Prefazione
La scrittura femminile, quando è buona scrittura, è sempre riconoscibile. Lo è, spesso, per una spiccata tendenza alla soggettività e all’autoanalisi, a cui si accompagna di solito un’esplicita attenzione alle problematiche di genere e di rapporto, un interesse insomma per quanto si definisce condizione femminile, tanto più necessario quanto meno tale condizione ha trovato, ancora nei nostri moderni tempi, un suo equilibrio socialmente accettato. Ma altre volte è riconoscibile, anche al di là di una dichiarata voglia di farsi riconoscere, per un’attrazione istintiva verso i piccoli fatti della vita, per il privilegio dei sogni e delle emozioni, per le ragioni del cuore, insomma, per una semplice e naturale, quasi ovvia capacità di indagare le più riposte pieghe dell’anima che all’uomo non è, quasi mai, data. È il caso di Cinzia Della Ciana e dei suoi “quadri”, davvero una piccola galleria di personaggi antichi e moderni, piccoli e grandi, giovani e maturi, accomunati da questa spiccata sensibilità tutta femminile. La scrittrice rifiuta costantemente l’autoanalisi soggettiva, l’io narrante che caratterizza tanto egocentrismo contemporaneo – di questo le va dato vanto – e decide invece di guardare sempre fuori di sé, alla costante ricerca di tipologie diverse, come infinite sfaccettature di un’umanità in cui riflettersi, creando alla fine un variopinto universo di storie ora gioiose, ora malinconiche, sempre toccanti. Perché non sono in realtà le storie, le trame o le vicende raccontate, spesso semplicissime, a rendere la lettura piacevole, avvincente, talvolta commovente: sono loro, le “donne di quadri”, a coinvolgerci, per come vivono e pensano le loro storie, e perché in esse è così ben rappresentata “l’altra metà del cielo” che chiunque legga, uomo o donna che sia, non può non ritrovarvi il ricordo, forse l’archetipo, delle tante, care figure femminili che lo hanno allevato e sostenuto, amato e stimolato, che gli hanno insegnato, oppure purtroppo qualche volta hanno cercato di insegnargli, che la vita è sempre bellezza: dipende da come la vivi.
Andrea Matucci
Docente di Letteratura italiana
Università degli studi di Siena
Vestibolo
(ovvero istruzioni per l’uso)
All’ingresso di questa galleria, prima che entriate nel corridoio che conduce alle sale, noi, protagoniste dell’esposizione, ci siamo riunite per presentarci a voi visitatori e reclamare i diritti d’autore che ci spettano.
Sì, perché il vero autore di un libro non è chi racconta, ma chi suggerisce.
Siamo tutte donne prese in prestito da un’altra donna che, a “mezzogiorno” della sua vita, ha pensato di ricalcare la sua originaria vocazione, ormai da tempo tralasciata: suonare. Questa volta non con uno strumento, bensì con le parole, parole che disegnino quadri.
Una bella pretesa, direte voi! Certo, aggiungiamo noi: lei, il nostro autore, voleva una favola e così se l’è creata, usandoci.
Dopo anni di giorni uguali ai giorni, passati nell’ortodossia del costruire, questa donna è venuta a disturbarci per giocare a fare l’equilibrista. L’equilibrista, come faceva da bambina sulla linea rossa tracciata col gessetto sull’asfalto del cortile, ma, ora, con il rischio che la riga colorata si trasformi davvero in filo sospeso nel vuoto e cominci a vibrare.
Allora, vi domanderete, perché avete deciso di darle il permesso di raccontarvi?
Per tanti motivi.
Perché siamo donne e ci piace piacere. Essere ammirate in toto e non per singole parti. Ala infinita di fantasia e ingegno, gioco di fascino, desiderio e sogno, oscilliamo tra cielo e terra, piangiamo a un angolo e un attimo dopo ripartiamo, conserviamo la capacità di stupirci e di stupire. Anche la più prigioniera di noi ha una vita interiore profonda, pensieri intimi e sentimenti selvaggi e, soprattutto, tiene sempre aperta una scappatoia. Ha imparato a nascondere il jolly nella manica, a farsi scudo con la “matta”, la carta della bizzarria che la rende libera di muoversi, per non smentire il vecchio adagio secondo il quale “carte e donne fanno sempre quello che vogliono”.
