1. URSULA (EUGENIE) LOYER, Londra
Certamente la primavera era più precoce in Inghilterra che in Olanda se già a maggio i meli erano meravigliosamente fioriti.
Aveva vent’anni Vincent allorché, nel maggio del 1873, raggiunse Londra, l’antico guado che da Westminster conduceva a Durovernum Cantiorum, a Rutupiae se la riva sinistra del Tamesis flumen venne prima recintata, poi murata a difesa della civitas Londraianum, della civitas trinobantium, di una civitas.
Gotica, screziata, languida di umori fluviali, una parte della città sposava orti, parchi e broli splendenti di querce, di bossi, di verzure fitte e debordanti perché quel West End ne fosse invaso, occupato, ingombro. Così brezze e olezzi di fresche penombre l’assediavano sino all’antica Rotten Row, la route de roi, battuta da cavalli serrati ai morsi da dame e cavalieri dalle giacche rutilanti. Nell’East End invece un’umanità cenciosa, virale, canagliesca si stipava negli strazi, temeva un contagio di povertà, s’offriva prigioniera nel ghetto delle rookeries.
Lontano intanto, molto lontano intanto, in terra d’Olanda, infatti, perse nella nebbia di ricordi e dimenticanze, città diverse avevano segnato l’infanzia e la giovinezza di Vincent. Anni appena trascorsi, anni perduti in altrui volontà. Città e villaggi, e borghi, e case smarrite, consumate nella solitudine di plaghe irretite da tempi ingombri d’acqua. Dunque l’Aia, Tilburg, Zevenbergen, Zundert. Proprio nel villaggio di Zundert, Vincent era nato il 30 marzo del 1853.
Zundert era paese di frontiera che si confondeva in orizzonti smarriti, in luci e ombre di un paesaggio schiuso su campi vizzi, sterili, selvaggi. Anche su borghi e case misere e ombrose, su storie che non diventavano mai storie, su vicende che schernivano altre vicende. E si confondeva Zundert in colori grigi, in nuvole basse, in venti penetranti e aspri, in silenzi immani, in corti respiri, in affanni, in tormenti, in volti atterriti dalla propria angoscia.
Tetti spioventi – così a sguardi appena alzati – a coprire uno spazio battuto da rare carrozze. E la casa natale di Vincent era lì: due piani e una facciata con quattro finestre e un portone in legno, all’ombra del fango e di comignoli quadrati, neri, imperiosi. Sopraggiungeva a tratti il borbottio asmatico del fiume che veniva dalla città di Breda, dove l’Aa e il Mark si annodavano. Il cielo plumbeo si rifletteva su visi torvi che si aggiravano per strade rotte ai riserbi, al nero di abiti furtivi, timorosi anche d’altre presenze, dediti ad addomesticare una terra avara e scontrosa, a soppesare gesti e sentimenti. Qui la natura vigilava su affetti e passioni. Disconosceva tranquillità e sorrisi. Svelava sacrifici e onori, improbabili peccati, costrizioni emendate. Si faticava a vivere nella melanconia di un tempo immobile, struggente, cupo. Il Brabant era così, con la brughiera persa negli orizzonti, fecondata da acque limacciose, carezzata dagli umidi effluvi del Maas, del fiume delle febbri.
Nella precarietà di una terra sterile, greve, affogata nei livori, nei pettegolezzi, nelle malattie che venne inviato a espletare una missione ecclesiale, nel 1848 e proprio a Zundert, nelle vicinanze della frontiera con il Belgio, il ventisettenne pastore della chiesa riformata Hervormde Kerk Theodorus Van Gogh, il futuro padre di Vincent, invero individuo mediocre e predicatore modesto.
