimandava direttamente ad Henri Berr e al dibattito fondativo delle «Annales» di Lucien Febvre e Marc Bloch, «il fine è la sintesi, vale a dire un libro, un racconto» [4] . Eppure, il racconto non bastava. Se per l’hegeliano Croce, lo storico non si contentava di raccontare ma giudicava, che nel suo linguaggio voleva dire «liberare il Reale, lo slancio dello spirito-libertà che si nasconde nel cuore dell’avvenimento» [5] , in ciò pure bisognava rilevare un sentimento «très juste»: «lo storico – osserva Marrou – non può raccontare senza giudicare, perché egli descrive i fatti storici per mezzo di concetti portatori di qualificazione (in termini filosofici significa l’indissolubilità del predicato di esistenza dal predicato qualitativo)» [6] . Per Marrou, che qui citava esplicitamente il Croce della Logica, il limite del filosofo napoletano era la risoluzione del giudizio storico in termini di pura logica formale. La posta in gioco era il giudizio da dare sull’opera di Ranke e, come vedremo tra breve, sulla natura dello storicismo. Nel luogo a cui rimandava la citazione di Marrou della Logica, Croce contestava a Ranke, e alla sua formula della storia come descrizione delle cose così come «propriamente sono state», la pretesa di predicare l’esistenza senza qualificarla, vale a dire come se l’esistenza di un soggetto bastasse al giudizio che se ne formulava senza bisogno di altri predicati [7] . Ma la disputa intorno a Ranke, implicando, con il superamento crociano della distinzione tra definizione logica del concetto puro e giudizio individuale, l’identificazione di storia e filosofia, metteva direttamente in gioco un conflitto che si svolgeva intorno ad una genealogia possibile dello storicismo (abbiamo visto la linea Meinecke-Ranke tracciata polemicamente da Croce) e, come vedremo, a partire da qui, intorno ad un modello filosofico di storia della cultura europea del primo Novecento [8] . Accentuando lo sbilanciamento di Croce in senso idealistico-hegeliano, Marrou poteva tracciare una linea che, ritagliando nel corpo del pensiero storicistico una sezione nella quale accanto al nome di Ranke trovava spazio quello di Wilhelm Dilthey, gli permetteva di opporre uno «storicismo degli storici» a quello dei filosofi (leggi Hegel), marginalizzando così il contributo della filosofia idealistica italiana alla comprensione del problema storiografico del Novecento [9] . Bisognerà tenerne conto in particolare per la prospettiva che Marrou verrà svolgendo riguardo alla formazione intellettuale della generazione cattolica cresciuta «tra le due guerre».











[1] Non ho elementi per risolvere la questione se Marrou abbia letto il libro di Croce alla data della pubblicazione. Nel giugno del 1942, tuttavia, Marrou partecipa a Lione ad un dibattito con Georges Bidault, presso la «Société lyonnaise de philosophie», proprio sul filosofo napoletano. Se ne ricorda ancora nel 1954 in una nota della Conoscenza storica. Argomento della discussione, il «valore esistenziale della storia»; cfr. P. Riché, Henri Irénée Marrou. Historien engagé, Cerf, Paris 2003, pp. 74 e 178; per quanto riguarda invece La conoscenza storica, cit., cfr. pp. 29 e 48.
[2] «Con questi hegeliani – scrive Marrou -, abili nel porre e nel tenere in equilibrio i termini della contraddizione, non si è mai sicuri riguardo alla coerenza interna delle loro prese di posizione», in H.-I. Marrou, La Méthodologie historique: orientations actuelles, in «Révue historique», a. 77, t. CCIX, 1953, p. 260. In questo come in altri casi di opere di Marrou non tradotte in italiano, la traduzione è mia.
[3] Ibid., pp. 260-261.
[4] Ibid., p. 259. Sui rapporti di Marrou con Berr attraverso Lucien Febvre, si veda P. Riché, Henri Irénée Marrou, cit., pp. 172-173. Si vedano anche le osservazioni di Giuseppe Tognon nella prefazione a H.-I. Marrou, Storia dell’educazione nell’antichità, Studium, Roma 2016, pp. 30-31.
[5] H.-I. Marrou, La Méthodologie, cit., p. 261.
[6] Ibid.
[7] Cfr. B. Croce, Logica come scienza del concetto puro, vol. I, Bibliopolis, Napoli 1996, pp. 129-139. Ne La storia come pensiero e come azione, Croce aveva scritto, a proposito della «nota formula» di Ranke che definiva la storia come esposizione delle cose «così come propriamente sono state»: «[…] dove rimane trascurato o sottinteso che non si può esporle come sono state senza qualificarle e perciò giudicarle, in forza del principio logico della indissolubilità del predicato di esistenza dal predicato qualificativo» (Laterza, Bari 1978, pp. 35-36). Più oltre, parlando di Meinecke, Croce osserva: «Il Meinecke, fa consistere lo storicismo nell’ammissione di quel che di irrazionale è nella vita umana, nell’attenersi all’individuale senza per altro trascurare il tipico e il generale che vi si lega, e nel proiettare questa visione dell’individuale sullo sfondo della fede religiosa o del religioso mistero. È la posizione intellettuale già nota come quella del Ranke, di cui il Meinecke si dimostra fedele e fervente discepolo e che ammira a segno da tenerlo il genio stesso dello storicismo, lo storicismo nella sua manifestazione più perfetta» ( ibid., p. 54).
[8] Su questi temi, cfr. G. Galasso, Croce e lo spirito del suo tempo, Laterza, Roma-Bari 2002, pp. 546-551, che fornisce tra l’altro gli elementi per leggere in termini differenti il rapporto Croce-Hegel. Per un giudizio diverso sullo storicismo di Croce, che probabilmente avrebbe trovato concorde Marrou, si veda Fulvio Tessitore, Contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, vol. III, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1997, il capitolo dedicato al «Giudizio di Croce su Ranke», in particolare p. 371.
[9] Contro la filosofia hegeliana della storia, le acquisizioni positive della ricerca rankiana sono ampiamente rivendicate da Marrou ne La conoscenza storica, dove si ricorda anche come al contrario di Hegel seppe giovarsene Dilthey, di cui si richiama un discorso pronunciato in occasione del suo genetliaco in cui l’autore dell’ Introduzione alle scienze dello spirito volle «tributare un magnifico omaggio ai grandi storici della prima metà del secolo diciannovesimo», tra cui appunto il Ranke (Marrou, La conoscenza storica, cit., p. 17). Con perfetta simmetria, Croce aveva rifiutato la celebrazione di Ranke e la sua elevazione alla «cuspide del tempio della storiografia» in La storia come pensiero e come azione, cit., p. 87, dove tra l’altro si legge che il tentativo di rivalutazione da parte di Dilthey, che non fu «tra i meno calorosi elogiatori» del Ranke, era irricevibile. Per Dilthey, Ranke era uno scrittore «epico» e come tale poteva essere avvicinato ad Erodoto. «”Epico” – notava Croce – è forse troppo, perché in lui manca il sublime del cantore di gesta, ed Erodoto era ben altrimenti originale e fresco» ( ibid., p. 88).