Perché anche lei, il nostro autore, è una donna e non sa in realtà cosa le è stato concesso di scrivere.
Diderot sosteneva che quando si scrive delle donne bisogna intingere la penna nell’arcobaleno. Ma quando a scrivere delle donne è un’altra donna, allora l’arcobaleno si fa tavolozza. Scrivere resta un mistero. Solo mentre comporrà, scoprirà le nostre orme e, a sua volta, lascerà la sua impronta per farsi trovare. In vero nessuno scrive unicamente per sé.
Perché ci ha colpito il suo bisogno di ideare un libro che, in una qualsiasi pagina (o quasi) si apra, lo si possa leggere. Non un romanzo da tenere sempre in mano e sempre in mente e che una volta letto è finito, ma una promenade vagabonda in mezzo a frammenti di vita messi in cornice, da percorrere e ripercorrere, quanto e quando piace.
In effetti la vita, a guardarla bene, non ha necessariamente un incipit, uno svolgimento e una fine: la vita può iniziare quando la luce è già accesa, la luce si può spengere quando la vita non è ancora finita, la luce ti può abbagliare per tutta la vita. Quel che a noi interessa non è il prima o il dopo, la storia è solo un pretesto per immortalare la frazione, l’istante, l’unicità del fermo immagine, che, denso di dettagli e sfumature, ti faccia arrestare e riflettere, si faccia leggere e, magari, rileggere, per trasportare l’anima nel cervello e poi oltre la siepe. Come una musica che si ascolta più volte e più si ascolta e più penetra dentro. Come una poesia che canta e vuoi che non smetta. Per superare la limitatezza terrena che non consente, invece, di vivere mai due volte lo stesso momento.
Perché la donna è fata, maga, sibilla e strega; la donna è enigma e metamorfosi, dà la vita e indovina la vita. E per interpretare la vita, le carte e i loro semi sono davvero galeotti.
A tutti preferiamo il segno di quadri. È rosso scarlatto come le fiamme, il sangue e la passione. Vuol dire denari e potere. È figura che ricorda il rombo, una geometria perfetta di angoli, un quadro appeso al vertice, un equilibrio in perenne sospensione.
Perché, accanto a noi protagoniste, ci sono gli uomini. Senza gli uomini le storie raccontate non avrebbero il loro “sugo”. Gli uomini che, diversamente da noi donne, leggeri giocano a vita, con l’unica variante di cambiar giocattolo; gli uomini che, anche quando diventano “superuomini” alla Nietzsche, ci considerano “il giocattolo più pericoloso”.
Perché le donne, suggerisce Casanova, sono come i libri, “debbono piacere fin dalla copertina”.
Potremmo continuare ancora e ancora, ma non vogliamo che questo vestibolo si trasformi da mero passaggio a noiosa sala d’attesa, ragion per cui vi invitiamo a chiudere il libro e a lasciar che, a caso, in una qualsiasi delle sue pagine, si apra, così da entrare e da veder, sentendo, suonare.
O se preferite componete il mazzo, estraete una delle carte e iniziate a giocare. Attenti alla “matta” e… buena suerte!
Notturno. Romanza per un nuovo anno
“In ogni donna fa capolino una bambina che cocciutamente vuole rimanere tale”.
Dacia Maraini
Sola e inquieta camminava nella notte opaca.
In lontananza scorgeva una bambina dai lunghi capelli color autunno, lievemente increspati come i bordi di quelle foglie prima di cadere, gli occhi non grandi guizzavano nel buio, fessure di mandorla accese da un cuore che all’unisono batteva con la mente.
Elettra voleva raggiungere quella bambina, accarezzarla, abbracciarla.
Prese allora a camminare decisa, rapida, con la fronte alta che sfidava il gelo, proprio come quando era bambina, quella bambina, adulta fin da piccola e ancora piccola divenuta adulta. In fondo l'anima di ogni donna è fuori dal tempo: nasce antica, ma alleva uno spirito che vuol correre giovane a vita.
Forse, a causa del suo nome mitologico, Elettra aveva ...