«Così lontano, così vicino»: l’esperienza cecoslovacca e la Polonia – Giovanna Tomassucci
1. Polonia e Cecoslovacchia: una situazione invertita
La Primavera di Praga si trova a coincidere drammaticamente con uno dei periodi storici più cupi della Repubblica popolare polacca. In quei mesi del 1968 si assiste infatti alla dura repressione sia dei moti studenteschi scoppiati in marzo sia dell’ala libertaria dell’Unione degli scrittori e alla fobica campagna antisemita che avrebbe profondamente sconvolto (e purtroppo anche coinvolto) la società civile. Del resto la politica del pugno di ferro, voluta e gestita non solo dai falchi, capitanati dal capo dei servizi di sicurezza Mieczysław Moczar, ma anche dallo stesso segretario del Partito Władysław Gomułka, veniva alimentata dalla paura di un possibile contagio dalla Cecoslovacchia.
L’esperienza cecoslovacca aveva innegabilmente tutte le caratteristiche per apparire all’intelligencija polacca come un possibile modello: nasceva in un paese slavo strettamente legato alla tradizione occidentale, con un’analoga posizione di cerniera tra Est e Ovest, costituiva una lezione di democrazia pacifica che coinvolgeva non solo l’apparato del partito, ma vari strati della società, affrontava con coraggio i fantasmi del passato e rifiutava i diktat sovietici. La Primavera di Praga fu anche l’ultimo periodo in cui in Polonia si poté credere a un socialismo dal volto umano, proprio perché in quel periodo il regime raggiunse il culmine del rinnegamento degli ideali del disgelo.
I movimenti studenteschi dei due paesi proclamavano una reciproca solidarietà. A Praga ci si rivolgeva agli studenti in protesta dell’università e del politecnico di Varsavia, appellandosi a una comune tutela dei diritti civili e della democrazia, e si manifestava davanti all’ambasciata polacca (cosa del resto accaduta anche a Belgrado). In varie città polacche si rispondeva in maniera analoga, inneggiando a Dubček e alla Cecoslovacchia: a Varsavia il 9 marzo, a Lublino il 10, a Poznań e Częstochowa il 13, a Łódź il 19, a Breslavia il 20. Mentre passava davanti all’Istituto di cultura ceco il corteo studentesco della capitale mandò i «saluti ai fratelli cecoslovacchi». Gli studenti traducevano, battevano a macchina e facevano circolare articoli di stampa e appelli della Primavera di Praga. Ovunque riecheggiava il popolare slogan Polska czeka na Dubczeka (La Polonia attende Dubček), presto corretto in Polska czeka na swojego Dubczeka (La Polonia attende un suo Dubček): da più parti si sperava che anche nel Partito operaio unificato polacco (POUP) si procedesse a un ricambio ai vertici del partito. La parola czeski (ceco) era divenuta sinonimo di bravo, onesto, sincero, come testimonia un turbolento scontro all’interno dello Związek Literatów Polskich (ZLP o Unione degli scrittori polacchi) in cui i sostenitori della liberalizzazione si erano rivolti allo schieramento ortodosso di Jerzy Putrament, con l’esortazione: «Parlate come i cechi!».
Gli organi di stampa più importanti del nuovo corso cecoslovacco quali «Reportér» non potevano perciò che scrivere con entusiasmo delle turbolenze polacche (riferite a Praga in maniera dettagliata anche dall’ambasciatore cecoslovacco a Varsavia Antonín Gregor). In maggio Karel Kosík aveva dichiarato su «Literární Listy» che l’Istituto di filosofia dell’Accademia delle scienze cecoslovacca avrebbe accolto volentieri come visiting professors i filosofi espulsi dall’università di Varsavia Bronisław Baczko e Leszek Kołakowski. Tutto questo non faceva che aumentare le ossessioni antidubčekiane del gruppo fedele al segretario del partito, per cui ogni critica alla Polonia da parte della stampa cecoslovacca veniva bollata come antipolacca e ‘sionista’. La feroce campagna di stampa lanciata fin dall’estate 1967 nei confronti di cittadini di origine ebraica ora si rivolgeva anche contro giornalisti cecoslovacchi di cui si denunciavano le radici ebraiche. L’ex paladino della liberalizzazione e dell’autonomia dall’URSS Gomułka andava nettamente schierandosi a favore dell’ortodossia: come ebbe a ricordare il giornalista e futuro dissidente Jiří Lederer, in visita a Varsavia in aprile, la situazione politica interna dei due paesi sembrava essersi radicalmente invertita.