2. Autoritratto dello storico

C’è nella riflessione storiografica di Marrou come un residuo non pacificato. Un’inimicizia, dicevo all’inizio, che impedisce allo storico della tarda antichità di riconoscere il debito nei confronti del «vieux maitre» e che invece di diminuire l’altezza dello studioso meglio la colloca nel quadro delle grandi passioni intellettuali del Novecento [1] .
Pienamente immerso nella trama dei conflitti del proprio tempo, Henri-Iréené Marrou fu essenzialmente uno storico appassionato. Il ritratto che egli offre dello studioso del passato nell’ambito della sua lunga meditazione sul «mestiere di storico», anche questa una formula intimamente francese, è sostanzialmente la proiezione di sé come mousikos aner, uomo colto. Nel 1961, usciva, nell’ Encyclopédie de la Pléiade, a cura di Charles Samaran, il volume L’Histoire et ses méthodes. Era l’illustrazione del contributo francese al «tempio grandioso e sempre incompiuto» dei discepoli di Clio. Marrou firmava il saggio introduttivo e le conclusioni. Per accedere al livello della «veritable histoire», osservava nelle pagine iniziali, non basta disporre di documenti scelti con cura, collocati nel tempo e nello spazio, definiti quanto al genere, criticati quanto al valore della loro credibilità (e anche qui per inciso andrebbe notato il sostrato crociano dell’argomentazione di Marrou, affiorante a pelo d’acqua fin nel lessico). Bisogna ancora, continuava Marrou, mostrarsi capaci di «realizzarli», ricava...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Crisi della storia, crisi della verità
  3. Indice dei contenuti
  4. Prefazione
  5. I. La storia come amicizia
  6. 1. I termini di una inimicizia: Marrou e Croce
  7. 2. Autoritratto dello storico
  8. 3. Un intellettuale del dopoguerra
  9. 4. Il senso di una frattura
  10. 5. Una riflessione esistenziale
  11. 6. L’individuo e la comunità: una prospettiva per il mondo nuovo.
  12. 7. L'analisi del dispotismo
  13. 8. L'amicizia come via d'uscita
  14. II. Henri Irénée Marrou (1904-1977): tasselli per un profilo storico-intellettuale
  15. III. La musica degli antichi per rianimare i cuori dei giovani: Marrou historien (et musicologue) engagé*
  16. IV. Di fronte al fascismo. Gli anni italiani di Henri-Irénée Marrou
  17. V. Marrou e la riforma della scuola fra fascismo e democrazia: tracce poco esplorate di un historien engagé
  18. 1. L’apprezzamento per Giovanni Gentile e il suo contributo alla conservazione di una cultura classico-umanistica
  19. 2. L’insegnamento elementare in Italia come punto di incontro fra la cultura popolare e il processo di fascistizzazione
  20. 3. Dalle riflessioni sulla riforma Gentile ad una proposta di riforma dell’istruzione francese
  21. VI. «Bisognava rianimare nei cuori dei giovani la fiamma della libertà»: perché insegnare ancora la storia dell'educazione ai giovani oggi
  22. 1. La difficile relazione con il passato
  23. 2. Qualche riflessione a partire dal testo di Marrou
  24. VII. Prospettive pedagogiche a partire dai fondamenti di H.I. Marrou
  25. 1. Il contesto culturale negli anni della pubblicazione dei Fondamenti
  26. 2. Il valore pedagogico dei Fondamenti
  27. VIII. Il mondo tardo antico secondo Marrou
  28. 1. Marrou «ouvrier de la culture»
  29. 2. Marrou editore di testi
  30. 3. Marrou organizzatore di conoscenza
  31. 4. Forme della cultura e forma dell’interpretazione
  32. IX. Le fonti per la storia dell'educazione nell'antichità: il contributo di Marrou e nuove acquisizioni
  33. 1. I primi esercizi della scuola elementare
  34. 2. Le liste di parole
  35. 3. Brevi testi per esercizi di dettato/trascrizione
  36. 4. Mitologia per ragazzi
  37. 5. Un antenato della lavagna