La coscienza di Ippocrate
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La coscienza di Ippocrate

Vaccini, fine vita, obiezione di coscienza e altri problemi di etica e medicina

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La coscienza di Ippocrate

Vaccini, fine vita, obiezione di coscienza e altri problemi di etica e medicina

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Qual è l'obiettivo primario di un medico, e come deve comportarsi di fronte alle convinzioni religiose, politiche e morali di un suo paziente? E di fronte alle sue? Qual è la scelta giusta da prendere davanti a un genitore che non vuole vaccinare suo figlio, a una ragazza che rifiuta il cibo o a una persona che non intende continuare a vivere? Una riflessione e un tentativo di risposta a questioni da sempre tra le più difficili, ma diventate oggi ancora più urgenti.

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Information

Capitolo 1

Perché l’etica medica è importante?
Da un certo punto di vista, si può dire che l’etica medica è molto più importante oggi rispetto a due o tre decenni fa: mentre nell’era premoderna l’etica medica poteva essere vista, di fatto, come l’etica del medico, ovvero la maniera in cui lo stesso interagiva col paziente, la professionalità dimostrata, le – più o meno sagge e competenti – scelte fatte rispetto ad una situazione non ortodossa, e così via, ora il piano su cui si muove l’etica medica è molto più ampio, e ha visto cambiare e moltiplicarsi gli attori in gioco, a cominciare dal paziente stesso, a cui, nel tempo, è stato dato molto più potere decisionale (anche se con tempi e modi abbastanza diversi a seconda delle latitudini). Più in generale, però, possiamo senz’altro dire che l’etica medica è divenuta pienamente parte – e oggetto – della discussione politica.
Nell’era dell’incompetenza che stiamo attraversando, nella quale chiunque si sente in dovere di parlare in maniera approssimativa di cose di cui si sa poco o nulla, credo sia quindi importante fornire ai lettori di questo libro alcuni strumenti per valutare con maggior cognizione di causa le varie notizie incentrate sui temi qui trattati e che continueranno ad apparire sui giornali, essere trasmesse dai telegiornali e polarizzare i social network con schieramenti a favore o contro.
Quali sono allora i problemi specifici che l’etica medica dovrebbe aiutarci a risolvere? Diciamo che sono problemi etici che hanno a che fare con l’interazione tra individuo e società e con la maniera in cui quest’ultima decide di utilizzare o meno determinate scoperte scientifiche, tecnologiche e mediche. Il fatto che anche le autorità di riferimento debbano affrontare tali questioni potrebbe sembrare scontato, ma la mancata legiferazione su una serie di scenari delicati e bisognosi di regole chiare – che andremo a vedere più da vicino nei prossimi capitoli – rendono evidente che così non è.
1.1 Sviluppo della definizione
Fin da tempi antichi, il ruolo del medico – gradualmente distanziatosi da quello sovrapposto di guida spirituale, come nell’antico Egitto – aveva come scopo quello di garantire il benessere del paziente1, non permettendo di fatto nessun tipo di trattamento che si scontrasse con i costumi della società o mettesse in pericolo l’incolumità di chi si sottopone alle cure. Certamente i termini di riferimento non erano assoluti come oggi (basti pensare a casi di parto con complicanze dove la vita del nascituro maschio era più importante di quella della madre partoriente) ma, una volta tarate le differenze culturali, il messaggio rimaneva abbastanza simile.
Al di là dei contesti culturali specifici, al medico si chiedeva non solo di essere bravo tecnicamente, ma anche di dimostrare qualità morali e virtù necessarie per questa delicata – e prestigiosa – professione. Nell’esercitarla, doveva quindi rappresentare l’ideale di categoria tutta, attraverso l’etichetta – ovvero una serie di comportamenti e atteggiamenti degni della posizione ricoperta nella società. Questi variavano da inclinazioni più immediate e di personalità (essere sereni, educati, allegri e riservati, ma al tempo stesso fermi ed intransigenti quando necessario) ad aspetti quasi puramente estetici (essere in buona salute e non in sovrappeso).
Nel tempo, questi codici di condotta hanno finito per formare anche regole più strettamente legate al rapporto tra medico e paziente. Nel mondo occidentale, su tutti spicca indubbiamente il famoso “giuramento di Ippocrate”2, che può essere ridotto a due proposizioni base: il medico non deve abusare del proprio ruolo e il paziente deve essere sempre rispettato.
Fino al medioevo – quando il progresso scientifico iniziò a dare segnali di risveglio e l’influenza religiosa della tradizione giudaico-cristiana si fece molto più forte e diretta – i vari codici deontologici erano abbastanza limitati. A partire da quel periodo, però, l’etica medica cominciò a tracciare delle linee guida riguardanti i doveri specifici del medico. Gradualmente, la professione medica guadagnò uno status che richiedeva una selezione più attenta, anche per via delle nuove responsabilità, per così dire “teologiche”, annesse alla professione medica. Attraverso una formazione che in Europa cominciava a intravedere metodi di ricerca e cure sempre più scientificamente avanzate, il medico veniva ormai visto come un’estensione pratica dell’etica cristiana, e quindi in dovere di assistere anche pazienti particolarmente gravi o pressoché privi di speranze, inclusi quelli in fin di vita (nei quali casi si chiedeva al medico di tenere il paziente attaccato alla vita il più possibile).
