Tra due crisi
eBook - ePub

Tra due crisi

Urbanizzazione, mutamenti sociali e cultura di massa tra gli anni Trenta e gli anni Settanta

  1. English
  2. ePUB (mobile friendly)
  3. Available on iOS & Android
eBook - ePub

Tra due crisi

Urbanizzazione, mutamenti sociali e cultura di massa tra gli anni Trenta e gli anni Settanta

About this book

Matteo Pasetti, Introduzione. Luci, e qualche ombra, di una periodizzazione; Alberto De Bernardi, Da una crisi all'altra. La scomparsa della società rurale e la modernizzazione nei paesi dell'Europa meridionale;
Pietro Pinna, Italiani in movimento: le migrazioni rurali verso la Francia tra crisi e integrazione sociale; Álvaro Garrido, «A terra e o mar não se sindicalizam!» As Casas dos Pescadores no sistema corporativo do Estado Novo português (1933-1968); Maria Luiza Tucci Carneiro, Racismo e Imigração: o modelo ideal do homem trabalhador no campo e na cidade; Marica Tolomelli, Le trasformazioni sociali ed economiche nel mondo del lavoro italiano (1930-1970); Nuno Rosmaninho, Urbanismo autoritário? O caso de Coimbra; Fernando Tavares Pimenta, Identidades, sociabilidades e urbanidades na África Colonial Portuguesa: Angola e Moçambique; Maria das Graças Ataíde de Almeida, Recife enquanto protótipo da cidade "higienizada" durante o Estado Novo (1937-1945): a estética do belo; Luís Reis Torgal, Ouvir, ver, ler e… converter. Rádio, cinema e literatura na propaganda do estado novo; Noémia Malva Novais, O ângulo oculto da câmara. Interacção da cultura política com a comunicação de massas no pós guerra; Heloisa Paulo, O recurso aos novos meios de comunicação pela propaganda oposicionista antisalazarista exilada: da rádio à televisão (1930-1973); Rodrigo Archângelo, "O poder em cena": os rituais em cinejornais do pós guerra; Maria Francesca Piredda, «Non è facile avere 18 anni». Rita Pavone, icona intermediale nell'industria culturale italiana degli anni Sessanta.

Frequently asked questions

Yes, you can cancel anytime from the Subscription tab in your account settings on the Perlego website. Your subscription will stay active until the end of your current billing period. Learn how to cancel your subscription.
At the moment all of our mobile-responsive ePub books are available to download via the app. Most of our PDFs are also available to download and we're working on making the final remaining ones downloadable now. Learn more here.
Perlego offers two plans: Essential and Complete
  • Essential is ideal for learners and professionals who enjoy exploring a wide range of subjects. Access the Essential Library with 800,000+ trusted titles and best-sellers across business, personal growth, and the humanities. Includes unlimited reading time and Standard Read Aloud voice.
  • Complete: Perfect for advanced learners and researchers needing full, unrestricted access. Unlock 1.4M+ books across hundreds of subjects, including academic and specialized titles. The Complete Plan also includes advanced features like Premium Read Aloud and Research Assistant.
Both plans are available with monthly, semester, or annual billing cycles.
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Yes! You can use the Perlego app on both iOS or Android devices to read anytime, anywhere — even offline. Perfect for commutes or when you’re on the go.
Please note we cannot support devices running on iOS 13 and Android 7 or earlier. Learn more about using the app.
Yes, you can access Tra due crisi by Matteo Pasetti in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in History & European History. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Information

Year
2013
Print ISBN
9788866331223
eBook ISBN
9788866339991

Tra due crisi

Urbanizzazione, mutamenti sociali e cultura di massa tra gli anni Trenta e gli anni Settanta

A cura di Matteo Pasetti

ISBN 978-88-6633-122-3
ISBN 978-88-6633-125-4
ISBN 978-88-6633-999-1
15 Marzo 2013

