Educazione e formazione
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Educazione e formazione

Sinonimie, analogie, differenze

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Educazione e formazione

Sinonimie, analogie, differenze

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«Educazione» e «formazione» sono concetti tra loro sinonimi, analoghi, opposti, o interdipendenti? Servono per distinguere due realtà pedagogicamente differenti, oppure sono solamente il frutto di un dispositivo linguistico, che muta di significato a seconda dei contesti, dei processi o dei pedagogisti di riferimento? In quest'ultimo caso, però, non si rischierebbe di compromettere la saldezza epistemologica della pedagogia come teoria e pratica dell'educazione, in quanto nemmeno capace di concordare sui pilastri concettuali essenziali del proprio costituirsi? Il volume intende rispondere a questi interrogativi attraverso la testimonianza di alcuni tra i più autorevoli pedagogisti italiani, allo scopo di avviare un confronto sulla possibilità di individuare un «lessico pedagogico», se non condiviso, quantomeno chiaro e criticamente consapevole sia delle proprie possibilità sia dei propri limiti.
Interventi di: Massimo Baldacci, Antonio Bellingreri, Giuseppe Bertagna, Franco Cambi, Enza Colicchi, Michele Corsi, Vincenzo Costa, Rita Fadda, Umberto Margiotta, Francesco Mattei, Franca Pinto Minerva, Maurizio Sibilio, Giancarla Sola, Giuseppe Spadafora, Carla Xodo.
Corredano il volume le schede di sintesi ("Quando vi è educazione, quando vi è formazione secondo la mia pedagogia") a cura dei dottorandi in Formazione della persona e mercato del Lavoro dell'Università di Bergamo.