Successivamente, nel periodo post-illuminista, caratterizzato, tra le altre cose, dal passaggio da una morale che assumeva a principio la ricerca della felicità a una che poneva come propria base il dovere verso se stessi e verso gli altri, l’etica medica cominciò a interagire più direttamente con la sfera politica e legale della società, prendendo in considerazione aspetti legati alla sanità pubblica, all’etica professionale e alla giustizia.
L’approccio moderno utilizzato nella bioetica (termine entrato in vigore negli Stati Uniti negli anni Sessanta con l’intento di stressare la specificità dell’interazione che i dilemmi etici trattati da questi nuovi esperti avevano con le nuove biotecnologie all’orizzonte), così come nell’etica medica, segue in questa direzione “multidisciplinare” e dà un ruolo importante alla nozione di autonomia quando si tratta di questioni sensibili relative al futuro del paziente. La centralità della nozione di autonomia era necessaria alla rivoluzione etica che scosse il mondo medico occidentale dopo la seconda guerra mondiale.
Con il miglioramento delle conoscenze sul nostro organismo e una crescente ricerca scientifica svolta dai medici in parallelo ai compiti “classici” del loro ruolo, nella prima metà del ventesimo secolo, la medicina finì paradossalmente per produrre il suo periodo più buio. Spinti dalla voglia di innovare e mettere il proprio nome nei libri di scienza e mossi da impulsi di superiorità razziale, i medici nazisti condussero sui prigionieri nei campi di concentramento esperimenti talmente terribili che, alla fine della guerra, spinsero la comunità internazionale a creare nuove direttive etiche da utilizzare come riferimento per evitare il ripetersi in futuro di crimini del genere.
La tesi difensiva portata avanti dai medici nazisti, che affermava che loro (come tutti gli altri cittadini della Germania dell’epoca) stavano solo eseguendo degli ordini e che giustificava la loro sperimentazione forzata su soggetti umani secondo basi utilitaristiche per cui, specialmente durante un conflitto, il benessere del singolo vale meno di quello della società tutta, sottolineò quantomeno il grave vuoto legislativo che la comunità medica aveva il dovere morale di affrontare e colmare. Come primo passo, nel 1947, con il Codice di Norimberga (scritto dal tristemente famoso tribunale che giudicò i criminali nazisti alla fine della Seconda guerra mondiale), si fece per la prima volta esplicito riferimento a come condurre ricerca clinica su soggetti umani in maniera etica. Il codice stabiliva la centralità del consenso dei soggetti alla sperimentazione.
Nel 1948, stesso anno della Dichiarazione universale dei diritti umani, l’Associazione Medica Mondiale votò ed approvò la Dichiarazione di Ginevra, un documento che, rielaborando i principi alla base del giuramento di Ippocrate, richiedeva esplicitamente ai medici di non partecipare, in nessuna circostanza, a esperimenti che contravvenivano alle leggi dell’umanità.
In tempi rapidissimi, però, ci si rese conto che questi documenti non riuscivano a coprire in maniera adeguata il ventaglio di dilemmi etici che il rapido sviluppo biotecnologico stava creando, dato che la definizione di cosa fosse lecito fare in relazione alla sperimentazione su esseri umani rimaneva ancora troppo vago. Con qualche reticenza da parte di alcuni gruppi, nel 1964 la stessa Associazione Medica Mondiale adottò la Dichiarazione di Helsinki, in cui si ribadiva con fermezza che la centralità del benessere del soggetto rimaneva di primaria importanza e che il consenso a trattamenti medici doveva essere esplicito. Nel contesto nordamericano, questo punto fu poi ribadito con il Belmont Report del 1979, a seguito della scoperta di un test clinico sulla sifilide portato avanti per 40 anni su un gruppo di afro-americani a loro insaputa (con annesse morti e complicazioni mediche non necessarie e ingiustificabili). Come sempre, la non considerazione dei diritti di questi individui veniva giustificata agli occhi dei medici in nome del progresso per la scienza e per tutta l’umanità. Affermazioni che, almeno in teoria, nelle democrazie liberali moderne non sono più tollerate.
La base filosofico-giuridica che ha sancito l’importanza dei valori individuali del paziente ha anche comportato l’aumento del suo potere decisionale, con risultati positivi in relazione alla possibilità di affermazione della propria autonomia e della libertà di scelta in generale. Negli ultimi anni, tuttavia, la natura di tali miglioramenti è stata messa in discussione.
Un elemento fondamentale della crescente importanza dell’autonomia nel paradigma etico occidentale è stato un cambiamento particolarmente importante nell’etica medica negli ultimi trent’anni: il rapporto medico-paziente, che si è spostato da un modello paternalistico (dove si concepivano i medici come unici conoscitori della verità medica, e quindi unici giudici) a un nuovo sistema in cui l’autorità del paziente sul suo corpo è diventata indiscutibile. Questo cambiamento qualitativo della potenza decisionale del paziente ha portato con sé anche un aumento del peso dell’autonomia in controversie bioetiche specifiche.
