Capitolo 1
Poker bugiardo
Successe a un certo punto dei primi mesi del 1986, l’anno in cui ebbe inizio il declino della società in cui lavoravo, Salomon Brothers. Il nostro presidente, John Gutfreund, si alzò dalla scrivania che occupava come direttore del trading floor, il piano della sede di Salomon adibito al trading, e iniziò a fare un giro. In ogni momento, sul trading floor miliardi di dollari erano messi a rischio dai trader obbligazionari. Gutfreund si faceva un quadro della situazione semplicemente passeggiando in giro per la sala e ponendo domande ai trader. Un sesto senso soprannaturale lo guidava ovunque fosse in corso una crisi. Gutfreund sembrava capace di sentire l’odore dei soldi che venivano perduti.
Era l’ultima persona che un trader con i nervi a fior di pelle volesse vedere. Gutfreund (che si pronuncia good friend, buon amico) amava avvicinarsi di soppiatto da dietro e sorprenderti. Questo era divertente per lui, ma non per te. Mentre eri in linea su due telefoni simultaneamente per cercare di tamponare una catastrofe, non avevi tempo di girarti a guardare. Peraltro non c’era bisogno che tu lo facessi. Sentivi la sua presenza. Le persone intorno a te iniziavano a soffrire di convulsioni, come in un reparto ospedaliero per epilettici. La gente fingeva di essere freneticamente indaffarata, e al tempo stesso teneva lo sguardo fisso su un punto direttamente al di sopra della tua testa. Ti sentivi gelare le ossa – una reazione che, immagino, implicava lo stesso grado di attività intellettuale del tic nervoso di un irsuto animaletto alla percezione di un orso grizzly che si avvicina in silenzio. Un allarme ti suonava nel cervello, lanciando un grido: Gutfreund! Gutfreund! Gutfreund!
Nella maggioranza dei casi il nostro presidente si limitava a stazionare lì in silenzio per un po’, poi se ne andava. Avresti anche potuto non vederlo affatto. L’unica sua traccia che trovai in due di quelle occasioni fu una cagatina di cenere sul pavimento di fianco alla mia sedia, lasciata, suppongo, a mo’ di biglietto da visita. Gli escrementi lasciati dai sigari di Gutfreund erano più lunghi e avevano una forma più armonica di quelli del tipico responsabile di Salomon. Avevo sempre presupposto che fumasse sigari più cari degli altri, comprati con una piccola parte dei 40 milioni di dollari che aveva intascato grazie alla vendita di Salomon Brothers nel 1981 (o con una piccola parte dei 3,1 milioni di dollari di stipendio che si era autoconcesso nel 1986, più di qualunque altro amministratore delegato di Wall Street).
Tuttavia, in quel giorno del 1986 Gutfreund fece qualcosa di strano. Invece di terrorizzarci tutti camminò in linea retta verso il trading desk di John Meriwether, consigliere di Salomon Inc. nonché uno dei trader obbligazionari più in gamba della società. Sussurrò qualche parola. I trader nelle vicinanze origliarono. Ciò che disse Gutfreund è entrato a far parte della leggenda in Salomon Brothers, ed è diventato una componente viscerale della sua identità aziendale. Le sue parole furono: “Una mano, un milione di dollari, niente lacrime”.
Una mano, un milione di dollari, niente lacrime. Meriwether colse il significato all’istante. Il re di Wall Street, come Business Week aveva definito Gutfreund, voleva condurre una sola mano di un gioco chiamato “Poker bugiardo”, con un milione di dollari in palio. Ci giocava la maggior parte dei pomeriggi con Meriwether e i sei giovani trader esperti di arbitraggio obbligazionario che lavoravano per Meriwether, e di solito veniva scuoiato vivo. Alcuni trader dicevano che Gutfreund era di gran lunga inferiore ai suoi avversari. Altri, che non potevano immaginare John Gutfreund se non come una figura onnipotente (ed erano in molti), sostenevano che il fatto di perdere fosse in linea con il suo obiettivo, malgrado l’esatta natura di tale obiettivo fosse un mistero.