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Information

1. Analogia e verità «scientifiche»

Nel loro nucleo fondante e generativo, si può sostenere che tutte queste consapevolezze fossero, nel complesso, già in nuce presenti nella stessa filosofia di Aristotele, quando ricordò con nettezza che il sostantivo «scienza» e l’aggettivo «scientifico», con i significati di verità che evocano, si dovevano predicare in molti modi. Mai in modo univoco. Da «egoista logico», dirà Kant [1] . Da «pugni sul tavolo» [2] o da «occhio di Dio», esclusivo di «nazisti razionali» [3] , hanno scritto Ros e Putnam. Sempre predicati in modo analogo [4] . A seconda, dunque, degli oggetti, dei metodi e dei linguaggi che ogni «scienza» seleziona e con cui si esprime per referenziare anche le medesime «cose» del mondo e della vita.
Non a caso, del resto, si deve proprio ad Aristotele, in questo «allievo» che supera l’insegnamento del suo venerabile «maestro» Platone, la più organica sistemazione teorica del principio secondo il quale un conto sono la certezza e l’affidabilità «scientifiche» garantite dal logo teoretico, un altro da quello tecnico e un altro ancora da quello pratico. E, all’interno di queste tre rispettive tipologie di logo, dai differenti metodi di indagine messi a volta a volta in campo da ciascuna di esse [5] .
Come da Aristotele in poi, diventerà sempre più chiaro per tutti, infatti, nel logo teoretico, quello finalizzato a «vedere come stanno le cose, e perché» [6] , il grado e la natura della certezza e dell’affidabilità raggiungibili nella conoscenza «scientifica» di enti indagati con il metodo assiomatico deduttivo tipico della logica-matematica e della logica-geometrica, intuito dai pitagorici, formalizzato da Euclide e poi riproposto, nella modernità, da Cartesio, fino al logicismo novecentesco non sono gli stessi di quelli acquisibili con il metodo ipotetico-deduttivo di matrice pitagorico-platonica, successivamente diventato ipotetico-deduttivo sperimentale nella modernità, con Galileo, e riletto originalmente da Peirce, nel secolo scorso, come abduttivo. Allo stesso modo, sempre nel logo teoretico, il grado e la natura della certezza e dell’affidabilità conoscitive ottenuti con l’analisi «scientifica» dei discorsi condotta grazie all’antico, socratico metodo dialogico confutativo, che resiste tuttora nella miglior controversistica etico-politica-filosofica o, purtroppo, solo in aule eccellenti di tribunale, non solo non sono assimilabili a quelli assicurati dai metodi teoretici prima citati, ma sono anche molto diversi da quelli fondati sul metodo induttivo. Metodo che, potendo ambire solo ad un passaggio ampliativo dall’empirico particolare a quello via via più generale, senza poter mai tuttavia giungere all’universale, fu svilito, nella sua forza veritativa, dalla classicità, ma che la stocastica attuale, tra Big Data e Intelligenza Artificiale, ha largamente riscattato dalle semplificazioni a cui l’avevano confinato troppi cattivi baconiani e la maggior parte dei successivi empirismi ingenui di stampo più o meno positivistico e neopositivistico.
Se dal logo teoretico, si passa al logo tecnico (cioè «non più a quello interessato a vedere ciò che c’è, come stanno le cose, e perché, ma a considerare che cosa si può fare per trasformarle, e come si può concretamente procedere a questa trasformazione con precisione, efficienza ed efficacia scientifiche»), diceva già Platone, un conto sono il grado e la natura della certezza e dell’affidabilità conoscitive garantite da metodi di lavoro tecnico di tipo deterministico-matematico-calcolativo (come può accadere quando si adopera la tecnica e la tecnologia moderne per produrre qualcosa o ancora, esemplificava Platone, quando si usa la téchne per eseguire una musica con la lira, arte, come è noto, che segue precise proporzioni matematiche [7] ) e un altro conto sono il grado e la natura della certezza e dell’affidabilità «scientifiche» garantite da metodi tecnici di tipo indeterministico-probabilistico [8] , come capita, per esempio, con l’arte della clinica medica, dell’agricoltura, del pilotaggio (delle navi in mare), della guerra, della culinaria e dell’abbigliamento, ma anche della retorica politica [9] .
