Oltre alle modalità che abbiamo sopra descritte, la mediazione è caratterizzata anche dai criteri in base ai quali viene attivata dal mediatore un’esperienza di apprendimento. Si tratta, in altre parole, di veri e propri caratteri distintivi che differenziano un’esperienza di apprendimento mediato, da ogni altro tipo d’esperienza.
Essi sono: intenzionalità e reciprocità, trascendenza, mediazione del significato, mediazione del senso di competenza, regolazione e controllo del comportamento mediato, mediazione del comportamento di partecipazione, mediazione del sentimento di appartenenza, mediazione dell’individualizzazione e della differenziazione psicologica, mediazione della ricerca della scelta e del conseguimento degli scopi, mediazione della sfida e di una disposizione verso il nuovo ed il complesso, mediazione della consapevolezza della modificabilità e del cambiamento, mediazione di un’alternativa ottimistica.
Perché un’esperienza possa essere considerata un’autentica esperienza di apprendimento mediato è assolutamente indispensabile che siano presenti in modo contemporaneo i primi tre criteri: intenzionalità e reciprocità, trascendenza, significato. Ciò deve avvenire in quanto questi criteri sono quelli che, come abbiamo considerato, caratterizzano in modo universale la condizione umana rispetto a quelle di tutti gli altri esseri viventi: la modificabilità e l’autoplasticità dell’intelligenza.
Gli altri criteri sono definiti, nella sostanza, dalla cultura di riferimento e dalla situazione contingente. Per questo motivo, dunque, non ci troviamo di fronte a caratteri di necessità, ma ad attributi, per così dire, opzionali, i quali devono il loro impiego a scelte del mediatore in base ed in funzione delle situazioni contingenti, delle necessità momentanee, degli interventi suggeriti dall’occasione, dai problemi che si manifestano, ma anche dagli interessi e dalle inclinazioni personali, tanto del mediatore quanto del soggetto, così come dalle competenze individuali, dai desideri, dalla volontà e così via.
Se si volesse individuare tutto ciò che può determinare l’impiego o meno di questi criteri facoltativi, ben difficilmente si potrebbe ottenere un elenco esaustivo, in quanto è proprio il loro impiego che, se da un lato determina lo stile cognitivo di apprendimento del soggetto in formazione, dall’altro realizza lo stile d’insegnamento del mediatore e, nel contempo, crea il contesto condiviso per il processo di sviluppo di entrambi, tanto dal punto di vista cognitivo, quanto da quello della personalità più complessiva.
Intenzionalità e reciprocità [1] .
L’esperienza di apprendimento mediato, in primo luogo, va connotata dall’intenzionalità del mediatore e dalla reciprocità della relazione. Come abbiamo già detto, è possibile essere mediatori, anche molto efficaci, senza una preparazione specifica. Non è possibile, al contrario, essere mediatori senza l’intenzione di esserlo: è indispensabile, cioè, avere la volontà consapevole di interporsi tra l’ambiente ed il soggetto, prendere una decisione deliberata, agire per scelta.
Nella sostanza, infatti, Feuerstein ritiene che non sia la consapevolezza resa possibile dalla preparazione del soggetto a rendere efficace la mediazione ma, al contrario, l’intenzione collegata alla cultura di riferimento: egli propone l’esempio della “cosiddetta madre primitiva” [2] , che non possiede istruzione e non risulta acculturata, la quale non è in grado di esplicitare l’intenzione specifica e razionale che è sottostante alla propria interazione di mediazione e, pur tuttavia, può essere estremamente efficace nella propria capacità di mediazione.
Ciò avviene in quanto la partecipazione alla cultura è la ragione implicita della necessità di alcuni particolari comportamenti e, per questo motivo, un basso grado di consapevolezza non influenza negativamente l’efficacia della mediazione: se questa è pianificata deliberatamente dal mediatore oppure è una ricaduta della cultura il risultato è sempre un aiuto allo sviluppo delle capacità intellettive del soggetto.