La caratteristica peculiare della sfida lanciata da Gutfreund era in quel caso l’entità della somma in gioco. Normalmente le sue scommesse non superavano qualche centinaio di dollari. Un milione era una somma senza precedenti. Le ultime due parole da lui pronunciate, “niente lacrime”, significavano che lo sconfitto avrebbe prevedibilmente sofferto parecchio, ma non avrebbe avuto il diritto di frignare, protestare o lagnarsi per l’accaduto. Avrebbe dovuto solo rannicchiarsi e rimuginare sulla sua povertà tra sé e sé. Ma perché?, potreste chiedervi, se foste chiunque tranne il re di Wall Street. Perché farlo, anzitutto? Perché, in particolare, sfidare Meriwether invece di qualche direttore responsabile di livello inferiore? Sembrava un atto di pura follia. Meriwether era il re del Gioco, il campione del Poker bugiardo del trading floor di Salomon Brothers.
D’altro canto, una delle cose che impari su un trading floor è che i vincitori come Gutfreund hanno sempre qualche motivo per fare quello che fanno; magari non sarà il migliore dei motivi, ma almeno hanno un’idea in mente. Io non ero al corrente dei suoi pensieri più intimi, ma so che tutti i ragazzi del trading floor giocavano d’azzardo e che lui aveva una voglia matta di far parte di quei ragazzi. Quello che aveva in mente in quel caso, secondo me, era il desiderio di dar mostra del proprio coraggio, come il ragazzino che si tuffa dal trampolino più alto. Chi meglio di Meriwether per raggiungere quello scopo? Inoltre, Meriwether probabilmente era l’unico trader che aveva sia i contanti sia il fegato per svolgere quella partita.
Quell’intera situazione assurda va contestualizzata. Nel corso della sua carriera John Meriwether aveva generato profitti per centinaia di milioni di dollari per conto di Salomon Brothers. Aveva la capacità, rara tra gli individui e considerata preziosa dai trader, di nascondere il suo stato d’animo. La maggior parte dei trader svela pubblicamente se sta guadagnando o perdendo denaro attraverso il modo in cui parla o si muove. I casi sono due: è o eccessivamente a suo agio o eccessivamente tesa. Con Meriwether non avevi mai, ma proprio mai, modo di saperlo. Aveva addosso la stessa espressione vacua e mezza tesa quando vinceva e quando perdeva. Aveva, credo, una profonda capacità di controllare le due emozioni che comunemente distruggono i trader – paura e avidità – e questo lo rendeva nobile quanto può esserlo un uomo che persegue il proprio interesse egoistico in modo così accanito. Era considerato da molti all’interno di Salomon il miglior trader obbligazionario di Wall Street. Intorno a Salomon, l’unico tono usato quando si parlava di lui era il timore reverenziale. La gente diceva “è il miglior professionista lì dentro”, o “il migliore che abbia mai visto nel prendere rischi”, o “un giocatore molto pericoloso di Poker bugiardo”.
Meriwether ammaliava i giovani trader che lavoravano per lui. I suoi ragazzi andavano dai venticinque ai trentadue anni (lui era sulla quarantina). La maggior parte di loro aveva un dottorato in matematica, economia e/o fisica. Ma una volta ammessi al trading desk di Meriwether dimenticavano che in teoria avrebbero dovuto essere intellettuali distaccati. Diventavano discepoli. Maturavano un’ossessione per il gioco del Poker bugiardo. Lo consideravano il loro gioco. E lo elevavano a un livello di serietà mai visto.
John Gutfreund era sempre l’outsider in quel gioco. Il fatto che Business Week avesse piazzato la sua foto in copertina e l’avesse definito il re di Wall Street aveva poca importanza per loro. Anzi era proprio quello, sotto certi aspetti, il punto fondamentale. Gutfreund era il re di Wall Street, ma Meriwether era il re del Gioco. Quando Gutfreund era stato incoronato dai gentiluomini della stampa, era stato quasi possibile sentire il rumore del pensiero che aveva pervaso la mente di tutti i trader: nomi assurdi e facce assurde appaiono spesso in luoghi pubblici. A onor del vero Gutfreund in passato aveva fatto il trader, ma questo particolare era rilevante come l’affermazione di una vecchia signora che sostiene di essere stata un bel bocconcino ai suoi tempi.