Gradualmente, la società ha modificato la sua percezione dell’autonomia nei contesti medici, spostando il modello da una versione più convinta dell’oggettività scientifica (se vogliamo più asettica) di cosa rappresentava la migliore opzione per il paziente – con le derivanti implicazioni che ogni distanziamento da questa versione non faceva che minare la “vera” autonomia del paziente – a uno più “elastico” e legato strutturalmente ai valori del paziente nella sua legittimità morale, legale e politica.
La graduale accettazione della volontà del paziente come giustificazione morale sufficiente per portare avanti o fermare un determinato trattamento medico ha però creato una serie di casi controversi in relazione al rapporto medico-paziente, sempre più frequenti negli ultimi anni. Il paternalismo aveva in precedenza dato per assunto che i medici fossero sempre autorizzati a interferire con la libertà d’azione e con l’autonomia di una persona per il bene della persona stessa, e quindi che la sua libertà fosse limitata legittimamente. Il crescente numero di casi controversi in cui i pazienti hanno rifiutato cure di vario tipo (da medicinali ad alimentazione), e la negazione della loro accettabilità per motivi di inammissibilità morale in nome del benessere e del rispetto dell’autonomia del paziente non fa che sottolineare la confusione delle discussioni contemporanee, che cercano di dare risposte a situazioni reali complesse. È quindi importante focalizzare la nostra attenzione sull’effettiva scomparsa del paternalismo dai dibattiti etico-medici.
Come detto, cruciale nelle dinamiche di potere interne all’etica medica è riconoscere che, a condizione di soddisfacenti livelli di competenza, il paziente è il miglior giudice di se stesso per fornire o rifiutare il consenso informato a una procedura medica nei suoi riguardi. Prima di questa concezione secondo la quale il paziente è la persona più indicata per decidere, esisteva una visione dogmatica che considerava i medici come i migliori giudici per definizione. Dopo tutto, cosa mai potrebbe dire di rilevante il paziente su una procedura che neanche riesce a capire? Alla fine, però, ci si è resi conto che, seppur generalmente più informati dei loro pazienti, anche i medici possono sbagliare, come ogni altro essere umano impegnato in qualsiasi attività pratica. Questa giusta considerazione contribuì a dare maggior rilievo alla voce dei pazienti, ma al tempo stesso danneggiò altri aspetti legati al ruolo unico dei medici nella società: più si diffuse l’accettazione della fallibilità dei medici, più venne meno la fiducia nei loro confronti. In poco tempo, le persone iniziarono a diffidare del personale medico, dando luogo alla necessità, gradualmente ampliata, di un aumento del potere decisionale del paziente o, in termini più tecnici, di un maggiore rispetto della sua autonomia.
Questa riforma ha prodotto innovazioni nella capacità del paziente di modellare direttamente il suo destino, medico e non. Ciò è stato visto come un cambiamento positivo nella medicina, ma anche più ampiamente nella società, perché, anche se spesso sottovalutata, l’interconnessione tra “etica medica” e “politica medica” è abbastanza diretta da permettere a una di influenzare l’altra in modo significativo. Torneremo sul tema nell’ultimo capitolo del libro, per ora basti sottolineare che questo vale anche per la graduale diminuzione di fiducia verso l’autorità (medica), con tutti i problemi collegati.
A tale proposito, è utile introdurre brevemente alcuni casi nazionali e internazionali in grado di sottolineare l’attualità di questo problematico intreccio.
1.2 Recenti casi in Italia
Negli ultimi anni in Italia ci sono stati vari casi in cui riferimenti più o meno diretti all’etica medica sono stati tirati in ballo, o avrebbero dovuto. Su alcuni torneremo più avanti ma, per iniziare, credo sia utile prendere in esame esempi di situazioni reali con le quali i lettori verosimilmente avranno già una certa dimestichezza.
In realtà, il primo non è un caso singolo, ma fa riferimento a un disagio purtroppo diffuso nella società moderna: l’anoressia nervosa. Le persone affette da questa condizione sono il più delle volte giovani donne, molto spesso anche minorenni, che gradualmente sviluppano un rifiuto a volersi nutrire con dosi di cibo normali, per assicurarsi di non ingrassare o, anzi, cercare di dimagrire. In breve tempo, quest’ossessione diviene un rifiuto assoluto di ingerire qualsiasi cosa, deteriorando non solo la salute fisica delle pazienti, ma anche, e forse soprattutto, quella mentale. In controtendenza con le molte notizie neg...

Table of contents

  1. La coscienza di Ippocrate
  2. Indice
  3. Ringraziamenti
  4. Premessa
  5. Capitolo 1. Perché l’etica medica è importante?
  6. Capitolo 2. I quattro principi di etica biomedica
  7. Capitolo 3. Trattamenti medici forzati
  8. Capitolo 4. Temi di fine vita
  9. Capitolo 5. Aborto e obiezione di coscienza
  10. Capitolo 6. Vaccini ed etica
  11. Capitolo 7. La medicalizzazione della società
  12. Conclusione
  13. Per approfondire