L’intenzionalità del mediatore, afferma Feuerstein, agisce, infatti, su tutt’e tre i centri fondamentali dell’interazione: stimoli da percepire, soggetto, mediatore. Nell’esperienza di apprendimento mediato, infatti, la mediazione svolta dall’educatore modifica l’allievo: egli cambia perché essa favorisce la percezione con maggiore chiarezza e precisione. In questo modo il mediatore modifica lo stato di vigilanza ed attenzione, creando le condizioni per le quali il soggetto aumenterà la propria attenzione e sarà pronto a porre maggiore sollecitudine nell’osservazione e nell’accorgersi di ciò che percepisce, anche nei particolari. Allo stesso tempo il mediatore modifica anche lo stimolo che, in questo modo, cambia perché il mediatore cerca di renderlo più visibile ed attraente, modificando la sua ampiezza, la sua frequenza e la durata dell’esposizione.
Anche il mediatore stesso, nell’impegno profuso per svolgere l’opera di mediazione, si modifica in quanto, per poter effettuare le scelte in modo consapevole, egli deve prendere consapevolezza dei propri scopi, che non possono rimanere impliciti, così come delle proprie considerazioni rispetto all’importanza di gesti, azioni, oggetti e così via. In questo senso anch’egli deve rendersi più vigile ed attento alle conseguenze dei propri atti nei confronti del soggetto in formazione, in quanto deve rendersi conto degli effetti prodotti dalle sue scelte: se l’allievo percepisce veramente ciò che il mediatore vuole, se riflette su ciò che l’educatore si propone, se giunge a conclusioni accettabili e così via.
Il caso più facile a verificarsi, allora, è che si manifesti, come sempre in tutte le attività umane, uno scarto fra ciò che il mediatore vorrebbe che accadesse e ciò che invece avviene realmente. Nel caso accadano difficoltà di questo tipo, il mediatore è tenuto a modificare lo stato di vigilanza e di attenzione del soggetto: ciò potrà essere ottenuto, ad esempio, mediante la modificazione ulteriore dello stimolo, ma anche di se stesso in quanto educatore, rispetto al volume, alla distanza, alla visibilità dello stimolo; il mediatore potrà incalzare il soggetto richiamandone lo sguardo oppure mediante la riduzione delle richieste rispetto al compito oppure ancora attraverso un’evidenziazione di alcuni aspetti particolari. Potrà replicare più volte l’azione interessata o parti di essa, svolgendo i passaggi in modo più lento, sottolineando con i gesti o con le parole gli aspetti che ritiene debbano essere meglio percepiti dall’allievo, impiegando ritmi ed associazioni per favorire l’attenzione e la memorizzazione, rievocando a distanza di tempo, utilizzando parole più semplici e così via.
In questo modo, il mediatore interviene, con l’intenzione di rispondere alle necessità personali e specifiche che manifesta il bambino. Il legame costituito nell’interazione viene così caratterizzato tanto dall’intenzionalità quanto dalla reciprocità.
L’intenzionalità del mediatore, tuttavia, si rivolge anche alla volontà di educare il comportamento del soggetto sul fondamento della cultura di riferimento dell’educatore, costituita dai valori, dagli obiettivi, dalle abitudini, dalle tradizioni culturali, ecc. Ciò avviene in particolare quando il mediatore deve decidere contenuti, mezzi e modalità di mediazione: le scelte operate, com’è naturale, risentono di questa base assiologica, ma sono a loro volta strumenti di trasmissione da una generazione all’altra. In questo senso il mediatore, a sua volta, si fa veicolo di diffusione della cultura ma, al tempo stesso, riflette e rielabora, come s’è visto, anche il suo rapporto con la cultura ed il suo ruolo in relazione ad essa. Anche questa posizione richiama pertanto la reciprocità su di un piano che ci riporta alle considerazioni relative alla coevoluzione. La convinzione di essere una persona modificabile, riveste un ruolo determinante nella realizzazione della mediazione.
