Come è noto, a partire dall’anno scolastico 2015/2016, anche l’Italia si è dotata di un Sistema Nazionale di Valutazione (SNV) dopo un percorso più che decennale di sperimentazioni. Ciò ha richiesto ad ogni scuola l’elaborazione di un Rapporto di Autovalutazione (Rav) e di un Piano di Miglioramento (PdM) seguiti da un Piano triennale dell’offerta formativa (Ptof) che hanno posto i risultati delle rilevazioni esterne degli apprendimenti come indicatori centrali della propria efficacia e ambiti di investimento per il miglioramento [1] . È chiarissima, infatti, la finalità cui tende il Sistema nazionale di valutazione: “ il miglioramento della qualità dell’offerta formativa delle scuole e degli apprendimenti degli studenti ”, così come scritto nel primo comma dell’art. 2 del Regolamento n. 80/2013. Ciò significa che la valutazione della scuola e quella di sistema condividono il medesimo obiettivo: rendere consapevole il management della scuola (in primis il Dirigente) e i decisori politici dei punti di forza e di criticità della scuola e/o del sistema stesso, al fine di poter intervenire con azioni adeguate di correzione o di supporto. La valutazione degli apprendimenti va dunque considerata come uno dei tre pilastri fondamentali del SNV e, alla luce di quanto confermatoci dalle più avanzate esperienze internazionali di ricerca in tale ambito [2] , qualsiasi sistema di valutazione dovrebbe virtuosamente interconnettere la valutazione degli esiti formativi degli studenti (valutazioni scolastiche e standardizzate) con l’autovalutazione/valutazione esterna delle scuole e dei soggetti che concorrono all’erogazione del servizio scolasti. In ciascuno di questi tre ambiti le azioni in Italia sono partite in tempi diversi e purtroppo, anche in forza di norme distinte, oggi si fa fatica a considerarli parti di un unico sistema [3] . Ma tant’è: tali discrasie non fanno che confermare come la valutazione nel suo complesso rappresenti per la scuola italiana una sfida difficile. Ma è un compito necessario, tuttavia, per arrivare a cogliere, da parte del corpo docente, dirigente e amministrativo, il core di sostenibilità dell’innovazione didattica. Valutazione e didattica sono, infatti le due facce della stessa medaglia. Ma questo assunto, confermato in modo fattuale proprio da coloro che sono la voce della pratica agita in aula – insegnanti e dirigenti – paradossalmente stenta ad essere riconosciuto nella sua evidenza anche teoretica in alcuni ambiti della ricerca educativa laddove si continua a riproporre confini epistemologicamente obsoleti fra la pratica (e la ricerca) docimologica e la pratica (e la ricerca) didattica. In realtà si tratta di dimensioni rese indissociabili dalla stessa realtà del “fare scuola”, ovvero dalla didassi educativa, e sempre più avallate, oltre che dalla testimonianza diretta degli insegnanti, anche dalla ricerca socio-costruttivista che colloca la valutazione nel cuore del processo di insegnamento-apprendimento e la intende come risorsa per l’apprendimento [4] . Come scrive L. Guasti, «la valutazione non può essere pensata come un oggetto puro, quasi esterno alla didattica e alla sua epistemologia, al quale aggrapparsi per operazioni di giudizio funzionali ad avere risposte assolute e definitive alle domande poste dalla problematicità dell’insegnamento e dei suoi risultati» [5] . Le teorizzazioni didattiche più recenti, infatti, tendono ad accentuare le funzioni formative e di accompagnamento della valutazione che è diventata parte integrante dei processi decisionali e organizzativi di qualsiasi percorso formativo.
Nella direzione di questa interpretazione vanno anche le norme ultime. Le valutazioni degli apprendimenti, già disciplinate dal D.P.R. n. 122/2009, sono state infatti rivisitate e riordinate dal D.Leg.vo n. 62 del 13/4/2017, in attuazione di una delega conferita al Governo dall’art.1, c.181 della legge n.107/2015. Al decreto n. 62/2017, attuativo della legge n. 107/2015, sono seguiti il DM n. 741/2017, dedicato a disciplinare in modo organico gli esami di Stato di scuola secondaria di I grado, il DM n. 742/2017, con il quale sono stati adottati i modelli nazionali di certificazione nazionale delle competenze, e la nota n. 1865 del 10 ottobre 2017, volta a fornire indicazioni in merito a valutazione, certificazione delle competenze ed Esame di Stato nelle scuole del primo ciclo di istruzione. Dietro l’adozione di queste norme si legge in controluce il modello valutativo scelto dal nostro Paese che è basato su alcuni principi normativi che hanno fatto la storia della didattica scolastica italiana fra i quali primeggia la libertà d’insegnamento come libertà delle pratiche e delle metodologie educative funzionali al conseguimento, da parte degli studenti, degli standard apprenditivi predefiniti a livello nazionale, nonché il potere organizzativo del management della scuola (che discende direttamente dall’autonomia scolastica e dall’attribuzione della qualifica dirigenziale ai capi di istituto). La prima condizione posta, infatti, dal legislatore per una corretta gestione della valutazione degli apprendimenti, è che essa si sviluppi all’interno di un unitario sistema nazionale di istruzione e formazione in grado di garantire pari livelli essenziali di prestazione in tutti i contesti territoriali in cui si trovi ad operare. In questa logica, la valutazione delle scuole diventa per il dirigente scolastico ed il suo staff, uno strumento essenziale del potere di indirizzo della scuola verso questi obiettivi e del conseguente potere di gestione attraverso piani di miglioramento che attivino un processo di sviluppo continuo. Entro questo modello gli insegnanti saranno chiamati sempre più a conciliare pratiche valutative a sostegno dell’apprendimento con pratiche sommative, in particolare certificative, declinando nelle pratiche la cura del processo di apprendimento [6] con l’attenzione alla triplice funzione che sempre dovrebbe assolvere una valutazione per l’apprendimento: orientativa, formativa, certificativa.