ArchetipoLibri


Introduzione. Luci, e qualche ombra, di una periodizzazione

Matteo Pasetti


Indice

Da una crisi all’altra

Il dibattito storiografico sulla periodizzazione del Novecento ha avuto finora un andamento singolare: molto acceso in una prima fase, quando il XX secolo non era ancora chiuso da un punto di vista cronologico, si è praticamente spento all’inizio del nuovo secolo, ma non certo perché gli storici abbiano raggiunto una posizione condivisa. Anzi, il confronto fra le diverse interpretazioni si è sostanzialmente esaurito proprio nel momento in cui si stava definendo una suggestiva variazione sul tema, ovvero una periodizzazione che individua i tornanti decisivi del Novecento non all’interno delle “tre guerre mondiali” (l’esplosione della prima e la rivoluzione bolscevica, la sconfitta del nazifascismo e la nascita di un mondo bipolare, la caduta del Muro di Berlino e la fine della Guerra fredda), ma nelle crisi economiche del 1929 e del 1973.
Secondo tale ipotesi, il periodo “tra le due crisi” può essere considerato come un blocco temporale unitario perché presenta una sua specificità, appare dotato di un “senso” storico. Tanto che si potrebbe sostenere che è proprio questo ciclo, aperto all’inizio degli anni Trenta e chiuso all’inizio dei Settanta, a rappresentare il “cuore” del Novecento, non solo per la centralità cronologica, ma anche perché al suo interno sarebbero racchiuse una serie di esperienze capaci di imprimere la cifra all’intero secolo. In modo sommario, se ne possono indicare almeno quattro: l’industrializzazione di stampo fordista, la diffusione di nuovi modelli di consumo, la provincializzazione dell’Europa, il primato della politica.
Naturalmente, come qualsiasi altra ipotesi di periodizzazione, anche questa presenta alcuni limiti appariscenti. In primo luogo, se si enfatizza il valore paradigmatico dei decenni “tra le due crisi”, si corre il rischio di ridurre il Novecento a un secolo brevissimo, amputato di fenomeni – come la Grande guerra, o la nascita e il crollo del comunismo sovietico, o la rivoluzione tecnologico-informatica – che sia a uno sguardo storiografico, sia per il senso comune, appaiono intrinsecamente “novecenteschi”. A scanso di equivoci: i decenni centrali del XX secolo non possono esaurire il significato storico del Novecento; al massimo ne rappresentano una parte, anche se si ritiene che proprio questo segmento sia quello che meglio esprime l’essenza del secolo.
In secondo luogo, attribuire un’unità temporale al periodo a cavallo della seconda guerra mondiale porta a ridimensionare, se non a sottovalutare, l’epocale cesura provocata da tale conflitto. Seguendo, per esempio, la schematizzazione di Leonardo Paggi [1997], non si può ignorare che a partire dal 1945 si sono manifestati quattro profondi mutamenti storici, i primi due riguardanti lo scenario internazionale, gli altri due il rapporto tra politica e società: 1) una trasformazione nella funzione della guerra, riducibile essenzialmente al passaggio da “calda” a “fredda”, nel contesto di un processo di globalizzazione che ha determinato innanzitutto l’esaurimento della prospettiva eurocentrica; 2) la formazione e la crescita di un sistema di interdipendenze nel commercio internazionale che ha implicato, almeno per le aree a industrializzazione avanzata, l’abbandono della logica del “capitalismo nazionale”; 3) la ridefinizione della biopolitica, ora non più espressione di un esercizio del potere teso a manipolare la vita degli individui (fino al caso estremo della politica razziale nazista), ma attuata in forme diametralmente opposte tramite la promozione del benessere e dei consumi di massa; 4) la “secolarizzazione” delle identità collettive, tra aumento della socialità e tendenza all’atomizzazione, con il progressivo passaggio da un’idea “forte” a una “debole” della politica. Con ogni evidenza si tratta di svolte significative, che spezzano il Novecento in due parti, la seconda delle quali è considerabile per vari aspetti tuttora aperta. Se si mettono in risalto queste fratture, la seconda guerra mondiale costituisce dunque uno spartiacque che inaugura un’epoca profondamente diversa dalla precedente, avviando processi che a loro volta non si sono chiusi qualche decennio più tardi, ma appaiono ancora in corso.
