Uno dopo l’altro
Santo cielo, non mi farò sopraffare da questo stupido film giallo semihorror che ho deciso di spararmi tutta sola, giusto per sentirmi viva anche in assenza di mio marito!
Si sfiorò una guancia, aggrottò le sopracciglia e sospirò, concedendo poi uno sguardo malizioso al design accattivante dei nuovi mobili e al disordine della stanza. Le sedie stavano fuori posto, i vestiti abbandonati sulle poltrone e sul divano, i fogli di carta erano scivolati sotto il tavolino del computer e una dozzina di libri in ombra nei posti più impensati.
Quadri con skyline di importanti città erano appesi sulle pareti verde mela. Sulle tende delle grandi vetrate che si aprivano sul terrazzo spiccavano ricami a uncinetto incrociato.
Leggere la stimolava, concretizzando la sua fantasia e proiettandola in luoghi diversi e incantati che forse non avrebbe mai potuto visitare.
Un libro mancante di cultura non dovrebbe circolare. L’uomo di Lascaux sì che rispecchia i miei modelli primitivi di vita… credo proprio che sopravvivrò anche senza Vincent.
Il suo nome era Nausicaa Tremblay e in quell’istante si stava osservando allo specchio dalla sottile cornice bianca laccata, la sua mente viaggiava come un treno carico di parole.
Non era difficile intuire che il suo carattere era tutto pepe.
Cercare di convincerla, per esempio, di ciò che doveva o non doveva fare senza averne desiderio, la faceva andare su tutte le furie! Anche Vincent le ribadiva sempre di lasciar perdere le piccole stupide cose, ma lei, testarda, osava azzardare.
Quasi albeggiava e avrebbe dovuto abbandonare il suo paffuto canapè, ma il suo diario – di carta avorio con copertina argentata – avrebbe viaggiato con lei. E pensare che si era da poco alzata ed era già stanca.
“Non posso certo perdere più di mezzora per rassettare in fretta, togliere la polvere dai mobili, riporre i vestiti nell’armadio e i volumi negli scaffali” disse a sé stessa.
Provò vergogna, riconoscendo di essere per natura refrattaria alle pulizie di casa. Si attivò, inforcando le sue pianelle di silicone rosso, e pulì per quanto le fosse consentito in quella mezzora.
“E voilà adesso j’en ai ras le bol… ne ho piene le scatole di torchons mangia polvere e vapore igienizzante” sbuffò sconsolata “mi vado a rinfrescare un poco, ne ho proprio bisogno dopo una notte insonne!”
Fece scorrere l’acqua calda della doccia sulla pelle, provando un beneficio costante. Fermato il liquido che quasi scottava lungo la schiena, avvertì che la sua mente si svuotava di ogni pensiero ingombrante.
Spento il getto, si sentì del tutto rinvigorita, avvertendo il sangue scorrere nelle sue vene, fluido come seta liquida.
Si posizionò davanti allo specchio con i piedi ancora bagnati sulle piastrelle grigio chiaro lucide. Si asciugò e infiammò con cura le labbra e il viso, indossando il rossetto. Raccolse i capelli, si sistemò addosso l’uniforme, mise sottobraccio il casco che avrebbe infilato per guidare la sua Yamaha e imboccò velocemente la porta della sua rassicurante abitazione.
Ahimè comincia il mio turno quotidiano di guardia. Che fortuna: non ho chiuso occhio stanotte e mi tocca pure sorbirmi una serie di disperati, pazzi scatenati che urlano e strepitano contro quei poveri operatori sanitari, i quali puntualmente chiamano in aiuto noi poliziotti.
Nausicaa, dall’aspetto troppo femminile per un tutore dell’ordine, venerava la sua professione. Anche se in certi momenti si chiedeva perché non avesse avuto la pazienza di terminare gli studi universitari in Storia medievale, che le avrebbero consentito di divorare i volumi antichi di rilassanti biblioteche, al riparo dagli strepiti e dalle frenetiche attività quotidiane che l’assillavano ora.
«Ehi pupa, ti decidi o no a venire a prendere ’ste consegne benedette, che me ne vorrei andare a casa». La voce stridula di Tim rimbombò nelle sue orecchie.
«Arrivo, arrivo, rompi! Ma tua moglie ti sopporta ancora o ti ha già buttato fuori casa, baby?» sghignazzò Nausicaa precipitandosi ad accovacciarsi sulla sua poltrona basculante che si divertiva a far roteare ritmicamente.
Quel nome, Nausicaa, gliel’aveva scelto la madre, di origine greca, folgorata nell’udirne la pronuncia nel film Odissea.
«Allora, stai ferma che mi fai venire il mal di mare, Nancy!» proruppe indispettito Tim.
«E tu piantala di chiamarmi Nancy, piccolo bastardo! Mi fai innervosire: vabbè che non sai nemmeno dove si trova la Grecia né riesci a pronunciare i nomi stranieri correttamente. Ma almeno sforzati, usa l’immaginazione, honey!»
«Senti un po’, pupa, che colpa ne ho io se i tuoi vecchi sono stati tanto pazzi da darti un nome così strambo! Chi vuoi che lo sappia pronunciare a Montréal?»
«Lascia perdere i tuoi commenti spiritosi, baby, e sbrigati a dirmi le novità! Suppongo che non avrai voglia di beccarti l’uragano nel pieno del suo fulgore» disse la donna, scrutando il cielo sempre più minaccioso.
In effetti da quando era in servizio al Saint James, ospedale generale nella zona sud di Montréal, si era creata una corazza di perfetto cinismo che la proteggeva dalle situazioni più scomode.
Aveva assistito all’afflusso di centinaia di utenti concitati, aggressivi, storditi, esaltati, farneticanti: pochi purtroppo erano i veri riconoscenti per il duro, e a volte ingrato, lavoro degli operatori.
Il collega le stava confermando che la fauna predominante al Saint James in quei giorni era costituita da derelitti con problemi mentali e psicologici piuttosto che fisici. Infatti il personale medico e paramedico era impegnato costantemente nella distribuzione di trattamenti antidepressivi e sedativi laddove le crisi si manifestavano in personalità disturbate o violente. Era un festival di compresse fucsia, verde mela, rosso lampone che illuminavano in uno sfavillare di flash il triste fardello della quotidiana sofferenza.
I pazienti quasi ignari del tramestio che si svolgeva intorno a loro tendevano la mano senza troppa reticenza, ingoiando tutto senza battere ciglio.
Nausicaa ancora non sapeva che cosa le avrebbe riservato il suo turno.
Quel pomeriggio piovoso e grigio non prometteva niente di po...