Queste tre funzioni vanno riguardate in modo contestuale, sia per descrivere i processi di apprendimento, sia per promuovere l’apprendimento stesso. La valutazione degli apprendimenti è anzitutto orientativa perché è un processo finalizzato al ricavare informazioni sull’apprendimento dello studente e non un mero strumento disciplinare o di selezione. Essa offre supporto all’insegnante in direzione diagnostica, per comprendere i livelli di partenza degli studenti e per indirizzare questi ultimi verso le aree di competenza previste dai traguardi di apprendimento e nelle quali può meglio esprimersi la talentuosità di ogni allievo, nella valorizzazione del curricolo implicito che ciascuno porta in dote a scuola. La valutazione degli apprendimenti ha però anche una funzione formativa, già individuata da M. Scriven nell’ancora attuale e ampiamente nota distinzione da lui teorizzata tra funzione formativa e funzione sommativa della valutazione [7]: la prima rivolta specificamente al miglioramento delle azioni didattiche e al supporto delle decisioni, la seconda volta invece al “fare bilanci” e all’esprimere giudizi. A ciascuna di esse oggi si tende a correlare le funzioni rispettivamente di learning e di accountability. La prima esprime il principio del “miglioramento continuo” attraverso quell’apprendere dall’esperienza e quel decidere ciò che è più giusto propri della professionalità riflessiva. Un tempo la didattica era il luogo della riproduttività applicativa e tecnica e dell’assenza di decisioni. La direzione degli interventi era top-down: la teoria giustificava la pratica, l’azione dell’insegnante era perlopiù esecutiva. Gli sviluppi più recenti delle teorie organizzative hanno messo in crisi tale paradigma e rivalutato il ruolo della decisione [8] nelle azioni didattiche e valutative, decisione che dipende dalla competenza a saper riflettere nell’esperienza e sull’esperienza al fine di indurre cambiamenti migliorativi.
La seconda funzione, quella di accountability, si connette al dovere di rendicontazione sociale a interlocutori esterni dei risultati ottenuti e delle scelte compiute da parte dei soggetti responsabili della progettazione didattica. Si evince in tal modo la connotazione squisitamente pragmatica della valutazione scolastica: essa si riferisce a uno specifico contesto di azione ed è finalizzata ad intervenire su di esso. Alla base della valutazione vi è, infatti, una domanda di “sapere utilizzabile”; essa fornisce un “valore aggiunto” di conoscenza rispetto alla specifica realtà formativa e si qualifica in rapporto all’uso che di tale conoscenza viene fatto per agire su tale realtà [9].
La valutazione degli apprendimenti ha infine una funzione certificativa come misura normativa della realizzazione pratica dell’intervento formativo [10] che può esplicitarsi in modo sommativo, al termine dell’anno scolastico, o di medio termine, nel corso dell’anno. E in quest’ultimo caso essa mantiene intatta la sua funzione formativa. Le tre funzioni sono pienamente contemperate dalla riflessione di due docimologi profondamente ispirati a una concezione di regolazione didattica della valutazione degli apprendimenti: L. Calonghi e C. Hadji per i quali la valutazione degli apprendimenti assunse un senso profondamente educativo. Essi hanno proposto un modello di valutazione neo-umanistica ancora del tutto attuale, funzionale a istanze di tipo personalistico. Il nucleo concettuale della valutazione è in Calonghi ricavato dall’impostazione tyleriana: il significato della valutazione va rintracciato nel “confronto tra i risultati raggiunti e gli obiettivi; tra le prestazioni, la condotta dell’alunno e i criteri di confronto” [11]. Tuttavia, aggiunge Calonghi, i criteri che di fatto si usano nella valutazione diventano in realtà gli stessi fini dell’educazione. Valutazione ed educazione vengono così a coincidere se «il fine della valutazione è far in modo che il soggetto […] raggiunga una maturità tale da poter agire in modo da conseguire man mano il fine proprio della sua vita d’uomo» [12]. E ancora:«Tutti i tipi di valutazione dovrebbero essere formativi o educativi, altrimenti non avrebbero ragione di essere» [13]. La valutazione è, insomma, assunta come guida delle azioni didattiche e come “via” per la formazione. In Hadji il discorso viene ulteriormente sviluppato e la valutazione viene posta, per dirla con le stesse parole dell’autore, al servizio degli attori del processo didattico. La riflessione dell’autore francese parte dall’assunto che ogni atto valutativo è sovradeterminato e multidimensionale. Per rendersene conto, scrive Hadji, basta porsi la domanda “chi fa che cosa?” per arrivare a constatare la pervasività e specularità di ogni azione valutativa. Se si guarda ai docenti essi decidono, attraverso il valore assegnato alle prestazioni degli studenti, il loro “futuro sociale”. Ma valutano anche il loro stesso lavoro e, indirettamente, anche la pertinenza sociale del loro compito di docenti. Lo stesso discorso può essere fatt...