A volte sembrava che lo stesso Gutfreund fosse d’accordo. Amava il trading. In confronto al management, il trading era un’attività ammirevolmente diretta. Piazzavi le tue scommesse, dopodiché o vincevi o perdevi. Quando vincevi la gente – dal basso all’alto, fino ai vertici aziendali – ti ammirava, ti invidiava e ti temeva, e a ragione: avevi il controllo sul bottino. Quando dirigevi un’impresa, be’, di certo eri oggetto di una certa quantità di invidia, timore e ammirazione. Ma per motivi completamente sbagliati. Non facevi guadagnare soldi a Salomon. Non prendevi rischi. Eri ostaggio delle persone che generavano i profitti per conto della tua società. Erano loro a prendere rischi. Dimostravano la propria superiorità ogni giorno gestendo il rischio meglio di tutte le altre persone chiamate a prenderne. I soldi arrivavano da coloro che prendevano rischi, come Meriwether, e il fatto che arrivassero o meno in realtà esulava dal controllo di Gutfreund. Era per questo che, secondo molta gente, quell’unico gesto avventato di sfidare il responsabile dell’arbitraggio a una mano con un milione di dollari in palio era stato il modo scelto da Gutfreund per mostrare che anche lui era un giocatore. E se volevi tirartela, il Poker bugiardo era l’unica strada da percorrere. Quel gioco aveva un significato profondo per i trader. Gente come John Meriwether pensava che il Poker bugiardo avesse molte cose in comune con il trading obbligazionario. Metteva alla prova il carattere di un trader. Ne affinava l’istinto. Un buon giocatore era un buon trader, e viceversa. Era chiaro a noi tutti.
Il gioco: nel Poker bugiardo, un gruppo di persone – da un minimo di due a un massimo di dieci – formano un cerchio. Ogni giocatore tiene una banconota da un dollaro vicino al petto. Il Poker bugiardo ha uno spirito simile a quello del gioco di carte chiamato Dubito. Ogni giocatore cerca di ingannare gli altri riguardo al numero di serie stampato sul fronte della sua banconota. Un trader inizia lanciando “un’offerta”. Dice per esempio: “Tre sei”. Vuol dire che fra tutti i numeri di serie delle banconote tenute da tutti i giocatori, lui compreso, ci sono almeno tre sei.
Una volta che la prima offerta è stata lanciata, il gioco procede in senso orario. Poniamo che l’offerta sia stata di tre sei. Il giocatore a sinistra dell’offerente ha due possibilità: può lanciare un’offerta più alta (che può essere di due tipi: la stessa quantità di un numero più elevato, per esempio tre sette, tre otto o tre nove, o una quantità maggiore di qualunque numero, per esempio quattro cinque); oppure può “sfidare” – che è come dire “dubito”.
Segue un’escalation di offerte, finché l’offerta di un giocatore non viene “sfidata” da tutti gli altri partecipanti. Allora, e solo allora, i giocatori rivelano il proprio numero di serie e determinano chi sta bluffando nei confronti di chi. Mentre si svolge questo processo la mente di un buon giocatore frulla per effettuare un calcolo delle probabilità. Qual è la probabilità statistica che esistano tre sei in un gruppo di, poniamo, quaranta numeri di serie distribuiti a caso? Per un gran giocatore, la matematica è però la parte facile del gioco. La parte difficile è leggere il volto degli altri partecipanti. La complessità sorge quando tutti i giocatori sono capaci di compiere bluff e doppi bluff.
Il gioco dà sensazioni simili a quelle del trading, proprio come la giostra medievale dà sensazioni simili alla guerra. Le domande che si pone un giocatore di Poker bugiardo sono, in certa misura, le stesse che si fa un trader obbligazionario. Questo è un rischio intelligente da prendere? Mi sento fortunato? Quanto è astuto il mio avversario? Ha idea di quello che fa, e se non ce l’ha, come posso sfruttare la sua ignoranza? Se lancia un’offerta elevata, sta bluffando o questa è davvero una mano fortunata per lui? Sta cercando di indurmi a lanciare un’offerta sciocca, o ha davvero quattro cifre uguali sulla sua banconota? Ogni giocatore cerca di rilevare debolezza, prevedibilità e ripetitività negli altri e di evitarle da parte sua. Tutti i trader obbligazionari di Goldman Sachs, First Boston, Morgan Stanley, Merrill Lynch e altre società di Wall Street giocavano a una qualche versione di Poker bugiardo. Ma il luogo in cui la posta in gioco era più alta, grazie a John Meriwether, era il trading floor obbligazionario di Salomon Brothers a New York.
