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Islam, religione ibrida del XXI secolo
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Il declino politico dell'Islam rispetto all'Occidente si è verificato mantenendo l'ibridazione tra religione e politica che è stata invece abbandonata dalle altre religioni monoteistiche; e ricorrendo alla religione come antidoto a tale declino, anziché alla sua separazione dalla politica.
Il risultato è il perdurante costituzionalismo confessionale dei paesi islamici, e l'impari conflittualità con l'Occidente, dall'11-9-2001 riproponendo la tramontata formula del califfato operante con un jihad come lotta sacra degradata a conflitto terroristico.
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Information
1. Scoperta del petrolio in Arabia Saudita, “nahda” o rinascita islamica e terrorismo “jihadista”
L’Arabia Saudita come Religione-Stato per eccellenza e le sue prospettive
L’Arabia Saudita salta agli occhi, dal mondo islamico, dopo il tramonto ottomano, per il suo essere Religione-Stato [1] per eccellenza. Stato formalmente mai colonizzato, a monarchia saudita che gestisce i luoghi santi dell’Islam, in accordo dal XVIII secolo con gli ulama wahhabiti dell’Islam stesso, seguaci di una versione rigorista-puritana del credo islamico, vincente su tentazioni liberali [2] , che da un lato mira alla conversione del mondo intero, utilizzando predicatori e sovvenzioni con le ricchezze petrolifere del paese, dall’altro non consente al suo interno libertà moderne alle donne (vedi il divieto per loro di guidare auto) e controlla con una polizia “religiosa” che anche i turisti non possiedano oggetti delle loro religioni (cosa che non succede nella Città del Vaticano). È paese ad elevato numero di pellegrini ai luoghi santi provenienti da tutte le parti del mondo, e che per questo gode di un diffuso rispetto religioso islamico che ne favorisce messaggi e finanziamenti missionari.
Non dimentichiamo che il ruolo cultural-religioso delle università di Riyad, Mecca e Medina, surclassa forse quello dell’egiziana al-Azhar, ispirando e sostenendo tesi religiose e storiche che è difficile giudicare filooccidentali, nonostante l’alleanza del 1945, per interessi petroliferi e militari, con gli Usa. Apertis verbis sull’Arabia Saudita pesa l’accusa di educare, predicare e sostenere finanziariamente una religione nel mondo con ambiguità riconducibili a testi scolastici di religione e storia fondati su fonti “sacre” e non propriamente tolleranti verso altre religioni e libertà di pensiero. Cosicché i terrorismi internazionali islamisti non possono essere spiegati come nefasti locali, ed è legittimo il dubbio che i modi wahhabiti di educare alla fede all’interno del Paese e di predicarla e sostenerla finanziariamente all’estero abbiano tratti su cui occorrerà la massima chiarezza investigativa, specialmente per l’intolleranza di altre fedi e non fedi e la lettura delle cause degli insuccessi politici, economici e culturali islamici degli ultimi secoli rispetto all’Occidente [3] .
La prospettiva difficile del paese è di abbandonare le tradizionali ibridazioni islamiche tra religione e politica, e avviare religiosamente e politicamente processi coerenti di modernizzazione costituzionale quale sembra reclamare la globalizzazione in corso, senza confessionalismi in assenza di libertà religiosa e fruizioni egoistiche di ricchezze non guadagnate in un mondo che soffre la povertà.
Una difficoltà al riguardo è quella del convertire la “custodia” dei luoghi santi dell’Islam oggi, assegnata allo Stato territorialmente da essi debordante dell’Arabia Saudita, ad un’istituzione internazionale che ne garantisca rispetto ed efficacia organizzativa, istituzione diversa dall’Arabia Saudita con i suoi pozzi petroliferi. Prospettiva non irreale date le critiche alla qualità della gestione dei luoghi santi ed alle restrizioni politiche di pellegrini islamici (siriani, yemeniti) per l’accesso a detti luoghi, problemi di sicurezza a parte. Alla base di tutto ciò rimane la cessazione da parte dell’Arabia Saudita dell’attività missionaria non critica nella lettura delle scritture sacre e assistita da incontrollati flussi finanziari per destinatari sospetti o sprovveduti.