Il governo della Repubblica popolare polacca protestò ripetutamente con l’ambasciatore Gregor per presunte ingerenze nella sua politica interna. Anche la corrispondenza tra i due paesi veniva scrupolosamente controllata, mentre le persone che oltrepassavano le frontiere per studio o per lavoro venivano perquisite. Ovviamente a questa situazione si aggiungeva uno stretto controllo sull’informazione. Le norme censorie proibivano di usare lo stesso termine di Primavera di Praga: si parlava per lo più di un «attacco della controrivoluzione all’anello cecoslovacco del settore socialista». Il Manifesto delle duemila parole del giugno 1968 fu liquidato dalla stampa di partito con il commento che «conteneva 2000 parole di troppo» e bollato da Gomułka come un’esortazione delle forze imperialistiche ad abbattere il regime socialista. Le informazioni giungevano tuttavia attraverso alcune emittenti radiofoniche (clandestine) cecoslovacche e occidentali (soprattutto Radio Europa libera da Monaco di Baviera) e attraverso le pubblicazioni polacche edite all’estero. Tra queste la rivista degli esuli edita a Parigi, «Kultura», seguiva con estremo interesse l’evolversi delle vicende della Cecoslovacchia, pubblicando il Manifesto delle duemila parole, accanto a vari contributi di J. Lederer, P. Hřísný, J. Ruml, P. Hanuš. Nei primi mesi del ’68 la rivista avrebbe perfino conferito un premio alla redazione di «Literární Listy».
Anche in alcuni settori della chiesa crescevano le simpatie verso il paese confinante: l’arcivescovo di Breslavia Bolesław Kominek già in aprile augurò alla Polonia un «imminente arrivo della primavera dalla Cecoslovacchia». In un’altra seduta straordinaria dell’Unione degli scrittori, il 28 febbraio 1968, in cui alcuni membri avevano aspramente criticato la politica del regime nel campo della cultura e delle libertà civili, il poeta Antoni Słonimski, ex presidente dello ZLP, espulso dal partito nel 1964 per le sue critiche al regime, dichiarò: «I nostri amici hanno saputo restituire alle parole mille volte falsificate il loro senso. Noi li seguiamo con grande speranza». Quella stessa riunione, avvenuta in un clima di estrema tensione (l’edificio era circondato dalla polizia e da provocatori del servizio di sicurezza), avrebbe scatenato una vera persecuzione contro i suoi promotori, Słonimski (di origine ebraica) e soprattutto lo storico Paweł Jasienica, provocandone la morte. Tutto ciò si iscriveva in una vergognosa campagna ‘antisionista’ scatenata nel blocco sovietico all’indomani dello scoppio della Guerra dei sei giorni. In Polonia essa veniva gestita da Moczar contro Gomułka, ricattabile per il fatto che aveva una moglie ebrea (Liwa [Zofia] Sztoken), e avrebbe spinto il primo segretario ad attaccare anch’egli i ‘sionisti’ polacchi bollandoli come quinta colonna. Il risultato consistette nell’espulsione di migliaia di iscritti al partito e nell’emigrazione di circa quindicimila cittadini di origine ebraica, il 50% dei circa trentamila sopravvissuti alla seconda guerra mondiale e alle successive ondate migratorie. Va ricordato che il responsabile della degradazione ed espulsione dall’esercito polacco di circa 1.300 ufficiali di origine ebraica o coniugati a ebree fu proprio il ministro della difesa nazionale Wojciech Jaruzelski, il futuro autore del colpo di Stato del dicembre 1981, lo stesso che nell’agosto 1968 avrebbe coordinato l’intervento dei settantacinquemila soldati polacchi in Cecoslovacchia. Il regolamento di conti con la ‘controrivoluzione’ si alimentava perciò palesemente dell’antica xenofobia del periodo tra le due guerre: Jaruzelski manifestò anche una forte tendenza a far apparire la cosiddetta operazione Danubio come una giusta ritorsione contro gli slovacchi che sotto il regime di Tiso nel 1939 avevano appoggiato l’invasione nazista della Polonia.
Il contrasto della repressione interna con la liberalizzazione del nuovo corso cecoslovacco contribuiva ad accentuare l...