Il codice dei giocatori di Poker bugiardo era qualcosa di simile a quello di un pistolero. Richiedeva che il trader accettasse qualunque sfida. A causa di quel codice – che era il suo – John Meriwether si sentì obbligato a giocare. Ma sapeva che era una stupidaggine. Dal suo punto di vista non aveva nulla da guadagnarci. Se avesse vinto, avrebbe messo Gutfreund in imbarazzo. Non ne sarebbe venuto fuori nulla di buono. Se invece avesse perso, avrebbe dovuto sborsare un milione di dollari di tasca sua. Sarebbe stato peggio che mettere in imbarazzo il capo. Malgrado Meriwether fosse di gran lunga il più bravo a condurre quel gioco, in una sola mano sarebbe potuto succedere qualsiasi cosa. Avrebbe potuto benissimo essere la sorte a determinare l’esito della partita. Meriwether passava l’intera giornata a evitare scommesse stupide, e non avrebbe accettato questa.
“No, John” disse. “Se dobbiamo giocare per cifre di questo tipo, preferirei giocare per una somma davvero sostanziosa. Dieci milioni di dollari. Niente lacrime.”
Dieci milioni di dollari. Fu un momento da assaporare, per qualunque giocatore. Meriwether stava giocando a Poker bugiardo ancor prima che la partita avesse inizio. Stava bluffando. Gutfreund considerò la controproposta. Sarebbe stato così tipico di lui accettare. Il semplice fatto di considerare quell’eventualità era un lusso che sicuramente gli avrà fatto piacere (era bello essere ricchi).
Ma dieci milioni di dollari erano, e sono, un sacco di soldi. Se Gutfreund avesse perso gli sarebbero rimasti solo una trentina di milioni. Sua moglie Susan era indaffarata a spendere qualcosa come quindici milioni per riarredare il loro appartamento di Manhattan (Meriwether ne era al corrente). E dato che Gutfreund era il capo, evidentemente non era vincolato al rispetto del codice Meriwether. Chissà? Magari non lo conosceva neppure, il codice Meriwether. Magari il vero scopo della sua sfida era stato quello di giudicare la reazione di Meriwether (persino Gutfreund doveva ammirare il re in azione). Così Gutfreund rifiutò. Di fatto fece uno di quei suoi tipici sorrisi forzati e disse: “Sei matto”.
No, pensò Meriwether. Solo molto, molto bravo.
Capitolo 2
Non parlare mai di soldi
Voglio fare il banchiere di investimenti.
Se tu abbi 10.000 assioni io le vendo per te. Guadagno un saco di soldi.
Mi piacerà molto, moltissimo il mio lavoro aiuterò le persone
sarò milionario avrò una casa grande. Sarà divertente per me.
Studente di sette anni di una scuola elementare del Minnesota,
“Che cosa voglio fare da grande”, scritto nel mese di marzo del 1985
Nell’inverno del 1984 vivevo a Londra, dove stavo per conseguire un master in economia alla London School of Economics, quando ricevetti un invito a una cena alla quale avrebbe partecipato la regina madre. Mi arrivò attraverso una lontana cugina che anni prima, in uno sviluppo piuttosto improbabile, aveva sposato un barone tedesco. Malgrado io non fossi una di quelle persone che ricevono periodicamente un invito a cena al St. James’s Palace, la baronessa, fortunatamente, lo era. Noleggiai uno smoking, presi la metropolitana e ci andai. Fu il primo di una serie di eventi improbabili che culminò in un’offerta di lavoro nei miei confronti da parte di Salomon Brothers.
Quello che era stato venduto come un incontro ravvicinato con i reali britannici si rivelò un evento di raccolta fondi con sette-ottocento agenti assicurativi. Ci distribuimmo all’interno della Sala grande, prendendo posto su sedie di legno scuro poggiate su tappeti di color borgogna sotto fuligginosi ritratti della famiglia reale, come se stessimo facendo un provino per un ruolo da comparsa in una serie televisiva in costume come Masterpiece Theatre. Da qualche parte nella Sala grande, per una felice...