La civiltà come sistema giuridico non medievale incombe sulla petromonarchia del Golfo, le sue ricchezze e la sua società, le sue donne, i suoi giovani.
Nascita del terrorismo jihadista. Figlio illegittimo dell’Islam?
Per Y.al-Qaradawi, famoso dotto sunnita, la società israeliana è una società militare, e questo secondo lui giustifica gli attacchi suicidi ai civili palestinesi. Gli attacchi suicidi sono cominciati lì, e con essi il terrorismo jihadista e la legittimazione degli attacchi suicidi che si sono esaltati l’11-9.
Non sono l’Islam, ma l’Islam non ne è fuori, sono dentro l’Islam, in sue moschee, sotto sue mezze lune, contro New York come contro Siria ed Iraq e dovunque faccia parlare di sé un movimento jihadista. È l’Islam che se ne deve liberare, come finalmente sembra determinato a fare contro l’Isis dopo 15 anni da quella infamante data. Non può continuare a lasciare il compito dell’antiterrorismo jihadista agli Usa ed all’Europa.
Il terrorismo jihadista nasce da una consapevolezza ereditata e da una ricchezza fortuita.
Nasce dalla consapevolezza ereditata dalla propria gente del tramonto politico, economico e culturale di una religione pur giunta storicamente a fasti imperiali; tramonto a fronte del successo senza frontiere, politico, economico e culturale del mondo occidentale, costituzionalmente svincolato dalla fede nel Corano, ma libero di credere o no nelle religioni.
E nasce dalla fortuita ricchezza petrolifera dell’Arabia Saudita che suscita l’idea di un possibile ritorno a quei fasti e il possibile ricorso alla violenza consentita da tale ricchezza contro quel mondo miscredente, pur senza possederne la competitività militare, ma soprattutto economica, tecnologica, scientifica, culturale, maturata negli ultimi secoli da quel mondo svincolato dal confessionalismo musulmano.
Si tratta così di una tentazione che travolge attraverso l’educazione. L’estremismo islamico sta rendendo sempre più evidente, come riferiscono i media [4] , il ruolo dell’educazione ricevuta dagli islamici sia storica che religiosa [5] ; e specie quella wahhabita, intollerante e centrata sulla discriminazione dei non credenti e l’esaltazione dell’Islam; educazione alimentata dai finanziamenti provenienti dalle petromonarchie del Golfo [6] , estesi alle iniziative revansciste delle formazioni jihadiste degli ultimi anni. Non sembrano separabili i finanziamenti “missionari”, educativi, da quelli per l’organizzazione armata. Il dinamismo islamico religioso e soprattutto quello politico-jihadista appaiono rimodulati insieme dai finanziamenti delle petromonarchie.
Incidentalmente si potrebbe osservare che senza la scoperta del petrolio in Arabia Saudita il wahhabismo non sarebbe comparso nella storia islamica all’inizio del XXI secolo come animatore più o meno occulto del jihadismo terrorista e i sauditi non sarebbero divenuti alleati di ferro (o meglio del petrolio) degli Usa.
Rimangono gli emigrati in Occidente, non contagiati più di tanto come formazione religiosa dalla dottrina wahhabita e aperti alle costituzioni dei paesi ospitanti. Il problema si pone per i loro discendenti, esposti per motivi sociologici e di percepita incerta identità culturale alla propaganda di imam radicali e della rete dei foreign fighters.
E rimane comunque l’interrogativo se la tesi qui esposta sulla origine del terrorismo jihadista sia sostenibile a fronte di tesi che svincolino completamente il terrorismo jihadista e il “califfato” Isis dalla matrice Islam, o ne evidenzino, al contrario, il carattere solo “eretico” rispetto ad esso. Il discorso è possibile, ma a condizione di dimostrare l’inconsistenza dell’accusa alle petromonarchie di aver finanziato i movimenti jihadisti e di dimostrare la pacificità del rigorismo religioso. Le petromonarchie sono di fatto d’accordo sul soffocamento dell’eresia, pur avendola supportata, sembrerebbe, pro bono suo, a fini antioccidentali. Il ricorso al doppio gioco da parte di soggetti oggi egemoni del mondo islamico incombe sul discorso.