Trascendenza [3]
Un’esperienza di apprendimento mediato può essere davvero tale se è caratterizzata anche dal fatto di non essere mai contenuta e ristretta alla necessità che l’ha provocata nell’immediato. Al mediatore, cioè, si richiede la capacità di trascendere i bisogni immediati ed occuparsi, in particolare, del destinatario della mediazione in modo che possa e riesca ad oltrepassare il qui ed ora, nel tempo e nello spazio. Si tratta, in altre parole, di esporre il soggetto che apprende a dimensioni di esperienza che, benché non indispensabili per la soddisfazione di un bisogno immediato, siano importanti invece per gli aspetti più complessi e meno diretti del suo sviluppo cognitivo [4] .
La mediazione, cioè, deve dar luogo ad un apprendimento che ecceda la mera esperienza per trarne indicazioni utili anche in condizioni differenti da quelle nelle quali esse sono state acquisite. È, potremmo azzardare ad ipotizzare, la mediazione di ciò che Bruner definisce transfer [5] , ovvero la possibilità di impiegare conoscenze ed abilità in ambiti differenti rispetto a quelli nei quali il soggetto le ha apprese e fatte proprie. Concetto, peraltro, a fondamento della definizione di competenza quale condizione nella quale il soggetto è in grado di impiegare conoscenze ed abilità in situazioni date.
In una situazione di apprendimento mediato, una qualunque indicazione, anche quella più prescrittiva, dettata dall’urgenza di impedire il contatto con uno stimolo negativo, non può essere lasciata a se stessa, senza un’azione di riflessione comune tra mediatore e soggetto. Solo in questo modo, infatti, l’allievo può prendere consapevolezza del rischio corso, della necessità di evitare taluni comportamenti, dell’esigenza di impiegare altri atteggiamenti, di svolgere alcune operazioni mentali prima di decidere come agire e così via. Qualunque istruzione, pertanto, va accompagnata dalla spiegazione dei motivi che hanno indotto l’adulto all’intervento, eventualmente anche in un tempo successivo a quello in cui l’urgenza può aver reso indispensabile un comportamento fermo e determinato da parte del mediatore.
Si può anzi, impiegare in forma positiva la situazione emotiva eventualmente creata dall’atteggiamento energico e risoluto del mediatore per incanalare in modo proficuo le emozioni suscitate dall’accadimento. Bisogna sottolineare, infatti, come la modificabilità del pensiero non venga sollecitata dall’avvenimento in sé, quanto invece dalla natura trascendente dell’interazione che viene attuata in conseguenza degli atti accaduti. Come già considerato a proposito delle categorie della mediazione, anche nel caso della trascendenza sono importanti le componenti del tempo, dello spazio, della successione, dell’ordine, della cultura per favorire lo sviluppo delle strutture cognitive. Sono esse, infatti, che permettono il distacco dalla concretezza dell’esperienza per giungere a forme sempre più elaborate di pensiero.
Secondo Feuerstein attraverso la mediazione della trascendenza è possibile l’insegnamento di strategie cognitive che rendano l’individuo in grado di raggiungere livelli più alti di sviluppo intellettivo, con grande beneficio proprio di coloro che sono in maggiore difficoltà.
Mediazione del significato [6]
Com’è noto, vi è una scuola pedagogica la quale crede che la didattica vada centrata prevalentemente sui significati delle azioni umane che devono accompagnare il raggiungimento dei risultati o l’apprendimento dei metodi e delle procedure. Alla base della possibilità di sviluppo cognitivo dell’essere umano stesso sarebbe il significato attribuito ai contenuti dell’apprendimento e, soprattutto, alle azioni messe in atto dal soggetto che apprende per far propri tali contenuti.
