Capitolo 1 – Analisi di scenario
1.1. Brevi considerazioni sul sistema agricolo e agroalimentare in Italia
Nella consapevolezza che siamo di fronte ad un macro settore, letto da più punti di vista, che sfugge ad una definizione univoca, è imprescindibile procedere per gradi. Per comprendere il fenomeno e avviare un percorso di lettura dell’affidabilità delle aziende agricole è necessario illustrare le dinamiche del settore ampliandone immediatamente la configurazione, nella prospettiva di far emergere le dinamiche di filiera.
Ci si trova di fronte ad un macro settore con forte caratterizzazione domestic market, che comprende la produzione primaria (agricoltura e pesca) e le successive fasi di trasformazione e commercializzazione. Si parla di conseguenza di macro settore primario nel suo complesso: vincolato alla specificazione di filiere produttive.
La definizione di macro settore omogeneo ripercorre, in una logica esplicativa che parte dalle prioritarie dinamiche di prezzo, un processo di specificazione che parte dalla generazione del prodotto nella pratica colturale e di allevamento fino a giungere alla prima trasformazione. Per interessare poi la seguente impostazione della pratica commerciale. Una logica che si fonda sulla consapevolezza che sia limitante non occupare lo spazio analitico che va dalla maturazione del prodotto primario alla sua utilizzazione. Nel macro settore primario inquadriamo le aziende di allevamento e di acquacoltura, di coltivazione e di pesca, di prima trasformazione e di trasformazione della caratterizzazione organolettica del prodotto, nonché di ricettività turistica in campagna e sulla costa. In prospettive che trovano sempre più affermazione nella definizione di assetto multifunzionale in un unico complesso aziendale.
A livello tecnico analitico lo stesso complesso aziendale è suscettibile di essere scomposto in UTE (Unità Tecniche Economiche) riconducibili ora ad una pratica colturale che insiste in un luogo, ora ad una unità multifunzionale indipendente ma facente parte di una conduzione amministrativa unitaria. Con tali strumenti è possibile procedere alla definizione dell’articolazione micro economica appropriata. A livello marco invece la struttura del settore primario si configura come un universo di attività differenziate ma possibilmente complementari legate imprescindibilmente al territorio di appartenenza. Laddove si caratterizzano per proprietà organolettiche, caratteristiche colturali legate alla produzione e perfino mercati di sbocco.
Tab. 1. Numeri complessivi di riferimento
per l’agricoltura italiana comparata ai dati UE.
| | Unità Mis. | Italia | UE a 27 |
| Az. Agricole | n. | 1.679.440 | 13.700.400 |
| Allevamenti | n. | 309.170 | 8.570.670 |
| SAU2 | ha | 12.744.200 | 172.485.050 |
| UBA3 | n. | 9.900.670 | 135.282.290 |
| di cui Bovini | n. | 6.364.350 | 89.470.080 |
Fonte INEA e FAO, 2010.
Nelle varie forme esistono sul territorio nazionale oltre un milione e mezzo di imprese, con un numero di addetti che oscilla stagionalmente da 425 a 430 mila unità di lavoratori dipendenti. A questi si aggiungono, stando ai dati disponibili al 2010 riferiti al 2009, oltre 470 mila lavoratori indipendenti, cioè coltivatori diretti o coadiuvanti familiari comunque occupati ma non con vincolo di subordinazione.
Il dato sull’occupazione, che in questa percentuale, a livello di settore, rappresenta il 3,8% dell’occupazione totale nel Paese, non è troppo significativo in quanto siamo in presenza, nella maggior parte dei casi, di conduzione individuale configurabile come forma imprenditoriale.
Nel complesso le 895 mila unità censite sono un aggregato di lavoratori stabili, avventizi, lavoratori conto terzi, coltivatori diretti del fondo non qualificati come imprenditori agricoli professionali (IAP).
Numeri in calo rispetto al dato 2008 soprattutto dal lato dei lavoratori dipendenti che hanno ceduto il 7%. Stabile invece l’occupazione fra gli indipendenti: dati pressoché uguali nel 2008 e 2009.
Il numero assoluto di imprese è invece costante dal 2007 ad oggi. Non si sono avuti miglioramenti o peggioramenti rispetto ad un numero assoluto che dai primi anni del 2000 si è comunque ridotto dal 20%.
La diminuzione in termini assoluti non indica, secondo lo scrivente, una fuga dal settore ma, in una lettura più ampia, coincide con le pratiche di aggregazione di più unità produttive in strutture più grandi e necessariamente orientate ad economie di scala. Negli anni passati la eccessiva polverizzazione del settore ha generato troppi inconvenienti in termini di prospettive reddituali e di sviluppo.
La testimonianza del fenomeno appena accennato trova effetto nella rappresentazione dei numeri assoluti come di seguito riportata.
Tab. 2 Rilevazioni medie rispetto ai dati italiani e UE.
| Unità Mis. | Italia | UE a 27 |
| SAU per azienda | ha | 7,59 | 12,59 |
| Bovini per azienda7 | n. | 43,3 | 26,8 |
| % superficie a seminativi8 | % | 55,2 | 60,7 |
Fonte INEA e FAO, 2010.
La media nazionale di SAU (Superficie Agricola Utilizzata) per azienda è oggi superiore del 20% rispetto a vent’anni fa. Per la precisione nel 2009 sono stati condotti oltre 12,7 milioni di ettari con una media di 7,5 ettari di SAU per azienda.
Secondo i dati del censimento agricolo del 1990, la SAU media era intorno ai 6 ettari laddove nel complesso la superficie lavorata ammontava a 15 milioni di ettari.
Con le opportune cautele la messa in evidenza dei dati di superficie e occupati ci consentono di proporre uno scenario che coglie un approccio strategico centrato sull’innovazione di processo. Gioca in questo senso un ruolo di prioritario la meccanizzazione agricola e il conseguente forte incremento della produttività.
La diminuzione costante di occupati dipendenti dal dopo guerra ad oggi testimonia perlomeno tre diverse stagioni.
La prima legata all’abbandono della campagna da parte di mezzadri, fittavoli e piccoli coltivatori che ha interessato il centro nord della penisola dal secondo dopo guerra fino agli anni alla fine degli anni ’60. In uno scenario disarmante di abbandono della campagna da parte di nuclei familiari e singoli lavoratori attratti dalle opportunità offerte dalla industrializzazione in aree metropolitane sempre più grandi.
Uno scenario che sembrava non aver fine a scapito del lavoro agricolo e dell’attività di presidio della campagna. In questo senso nessuna politica pubblica ha giocato mai un ruolo di contrasto al fenomeno.
Si ricordi a solo titolo di esempio il tentativo di modellizzazione di un nuovo sviluppo politico economico da parte di Graziani. Sviluppo basato su una sostanziale equità di sviluppo nell’interazione fra mondo rurale e urbano, all’insegna dell’aumento delle esportazioni e dell’intervento pubblico a livello locale.
Tuttavia questo come altri modelli di politica economica hanno poco inciso già dalla fase di progettazione, non incon...