Questa sarebbe la fine
Stando alle indicazioni del sopravvissuto Nathan Getzler, il convoglio su cui viaggiava Selma fece sosta sul far della sera sulle rive del Dnjestr, dove i prigionieri dormirono allâaperto; il giorno successivo essi furono traghettati allâaltra riva. Pare che durante la traversata i soldati si divertissero a gettare alcuni uomini fuori bordo e a vederli annegare, per poi requisire e spartirsi i loro averi. Giunti alla riva opposta effettuarono nuovi controlli, lasciandosi andare ad altri furti e maltrattamenti, e i detenuti trascorsero unâaltra notte allâaperto.
Nelle prime ore del terzo giorno di viaggio la lunga fila di âlavoratoriâ si incamminò verso est per raggiungere una cava di pietra: alla fine della marcia furono tenuti ore e ore in piedi per ulteriori perquisizioni, senza poter entrare nelle baracche vicine alla cava.
Il contingente ricevette cibo solo al quinto giorno dalla partenza: cento grammi di pane mescolato a sabbia e argilla, una razione che sarebbe dovuta bastare per i successivi tre giorni. Un migliaio di prigionieri fu alloggiato non lontano dalla cava, ai margini di un centro abitato, forse Äertvetinovka, dentro stalle da cui alcuni tentarono, con successo, la fuga. Nel corso della seconda settimana di agosto il gruppo rimasto alla cava fu caricato su camion e portato ancora piĂš a est, verso LadiÄyn, oltre il fiume Bug, passando per una localitĂ di nome Gaisin.
Arnold Daghani, un artista poco piĂš che trentenne originario di SuÄava, faceva parte insieme alla moglie AniĹoara del gruppo partito da Czernowitz il 7 giugno. Sopravvissuto allâArbeitslager, dopo la guerra pubblicò un diario della propria esperienza che rimane lâunica testimonianza diretta sui campi di lavoro oltre il Dnjestr. Ă grazie a lui che abbiamo le ultime notizie su Selma, sua compagna di prigionia.
Daghani registrò al 18 agosto 1942 lâarrivo al campo di Michajlovka, una localitĂ nei pressi di Gaisin, dove il contingente subĂŹ unâulteriore selezione: quanti furono dichiarati âabili al lavoroâ furono informati di essere proprietĂ della ditta August Dohrmann AG di Remscheid, incaricata di costruire, per conto dellâOrganisation Todt, la sezione ucraina meridionale della cosiddetta Durchgangstrasse IV, una via di passaggio per mezzi militari che avrebbe unito la Germania al Caucaso e sarebbe diventata la strada piĂš importante per i trasporti destinati al fronte. I nuovi arrivati rumeni, circa cinquecento persone che vennero alloggiate in una stalla, sostituirono gli ebrei ucraini che si trovavano a Michajlovka giĂ da tre mesi e che, ormai stremati, sarebbero stati liquidati entro la fine di agosto.
Ciascuno riceveva ogni giorno una scodella di zuppa di piselli senza sale mista a miglio ammuffito e, ogni otto-nove giorni, tre quarti di filone di pane raffermo; a volte qualche contadino di passaggio cedeva patate o cipolle in cambio dei pochi beni rimasti, approfittando della corruttibilitĂ delle guardie lituane.
I lavori erano controllati dalla polizia tedesca e da volontari lituani agli ordini del Lagerkommandant Arthur Kiesel, dellâUnterscharfĂźhrer delle SS Walter Mintel e di un sottufficiale lituano, ed eseguiti sotto la supervisione di ingegneri e tecnici della OT: nella cava gli uomini frantumavano la pietra con zappe e picconi, mentre le donne con i bambini, muniti di pale, accumulavano la ghiaia che veniva poi caricata su grandi camion. Altre volte si procedeva direttamente alla costruzione della strada. Tali operazioni duravano ininterrottamente dal mattino alla sera, domeniche escluse, e a partire dallâautunno erano svolte anche sotto la pioggia battente. Spesso alcuni prigionieri erano inviati nei campi vicini per rimpiazzare la manodopera venuta a mancare.
Fu probabilmente approfittando di un tale trasferimento che Selma riuscĂŹ a trovare qualcuno disposto a recapitare una lettera a ReneĂŠ, la quale si trovava nel vicino Arbeitslager di Obadovka:
Rena, tatanca, qui fa cosĂŹ caldo che non riesco nemmeno a chiudere gli occhi e non sono in condizione di reggere la matita e mi riesce difficile farmi venire in mente qualcosa. Ma voglio scriverti lo stesso. Veramente non so nemmeno se avrò occasione di farti arrivare questo biglietto â non fa niente.
Ora per lo meno è come se tu sedessi qui vicino a me, e io potessi parlare di nuovo con te dopo quasi un anno. Che dico? Quasi un anno? In realtĂ giĂ lo scorso anno a Czernowitz sembrava proprio che [parola illeggibile] entrambe fossimo molto lontane. In realtĂ sono passati piĂš di due anni da quando sedevamo insieme per pomeriggi interi senza parlare. Pomeriggi in cui tu suonavi e io ascoltavo, e ognuna sapeva esattamente come lâaltra si sentisse. Forse non è il caso che evochi tali ricordi. Ma non fa niente. Non so cosa provi, a ogni modo mi manca molto il dolce e indicibile dolore che viene da tali ricordi. Ci sono momenti in cui cerco di evocare una qualche immagine particolarmente viva e calda, ma non mi riesce. Al massimo riesco a sfiorare col pensiero qualcosa che poi sfugge, un volto, una parola, senza poi riuscire ad afferrarlo o ad approfondirlo. A volte penso: âBertaâ. Oppure âLeisiuâ. Oppure âun bacioâ. Ma il senso di questi concetti non lo afferro. Lasciamo stare. Ho qui una poesia di cui non conosco lâautore. Ă meravigliosa:
Nostalgia
Tardi, nella notte
mi sono destato
e ho pianto.
Stella muta, tu
nel remoto blu,
sii con me.
Dâoro e stupenda cosĂŹ
ti vidi a casa mia.
Sai cosa vuol dire
âcasaâ?
Come spezza il cuore
âcasaâ!
Saluta la...