Uno dei pensatori fondamentali per la codifica della pedagogia islamica è al-Ghazāli (1058-1111 d.C.), che si occupa di questa disciplina in tre delle sue opere; nella “Bilancia dell’azione” ( Mizān al- ‘ amal ) discute sia le tipologie di discipline e le varie metodologie di insegnamento che che l’importanza della relazione tra maestro ed allievo nella società islamica. Nel suo lavoro principale invece, il “Ravvivamento delle Scienze Religiose” ( Iḥyā’ ‘ ulūm al-dīn ), nel ventiduesimo libro “Disciplinare l’anima, raffinare il carattere, e curare la malattia del cuore”, parla della virtù dell’istruire i giovani e dell’importanza di non trascurarne l’educazione; nel suo saggio “O Figlio!” [1] ( Ayyuha al-walad ), infine, stabilisce il fondamento pratico della sua teoria dell’educazione.
Lo scopo dell’educazione
Proseguendo quindi oltre le considerazioni educative embrionali formulate da ibn-Saḥnun, e i fondamenti a metà strada tra la filosofia e la religione proposti da Miskawayh, al-Ghazāli compie il passo decisivo e formula una definizione dello scopo dell’educazione islamica: «Conoscere il significato dell’obbedienza e servire Dio», ovvero un adempimento del versetto Coranico: «È solo perché mi adorassero che ho creato [...] gli uomini» [2] . Nella Bilancia dell’Azione, afferma: «Le scienze costituiscono una serie di tappe successive per pervenire a Dio Possente e Sublime» [3] . Nonostante affermazioni simili possano sembrare anacronistiche e irrilevanti per l’istituzione di una pedagogia islamica contemporanea, è necessario notare la sottigliezza che soggiace all’osservazione di al-Ghazāli: conoscendo quale sia, nell’ottica islamica, lo scopo della vita umana, egli cerca di gettare le basi di un modello pedagogico che adempia a ciò. Nella società postmoderna in cui viviamo, non è forse l’autorealizzazione lo scopo della vita? E non si definisce l’obiettivo dell’educazione come “realizzare il pieno potenziale del bambino”? Al-Ghazāli coglie questa intima connessione tra contenuto dell’insegnamento e ideale antropologico, e formula quindi una definizione essenziale e teologicamente corretta, la prima della storia dell’Islam.
Il contenuto educativo
Dalla chiara definizione, discendono alcune considerazioni sul contenuto dell’educazione, sui modi per acquisirla e sulla gerarchia spirituale delle discipline.
In primo luogo, non tutti i tipi di intelletto, cioè di canali che permettono l’acquisizione della conoscenza, sono equivalenti. Al-Ghazālī propone una dicotomia tra intelletto istintivo o acquisito; il primo “esiste potenzialmente nel fanciullo come potenzialmente esiste una palma nel nocciolo del dattero” [4] , ed è quindi concetto di valenza pedagogica fondamentale. Operata questa distinzione, Ghazālī si occupa di individuare quale conoscenza sia maggiormente benefica; in seguito propone ai suoi studenti un “esercizio spirituale” per determinare verso che studi orientarsi; infine illustra il nesso tra conoscenza e responsabilità.
Dopo aver gettato le basi del modello educativo, al-Ghazālī si occupa anche delle divisioni della conoscenza, e quindi di quali siano quelle benefiche e quelle dannose. Tale distinzione è in linea con la tradizione islamica più ortodossa e con l’ḥadīth secondo il quale il Profeta era solito dire: «O Dio, mi rifugio in Te dalla conoscenza inutile» [5] . Ghazālī consiglia quindi agli studenti di riflettere prima di avviarsi allo studio di una disciplina, e di prendere il tempo necessario per “esamina[re] un campo del sapere e assicurarsi che migliori il tuo cuore e pulisca la tua anima” [6] . Un altro esercizio spirituale che al-Ghazali propone ai suoi studenti è quello di immaginare di avere a propria disposizione solo una settimana di vita: “Certamente non vi occupereste della giurisprudenza, né delle teorie e dispute legali; [...] anzi, prestereste attenzione al vostro cuore, indaghereste la vostra anima abbandonando i vostri legami con il mondo e purificandola dai suoi tratti deplorevoli e orientereste la vostra attenzione all’amore di Dio” [7] . Da giurista, Ghazālī si basa anche sulla distinzione tra “dovere individuale” ( farḍ ‘ aīn) e “dovere collettivo” [8] ( farḍ kifāya), proponendo un suo personale criterio di discriminazione: quella conoscenza che porta al risanamento della propria intenzione è necessaria per ogni musulmano.
Il concetto stesso di educazione proposto da Ghazali è profondamente bilanciato tra importanza attribuita alle facoltà razionali e vita religiosa autentica. Egli mette in guardia il lettore dalla ricerca di una conoscenza teorica che non si rifletta nella pratica, e dall’orgoglio che a volte si impossessa di coloro che si dedicano allo studio e alla sapienza [9] . Con la sua abituale profondità, Ghazālī espone anche il concetto di conoscenza come responsabilità; partendo dal ḥadīth secondo il quale: “Colui che soffrirà maggiormente il Giorno del Giudizio è colui che ha conoscenza che Dio gli ha reso inutile” e da altri detti di sapienti musulmani, egli spiega che la conoscenza, e quindi l’istruzione tutta, è valida soltanto se si traduce in buone azioni, e che anzi la conoscenza che rimane teorica è dannosa [10] . Tratta anche vari versetti Coranici, nei quali il Paradiso è promesso a coloro che “credono e compiono le buone azioni”, per arrivare a concludere che l’educazione è utile solo se si traduce in fede e opere.
Ghazālī ammonisce anche i suoi studenti da un rischio, quello di perdere autenticità nella propria conoscenza; molti predicatori, infatti, erano soliti limitarsi alla ripetizione continua di versi poetici o versetti coranici, senza che questi operassero un vero cambiamento nella loro spiritualità. Egli quindi consiglia ai suoi studenti di evitare di menzionare alcunché, se l’oratore non riceve ammonizioni per sé [11] .
L’ultimo aspetto riguardante il contenuto dell’educazione ghazaliana riguarda il ruolo della conoscenza, basandosi sul ḥadīth: «Dio non guarda alle vostre apparenze o ai vostri beni; guarda invece ai vostri cuori e alle vostre azioni» [12] . Il nucleo di ogni azione umana, fosse anche nobilissima come la ricerca della conoscenza o l’insegnamento, è l’intenzione che la motiva. L’intenzione, quindi, è la prima qualità verso la quale l’uomo deve ...