Dall’eresia alla barbarie. La propaganda dell’Isis nelle sue riviste Dabiq e Rumiyah
Terrorismo è maturato in barbarie nel nome di Allah: si presenta come massacri di civili non musulmani, specie cristiani, e musulmani “eretici”, distruzione di beni archeologici, atrocità innominabili. I suoi nefasti sono accompagnati dalla propaganda documentata nelle riviste Dabiq [7] dal 2014 e Rumiyah (Roma) dal 2016 (Dabiq, numeri 1-15; Rumiyah numeri 1-2). La seconda è dedicata a “quando ci riposeremo dal jihad all’ombra degli ulivi di Roma”. La copertina del numero 4 di Dabiq riproduce l’immagine dell’obelisco di piazza S,Pietro con in cima la bandiera dell’Isis.
Vediamone i principali “messaggi”, le cui minacciose citazioni scritturistiche e dottrinali lascio commentare ai dotti islamici.
Dominano le minacce di aggressione armata e di azioni terroristiche, l’appellativo dei politici statunitensi ed europei (russi inclusi) come “crociati”, la derisione di sostenitori della pacificità dell’Islam (p.21 del numero 7 di Dabiq in inglese), l’appellativo di apostati agli islamici non jihadisti; preminenti le immagini di uomini armati, qualche immagine di bambini armati, non compaiono immagini di donne, né di servizi di welfare; compaiono immagini anticristiane (consacrazione di un’ostia qualificata come paganesimo e rottura di una croce rispettivamente a p.31 e 46 del numero 15 di Dabiq), non mancano crude immagini di decapitazioni (ivi a p.80), e accoltellamenti terroristici.
Verrebbe di ricordare il famoso giudizio di De Tocqueville: “Rispetto al paganesimo considero l’Islam una forma di decadenza anziché una forma di progresso” . Quantomeno.
La interpretazione letterale dei testi sacri islamici nella genesi del jihadismo terrorista
La questione dell’educazione religiosa dei musulmani e della adeguatezza dei relativi testi scolastici ad evitare conflittualità e violenza è stata già posta da al-Azhar in Egitto [8] . Se il jihadismo terrorista si collega principalmente alla profusione saudita di petrodollari al mondo islamico rimane tutt’ora non pubblicizzato il materiale formativo relativo, e soprattutto l’interpretazione adottata delle fonti scritturistiche islamiche: interpretazione letterale o no, fondata sulle sure medinesi o su quelle meccane [9] .
Chi scrive prende atto dell’incertezza conoscitiva in merito, e lascia in particolare ai dotti islamici il compito di far luce sulle derive dottrinali della loro religione ed il rapporto di tali derive con i testi formativi ed ideologici da esse utilizzati. Non è una curiosità accademica, ma c’è molto da documentare per evitare il sospetto di storiche responsabilità formative e politiche dei soggetti oggi egemoni dal Golfo sul mondo islamico anche rispetto alla sua maggioranza “moderata”.
Sopravvivenza del terrorismo internazionale di matrice jihadista dopo l’Isis
I connotati religiosi dell’Isis sono dal 2001 al 2014, e cioè fino alla sua affermazione come califfato, formalmente islamico-sunniti, nonostante l’ostilità all’ establishment dei paesi sunniti, che rigettano il terrorismo, che colpisce anche loro, ma non rigettano (imprudenza?) la lotta sacra; ma con l’Isis compare la contestazione dei modi di istituire un califfato e il disegno di trattare civili propri ed occidentali nonché legittimi combattenti (vedi il caso del rogo per il pilota giordano abbattuto e fatto prigioniero) come nemici privi di diritti umani. I paesi sunniti (una coalizione di 34 paesi sunniti a guida saudita è istituita nel dicembre 2015) si affiancano a quelli occidentali in guerra contro l’Isis.