Eppure i Van Gogh avevano dato lustro, pur fra alterne fortune e anche con ingegno, a progenie d’uomini segnati dalla storia sin da Johannes che, magistrato di Zytphen, era stato titolato per meriti, nel 1628, gran Tesoriere dell’Unione. Stirpe generosa e tenace che si era affaccendata senza risparmio, che aveva cadenzato il ritmo della vita fra studio, lavoro e famiglia. Con David, orafo filigranista all’Aia, all’inizio del ‘700. Con Vincent, figlio minore di David, scultore professionista, in pieno 700. Con Johannes, nipote di David, della chiesa del Chiostro dell’Aia, all’inizio del 800. Con Vincent infine, figlio di Johannes e padre di Theodorus, che, valente latinista, era stato insigne pastore a Breda, antica baronia brabantina con il vecchio castello degli Orange e la Hervornde Kerk in stile gotico del 1290.
Theodorus visse una infanzia serena in una calda, accogliente, soporifera atmosfera familiare fra sei sorelle e cinque fratelli, dei quali uno morì in tenera età. La tenacia dei Van Gogh si rivelò preziosa nel saggiare forze, nell’intraprendere carriere cui consacrarsi. Poi, fra matrimoni opportunamente discussi e stipulati per due delle ragazze – spose entrambe dei generali Pompe e Graeuwen – e il fiuto per gli affari di tre dei figli maschi: Hendrick Vincent, Cornelius Marinus e Vincent (Johannes optò per la carriera militare raggiungendo il grado di ViceAmmiraglio) divenuti galleristi e mercanti d’arte, la famiglia Van Gogh conquistava prestigio e rispetto.
Resta Theodorus, confinato a Zunder ove, da bel pastore come si soprannominava, si mostrava arrendevole, infingardo, quasi rotto all’accidia. Era ossessivamente ligio al dovere, timoroso e rispettoso di tradizioni e missioni, schivo uomo di società e apostolo di saccente moderazione.
Noord Brabant se i Frakkr Salî la sedussero, la violarono, la resero fertile di antiche leggende e d’ombre dopo aver preso il nome dal fiume olandese che un tempo era chiamato Isala, o Sal.
A Zundert il trentenne pastore Theodorus Van Gogh convolò a giuste nozze con Anna Cornelia Carbentus, di 3 anni più anziana – nel maggio del ’51, figlia di un facoltoso legatore dell’Aia, il quale aveva ottenuto l’onore di rilegare la prima Costituzione Olandese sicché poté fregiarsi, da allora, del titolo di “Rilegatore del Re”. Anna Cornelia era donna sensibile, emotiva, collerica, dal carattere forte e instabile a un tempo, ferita in famiglia da una sorella colpita sovente da crisi epilettiche. Era donna coraggiosa e indomabile, attiva e problematica, incline spesso allo scrivere se aveva preso l’abitudine a redigere lunghe lettere, alle quali si dedicava nella tranquillità di un raccolto isolamento. Era l’opposto, insomma, dello sposo sempre più inflessibile e maniaco curatore di memorie trascorse fra i sacri comandamenti di Dio.
La vita pastorale e sociale a Zundert era affatto appagante. La cittadina conservava la riservatezza di borgo medioevale. La severità di terra villica e solitaria, la povertà d’agreste cultura da confine. Non seduceva né voleva essere sedotta. Non sapeva essere sfrontata come le città o i ricchi agglomerati dell’ovest. Sembrava decomporsi nella noia di una vita scandita dalle consuetudini, aspirava a mantenere incorrotte le proprie miserie quasi fossero allegoriche immagini di una terra abbandonata alla propria ferocia.
Intanto cattolici e protestanti riformati vivevano a Zundert nel litigioso confronto di verità contrapposte, fra distinte morali, fra orgogliosi assiomi, fra leggi etiche e sociali che si negavano vicendevolmente. Theodorus vigilava senza compromettersi. Era intento e attento a convivere senza sussulti, senza turbamenti dello spirito o tentazioni della carne.
Anna Cornelia si adeguò alle monomanie verbali e mediocri del marito, si sperimentò sposa devota di un pastore di borgo. Visitava infermi e parrocchiani, si consumava fra ricami, lavoro a maglia e governo della casa. Si mostrava madre operosa e vigile nell’accudire i sei figli: Vincent, Anna, Theo, Elisabeth Hubert, Wilhelmina “Wil” Jacoba e Cornelius “Cor” Vincent – dopo aver perduto un primogenito, Vincent, di appena sei settimane.