Anche Feuerstein può essere senza dubbio annoverato tra coloro che ritengono fondamentale tale attribuzione di significato e, certo non a caso, la mediazione del significato costituisce, come abbiamo constatato, uno degli elementi senza dei quali non è neppure possibile definire “mediazione” l’intervento educativo. Anche in questo caso, peraltro, egli ne dà un’interpretazione particolare che qualifica il significato come energia, ovvero la forza affettiva ed emotiva, indispensabile affinché l’interazione mediata possa affermarsi nonostante l’opposizione che si potrebbe incontrare. In altre parole esso è la potenza che consente al mediatore di agire in modo che il soggetto che apprende faccia davvero propri gli stimoli mediati.
Nel processo di apprendimento è necessario che il soggetto sia reso responsabile dell’organizzazione dell’insieme degli oggetti e degli eventi, tramite una negoziazione di significati. Si tratta, quindi, di agire insieme perché chi apprende riesca ad attribuire significato a ciò che fa, trovando relazioni e collegamenti con quanto effettuato e conosciuto in precedenza.
Il significato, pertanto, rinvia sempre al valore attribuito alle cose, ma anche a rispetto, dedizione, venerazione, attaccamento, affezione, fedeltà, affetto. Il valore, in altre parole, è influenzato dal contesto culturale nel quale avviene l’attribuzione: poiché l’allievo spesso non è ancora in grado di svolgere questa operazione da sé, il mediatore compie una fondamentale funzione di collegamento con la cultura di riferimento. L’adulto, infatti, attribuisce un significato personalizzato ai vari oggetti, eventi, relazioni e così via: per Feuerstein non si tratta di un significato assoluto ma permeato dalla cultura che il mediatore media insieme con i contenuti dell’apprendimento. Egli ritiene, dunque, che proprio questa mediazione degli aspetti assiologici del comportamento solleciti nell’allievo la ricerca del significato di ogni cosa.
Feuerstein attribuisce straordinaria importanza al rapporto affettivo non solo per sé, ma anche in funzione della mediazione del significato: in alcune situazioni di grave deprivazione culturale, così come in condizioni di grande povertà economica, ma anche morale e spirituale, il rapporto umano che si costituisce tra educatore ed educato può arrivare a costituire la sola motivazione all’impegno personale ed all’apprendimento.
In ogni caso Feuerstein, tuttavia, riconosce come il ruolo dell’affettività, pur necessario, non risulti sufficiente per dar luogo alla modificazione strutturale. Essa va accompagnata dalla forte motivazione nel mediatore. Il processo di mediazione e di trasmissione culturale, infatti, per essere efficace, deve aver origine dal bisogno di continuità e di proiezione nel futuro del mediatore. A questo proposito Feuerstein ricorda come in qualunque genitore l’educazione dei figli nasca, in qualche modo, dalla necessità di superare i limiti dell’esistenza individuale, in modo da poter continuare la propria presenza e realtà, per l’appunto, nelle generazioni successive. Questa motivazione, anche se non pienamente consapevole da parte del mediatore, è comunque indispensabile per l’efficacia dell’azione educativa.
Lo stesso adattamento sociale del singolo essere umano, trova nella mediazione un incentivo significativo. La trasmissione dei valori culturali rafforza il soggetto nella comunità: più l’identità culturale è forte e stabile, più la persona è in grado di affrontare il mondo esterno, gli altri soggetti, il diverso da sé, con la sicurezza necessaria per istituire il rapporto con gli altri senza temere di perdersi e di annullarsi come persona. Per questo motivo, la mediazione del significato, così densa di valore e di cultura è a fondamento irrinunciabile della formazione del soggetto [7] .
Proprio per questo motivo Feuerstein è contrario a tutte le metodologie di apprendimento che ritengano a proprio fondamento il rapporto, per così dire, “asettico” tra l’individuo ed i contenuti delle discipline di studio. L’impiego di strumenti ed ausili, non può in nessun caso sostituire il mediatore umano.
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