Si possono così prospettare vari esiti di tale guerra: abbattimento dell’Isis come Stato (non riconosciuto), ma senza la cessazione di altri possibili fenomeni armati altrove (Boko Haram, Shabaab e simili). Cioè già i connotati armati del fenomeno non sembrano destinati alla cessazione in altri luoghi con la conclusione di una sola guerra. Soprattutto non sembra destinato a cessare il fenomeno dei foreign fighters come lupi più o meno solitari non bisognosi del supporto di uno Stato come insegna al-Qaeda, che Stato non è.
Ma sono comunque i connotati culturali-religiosi quelli più resistenti per una religione senza un clero, e delle petromonarchie impegnate dottrinalmente e finanziariamente ad alimentare il mito di un Islam vincente e ad addestrare magari per realizzarlo [10] . O se ne cambiano le politiche finora seguite o si alimenta il circolo vizioso de “la religione è la soluzione” inteso a continuare a ricorrere a politiche statuali educative, proselitistiche e mediatiche fondate sulla tesi di un Islam economicamente, politicamente e culturalmente sempre vincente.
Quanto finora esposto non può non prescindere dalla fisionomia del terrorismo internazionale di matrice jihadista comparso alla fine del XX secolo. Di essa evidenziano tratti rilevanti la ricerche Icsa del 2011, 2013, 2014 [11] , trattando anche il tema dei relativi finanziamenti, ma senza dare notizia delle relative entità e date e dei finanziatori, rinviando alle autorità competenti per i dati in merito. Ma il problema di tale terrorismo è nella sua genesi, nei fattori che ne hanno prodotto e ne riproducono il mito. In altri termini il problema di tale terrorismo è nel dopo Isis.
Il jihadismo a base statuale è più concreto di quello, come al-Qaeda, che ne à privo, ma è eliminabile togliendogli il territorio. Il dopo Isis lascia al-Qaeda e il problema dei mujahedin, ovvero dei flussi di volontari alla causa del jihadismo come tale, e cioè della lotta armata, terrorista, di una religione che ha avuto imperi, e non li ha più. Il jihadismo è in parte la memori...
Table of contents
- Copertina
- Islam, religione ibrida del XXI secolo
- Introduzione I temi trattati che incalzano l’Islam e quelli non trattati
- I. Dal tramonto ottomano alla rivincita “jihadista”
- 1. Scoperta del petrolio in Arabia Saudita, “nahda” o rinascita islamica e terrorismo “jihadista”
- 2. Al-Qaeda, emirati e alleanze dell’Isis nel mondo. Ruoli delle petromonarchie e il dopo Isis
- 3. Islam, Usa e complotti; dalla scoperta del petrolio in Arabia Saudita al patto con il diavolo
- 4. Reislamizzazione contro occidentalizzazione giuridica: ritardi culturali islamici e ambigui mutamenti costituzionali
- 5. Oltre il terrorismo: l’ipotesi di un nuovo bipolarismo e quella del tramonto saudita
- 6. Il terrorismo jihadista come fenomeno religioso. L’Islam religione politica?
- II. Potere statale e amministrazione pubblica del jihadismo terrorista
- 1. Dall’Islam come religione politica secondo le sure medinesi del Corano al jihadismo terrorista
- 2. Il futuro del terrorismo jihadista
- 3. Tratti fondamentali dell’amministrazione pubblica dell’Isis a confronto con quelle occidentali
- III. Una religione politica nel XXI secolo
- 1. Religione-Stato. Islam, religione ibrida o Stato ibrido?
- 2. Civiltà come sistema giuridico e la mancata modernizzazione degli Stati islamici
- 3. Scontri di civiltà? Ipotetico tramonto americano e realtà attuale dell’Islam
- 4. 34 Stati a guida saudita contro l’Isis. Politica o religione politica?
- 5. Maggioranza dei “moderati” e/o dei fondamentalisti e le due minoranze: i terroristi e i musulmani politicamente laici-democratici.
- 6. Ritardi islamici e scontri di civiltà. Verso le conclusioni.
- Conclusioni Da Islam a petroislam: da sempre religione ibrida?
- Indice degli argomenti
- Indice degli autori
- Indice dei contenuti