Ancora più evidenti differenze rispetto alle precedenti si notano quando si passa, infine, a mobilitare il logo pratico. Qui, infatti, come è noto, la certezza e l’affidabilità «scientifiche» riguardanti il «dover essere» coinvolgono non solo la deliberazione che si assume tra alternative reali pensate (anche con l’aiuto dell’immaginazione) possibili, ma anche la coerenza della traduzione di tale scelta in azioni umane, che siano, l’una e le altre, le più giuste, buone ed anche esteticamente migliori, nelle varie situazioni date nelle quali ci si viene a trovare e nelle quali si è chiamati hic et nunc ad operare per il meglio. Consapevoli, per di più, che, se una deliberazione e la sua messa in azione fino all’atto mirassero ad un fine virtuoso, ma con contenuti, mezzi e modalità inadatte alle condizioni in cui si è chiamati a svolgerla, sarebbero de facto ambedue contrarie alla virtù «scientifica» del logo pratico. Per questo, riuscire a cogliere il momento più appropriato sia per la deliberazione sia per l’azione migliori (il kairós classico ed evangelico), decide anche l’efficacia tecnica, oltre che la giustezza etica, del nostro agire. Il quale, dunque, proprio perché privo di guide astrattamente prestabilite a priori, lascia ciascuno sempre responsabile della certezza e dell’affidabilità «scientifiche» delle proprie deliberazioni ed azioni, nella varietà delle contingenze date. Un po’ come l’equilibrista che cammina sul filo a 10 metri da terra, tra un pubblico urlante, senza rete di protezione, in condizioni di contesto della sua prestazione che si modificano in continuazione nel tempo e nel contesto spaziale.
Platone aveva chiamato «virtù politica» questo camminare bene tra e con gli altri, nel tempo e nel mondo. E aveva sottolineato, con il mito di Prometeo, che, mentre all’uomo sarebbe stata concessa «la perizia tecnica necessaria per la vita», non gli sarebbe accaduto, purtroppo, altrettanto per «la virtù politica», del tutto affidata alle sue mani [10] . Aristotele, come è noto, chiamò phronesis questo designare la scelta dell’opzione migliore tra quelle rappresentate possibili prima di agire, l’accortezza nell’assumere le azioni più corrispondenti a tale scelta migliore e il giudizio equilibrato sulle circostanze nelle quali si collocano sia il momento deliberativo sia l’insieme delle modalità e dei contenuti di quello attivo. Cicerone nominerà tutto questo prudentia (a suo avviso, contrazione di providentia [11] ), definitivamente promossa a virtù cardinale della prassi umana dal cristianesimo e, sul piano filosofico-teologico, da san Tommaso in particolare [12] . Fino al suo «laico» recupero e rilancio contemporaneo ad opera, ad esempio, di Gadamer e della sua scuola, del cosiddetto «gruppo di Chicago» sul piano politico [13] , di McIntyre e dei comunitaristi, di Martha Nussbaum con la sua nozione di eudaimonia e persino di un economista come Amartya Sen (o, in Italia, come Stefano Zamagni).
Logo teoretico, tecnico e pratico, sapeva bene Aristotele, non sono, naturalmente, tra loro separati. Il logos umano è sempre, per definizione, uno. Se non è possibile separarli, quasi fossero tre parti indipendenti, è tuttavia doveroso distinguerli non solo per le loro diverse caratteristiche, ma anche e soprattutto per le relazioni di fine a mezzi che essi instaurano a volta a volta tra loro.
In questa prospettiva, se la razionalità teoretica ha certamente come fine quello di rispondere in modo conoscitivamente certo e affidabile alla domanda «come stanno le cose, e perché», adoperando i metodi che si sono menzionati, bisogna anche riconoscere che non sarebbe mai in grado di compiere il proprio fine se non adoperasse come mezzi anche la razionalità tecnica e quella pratica.
Analogamente, se il fine della razionalità tecnica è «vedere che cosa si può fare per trasformare le cose che stanno in un certo modo, e come si può concretamente procedere a questa trasformazione con precisione, affidabilità, efficienza ed efficacia» è intuitivo che, senza il contributo della razionalità teoretica, si condannerebbe ad uno sterile velleitarismo e senza quello della razionalità pratica a scambiare in modo acritico ciò che si può fare con ciò che sarebbe bene fare e che si dovrebbe fare.
Stesso discorso per la razionalità pratica: il suo fine è certamente scegliere ciò che è bene e stabilire anche come agire per realizzarlo nel contesto dato, assumendosi le responsabilità che conseguono eventualmente dallo sbagliare. Sarebbe vano questo suo sforzo etico, però, se, nell’eseguirlo, prescindesse dalle certe e affidabili consapevolezze che la razionalità teoretica offre sullo «stato delle cose, e perché» e che la razionalità tecnica garantisce su «ciò che si potrebbe fare, e come, per trasformare queste cose» in vista del e seguendo il, in questo caso, fine del «dover essere» pratico.
Ebbene, in questo quadro di analogia epistemologica, la pedagogia è una «scienza»? Può, perché e in che senso, essere definita «scientifica» [14] , depositaria di conoscenze certe e affidabili?

