Nel clima ovattato, ma carico di tensioni, del presbiterio, ove rigore e disciplina erano norme, Vincent trascorse la fanciullezza in una solitudine struggente se il padre sembrava evitarlo, negarsi, ricordargli solo doveri. E Vincent intese allora una sgradevole sensazione, lesse parole mai scritte o pronunciate, avvertì di essere un nato morto per una primogenitura sottratta a un fratello, nato e deceduto esattamente un anno prima che egli venisse al mondo, e in gloria al quale i genitori gli avevano imposto il nome, e concesso affetto.
Vincent crebbe nella ritrosia, nel romitaggio. Scelse presto animali e fiori quali compagni di giochi, si concesse alla natura del giardino e dei campi, si affrancò da virtù ecclesiali, dall’ubbidienza ai precetti, dal presbiterio, dall’ossessiva nenia dei sermoni paterni, dai riti officiati quotidianamente.
Anna Cornelia gli fu presto alleata. Lo comprese, gli concesse libertà, lo difense dalle insidie della monotonia, lo viziò, gli perdonava esplosioni di collera, lo investiva di mille attenzioni, di amore e di tenerezze. Vincent ricambiò l’affetto. A lei mostrava, all’età di 8 anni, i primi schizzi; per lei modellò, con il fango, un piccolo e grazioso elefante; con lei si ingegnò a trascorrere molte ore della giornata. Scoprì nella madre una dolcezza e una sensibilità che la rendevano simile a lui se la facevano trasalire e la turbavano dinnanzi alla bellezza della natura. Dolcezze e sensibilità estranee invece al mondo di Theodorus.
D’improvviso poi, con gli anni poi, Vincent mutò l’oggetto del proprio culto, del proprio affetto scegliendo e riversando il proprio amore su Theo, il fratello minore, di quattro anni più giovane.
Theo si fece, allora, fedele compagno di giochi, di osservazioni, di scoperte, di corse a perdifiato nella campagna, fra alberi e lande, ad assaporare profumi, a legittimare colori, a scoprire chiaroscuri, ad interpretare visioni e sogni fra nere torbiere, soggiogate a coltri nevose.
Zundert diventava così luogo di una memoria inviolabile, struggente, profonda. Il paese della natività, delle prime conoscenze, di inusitate rivelazioni fra sapori intensi, consumati avidamente. Vincent non avrebbe mai scordato l’intensità di quel primo, feroce smarrimento, della gestazione di un deliquio partorito dal ventre maledetto di una città che si chiama Zundert.
Rammenterà, evocherà sempre quel ventre. Ancora nel 89, e scrivendo a Theo da Arles a ricordare luoghi e melanconie dei luoghi: un cimitero, l’orto dietro casa, un nido di gazze sull’acacia. Emozioni violente come per altri amori di questi anni. E Theo su tutti.
La complicità affettiva fra i due fratelli si sottrasse al corso del tempo: era complicità nel vivere, intimi e segreti sentimenti che, all’improvviso e imprevedibilmente, erano feriti e sfregiati dal reverendo Theodurus allorché imponeva a Vincent di andare a praticare un collegio lontano da Zundert, lontano da Theo. Vincent aveva appena dodici anni.
Non cuivis homini contingit adire Corinthum. Theodorus il reverendo conosceva Quintus Horatius Flaccus?
Zevenbergen, cittadina fra Dordrecht e Rosendaal, accolse Vincent con la sua idoneità collegiale, e dai gradini del convitto di Heer Provily Vincent seguì malinconicamente con lo sguardo la carrozza dei genitori che correva sulla strada bagnata e che s’allontanava per sempre lasciandolo solo in questo buco affogato nelle lande e protetto da sette colline naturali.
Vincent si smarrì, d’acchito, in una vertigine claustrofobica, nello scoramento di nuove norme e condizioni che egli non era in grado di interpretare se lo costringevano a convivere con compagni e precettori, a celare sentimenti, a vigilare su desideri e affetti, a rispettare codici e ubbidienze. Era vittima allora di dolorose affezioni, di gastrite, di cefalee e, per ...