[1] «L’egoista logico non ritiene necessario mettere il proprio giudizio alla prova dell’intelletto altrui; quasi come se non avesse affatto bisogno di questa pietra di paragone (criterium veritatis externum)» (I. Kant, Antropologia dal punto di vista pragmatico [17981, 18002]. Introduzione e note di Michel Foucault, trad. it. di M. Bertani e G.L. Garelli, Einaudi, Torino 2010, § 2, p. 111). Appena dopo questa citazione, Kant osserva che nemmeno la logica matematica, che è del tutto deduttiva, non avrebbe mai potuto accreditarsi «senza la coincidenza con il giudizio (empirico) dell’agrimensore».
[2] A. Ros, Diritto e giustizia [1958], trad. it., Einaudi, Torino 1990, p. 259.
[3] H. Putnam, Ragione, verità e storia (1981), a cura di S. Veca, trad. it. di A. N....

Table of contents

  1. Copertina
  2. EDUCAZIONE E FORMAZIONE
  3. Indice dei contenuti
  4. Introduzione
  5. 1. Analogia e verità «scientifiche»
  6. 2. Una domanda preliminare
  7. 3. L’oggetto di studio della pedagogia: un problema aperto
  8. 4. I vantaggi delle «scienze dell’educazione e/o della formazione»
  9. 5. Il passaggio a nord ovest della pedagogia
  10. 5.1. Un «oggetto di studio» diverso
  11. 5.2. L’«avventura» dell’imperfetto e del futuro
  12. 5.3. Le razionalità del futuro e il ruolo pedagogico della narrazione
  13. 5.3.1 - La via magica
  14. 5.3.2 - La via tecnico-scientifica e delle «scienze dell’educazione e/o formazione»
  15. 5.3.3 - La via della phronesis e della prudenza
  16. 5.3.4 - Il ruolo pedagogico della narrazione
  17. 6. La scientificità della pedagogia
  18. I. EDUCAZIONE E FORMAZIONE. APPUNTI DI LAVORO
  19. II. LA CONSEGNA DI UN SENTIMENTO DELLA VITA E LA VITA DELL’INTELLIGENZA
  20. 1. L’educazione: la consegna di un sentimento della vita
  21. 2. La formazione: vita dell’intelligenza e personalizzazione dell’esistenza
  22. III. TRA EDUCAZIONE E FORMAZIONE: PLAIDOYER PER UNA DISTINZIONE NELL’UNITÀ
  23. La premessa antropo-teleologica
  24. L’«io soggettivo» e le sue qualità come condizione dell’educazione e/o formazione
  25. Il ritorno dell’io soggettivo a se stesso come ulteriore condizione per l’educazione e/o la formazione
  26. Le analogie e le differenze tra educazione e formazione
  27. IV. EDUCAZIONE E/O FORMAZIONE? TRA DISTINZIONE, GERARCHIA E DIALETTICA
  28. 1. Uno sguardo sul V secolo a.C. (e dopo)
  29. 2. Due (anzi tre) categorie regolative
  30. 3. Distinzione. Gerarchia. Dialettica.
  31. 4. E oggi?
  32. Bibliografia
  33. V. EDUCAZIONE E FORMAZIONE. UN’ANALISI CONCETTUALE
  34. 1. Premessa
  35. 2. Due concezioni di concetto
  36. 3. Il concetto di educazione/formazione nel linguaggio ordinario
  37. 4. L’educazione: un particolare genere di esperienza umana
  38. 5. I diversi significati del concetto di educazione
  39. 6. Il concetto valutativo di educazione
  40. 7. Nella teoria pedagogica
  41. 8. Il “nuovo” concetto di formazione*. Alcune considerazioni
  42. VI. EDUCAZIONE E FORMAZIONE CON RIFERIMENTO ANCHE ALLA COMUNICAZIONE
  43. 1. Premessa
  44. 2. Il punto di vista della pedagogia
  45. 3. L’educazione
  46. 4. La formazione
  47. 5. La comunicazione
  48. 6. Per concludere
  49. VII. LE CONDIZIONI DI POSSIBILITÀ DELL’EDUCAZIONE E DELLA FORMAZIONE
  50. 1. Una concezione difettiva della formazione e dell’educazione
  51. 2. Aprire al possibile
  52. 3. La comprensione come strutturazione dell’esperienza a partire da schemi concettuali
  53. 4. La comprensione come esplicitazione della rete dei rimandi
  54. 5. La spirale della conoscenza e la dialettica tra comprensione antepredicativa e sapere concettuale
  55. VIII. RIFLESSIONI INTORNO AI CONCETTI DI EDUCAZIONE E FORMAZIONE
  56. IX. EDUCAZIONE E FORMAZIONE. UN APPROFONDIMENTO TEORICO
  57. 1. Introduzione
  58. 2. Educare, istruire, formare
  59. 3. La formazione come struttura originaria dell’educare
  60. 4. Le reti della multi-identità
  61. 5. Territorio e globalizzazione: glocal milieu
  62. 6. La rete come insieme di “enacted environments”
  63. 7. La formazione come struttura emergente
  64. 8. Accoppiamento strutturale: il significante del valore
  65. 9. Il governo della complessità: la riscoperta della inventio
  66. 10. La crisi del paradigma fordista della formazione: dal controllo all’auto-determinazione
  67. X. NOTE SUI CONCETTI DI EDUCAZIONE E FORMAZIONE
  68. 1. Preambolo
  69. 2. Come sta il sistema di istruzione?
  70. 3. Sul nesso scuola-società-educazione
  71. 4. Educazione e dimensioni della persona
  72. 5. Lessico pedagogico: istruzione, educazione, formazione
  73. 6. Sulla formazione (professionale)
  74. XI. LA DIMENSIONE POLISEMICA DELL’EDUCAZIONE E LE SUE RELAZIONI SEMANTICHE CON LA FORMAZIONE E LA DIDATTICA
  75. 1. Riflessioni introduttive
  76. 2. Educazione, formazione ed interazione
  77. 3. Conclusioni
  78. XII. EDUCAZIONE E FORMAZIONE. CONSIDERAZIONI LOGICHE ED EPISTEMOLOGICHE
  79. 1. L’identità della pedagogia
  80. 2. Sui concetti di “formazione”, “educazione”, “istruzione”
  81. 2.1 Educazione
  82. 2.2 Formazione
  83. 2.3 Istruzione (culturale)
  84. 3. Epistemologia pedagogica e pedagogia generale
  85. XIII. EDUCAZIONE E FORMAZIONE. TESTIMONIANZE PRIVILEGIATE
  86. 1. La costruzione scientifica della pedagogia e le sue conseguenze epistemologiche
  87. 2. La complessità pedagogica della soggettività
  88. 3. Quando vi è educazione, quando vi è formazione. La questione pedagogica e didattica
  89. XIV. I CONFINI SFRANGIATI: EDUCAZIONE VS FORMAZIONE
  90. 1. Quando c’è educazione
  91. 2. Quando c’è formazione
  92. XV. SCHEDE DI SINTESI QUANDO VI È EDUCAZIONE, QUANDO VI È FORMAZIONE SECONDO LA MIA PEDAGOGIA
  93. Massimo Baldacci
  94. Antonio Bellingreri
  95. Giuseppe Bertagna
  96. Franco Cambi
  97. Enza Colicchi
  98. Michele Corsi
  99. Vincenzo Costa
  100. Rita Fadda
  101. Umberto Margiotta
  102. Francesco Mattei - Franca Pinto Minerva
  103. Maurizio Sibilio
  104. Giancarla Sola
  105. Giuseppe Spadafora
  106. Carla Xodo
  107. Indice dei nomi