Tuttavia, da altri punti di vista il periodo “tra le due crisi” sembra conservare una certa omogeneità storica, proprio come segmento di un’epoca più lunga che ha i suoi albori nella seconda metà del XIX secolo e l’epilogo negli anni Ottanta del XX [Maier 1997]. In questa prospettiva, l’arco tra il 1929 e il 1973 rappresenta una fase di accelerazione, di potenziamento, di radicalizzazione di alcuni processi già avviati – o perlomeno in stato nascente – nel periodo precedente, che scavallano il crinale della seconda guerra mondiale e continuano a dispiegarsi in forma compiuta nel dopoguerra. Una fase di accelerazione generata appunto dal primo crollo strutturale dell’economia capitalista, o più precisamente dalle reazioni alla Grande depressione; e interrotta, o forse sarebbe meglio dire mutata di segno, cambiata di direzione, dalla seconda crisi mondiale del sistema.
I termini a quo e ad quem sono costituiti dunque da due crisi che presentano alcune analogie. Entrambe hanno avuto un epicentro ben individuabile – Wall Street nel 1929, il Medio Oriente nel 1973 – ma si sono propagate con rapidità in tutto il mondo capitalista, comprovando la stretta interdipendenza ormai stabilitasi tra le singole realtà nazionali. Entrambe hanno avuto origine economica – o più precisamente finanziaria, la prima, ed energetica, la seconda – ma hanno presto generato profonde ripercussioni politiche, sociali, e perfino culturali, trasformandosi così in vere e proprie crisi di sistema. Entrambe inoltre sono state precedute da periodi di incubazione, o per meglio dire sono esplose in momenti storici connotati da una forte instabilità sistemica che ha posto le condizioni per la generalizzazione della crisi e ne ha accentuato l’effetto dirompente sull’intero ordine sociale. In ambito storiografico, è stato in particolare Charles Maier [2001] a mettere in luce tale parallelismo: pur distinguendo tra «crisi all’interno del capitalismo», cioè la Grande depressione degli anni Trenta, e «crisi della società industriale», con il collasso del modello di produzione fordista che negli anni Settanta ha coinvolto sia il mondo capitalista, sia quello sovietico, lo storico americano ha sottolineato come entrambe le crisi avessero radici in una precedente rottura dello status quo.
Nel primo episodio di crisi sistemica, infatti, il tracollo economico fece seguito a un vano tentativo di riparare il dissesto politico e sociale provocato dalla Grande guerra, attraverso la restaurazione dell’ordine prebellico. Il primo dopoguerra non rappresenterebbe tanto un periodo rivoluzionario, come spesso è stato descritto, quanto invece un periodo conservatore. D’altra parte, la lettura degli anni Venti come un decennio crepuscolare durante il quale «il vecchio muore e il nuovo non può nascere» ha avuto diversi predecessori. Se la formula appena citata, tratta da un quaderno del 1930 di Antonio Gramsci [1975, 311], è spesso utilizzata per la sua forza icastica, si deve a Karl Polanyi la riflessione coeva più sistematica sul carattere conservatore degli anni Venti e sul definitivo crollo dell’ordine ottocentesco avvenuto all’inizio dei Trenta.
Dato alle stampe a New York nel 1944, ma meditato lungo tutto il decennio precedente, il suo libro La grande trasformazione costituisce la vera pietra miliare per qualsiasi riflessione storiografica sulla cesura epocale provocata dalla crisi del 1929. Nell’ottica di Polanyi, infatti, «la prima guerra mondiale e le rivoluzioni del dopoguerra erano ancora parte del diciannovesimo secolo» [1974, 26], e gli anni Venti rappresentavano nient’altro che un tentativo di restaurare il sistema capitalistico rigenerando l’utopia del libero mercato autoregolantesi che aveva connotato la civiltà ottocentesca. Quest’ultima poggiava su quattro cardini: il sistema dell’equilibrio tra le potenze, che aveva garantito una lunga condizione di relativa pace sul piano internazionale; lo stato liberale, basato su istituzioni democratico-parlamentari che davano espressione politica alle élite borghesi; il gold exchange standard , che assegnava alla sterlina inglese il ruolo di perno del sistema monetario internazionale; e infine, appunto, la fiducia nella capacità del libero mercato di produrre benessere, semplicemente autoregolandosi. Era questa fiducia «la fonte e la matrice» più autentica della civiltà liberale ottocentesca [Polanyi 1974, 5]. Ed era da questa fiducia che ripartì il tentativo postbellico di ritornare al passato. L’esplosione della crisi economica nel 1929 mise a nudo tuttavia l’esito fallimentare della restaurazione: mentre la guerra aveva decretato la fine del sistema dell’equilibrio tra le potenze, e il dopoguerra aveva svelato la paralisi delle democrazie borghesi, il crollo di Wall Street travolse gli ultimi due cardini ancora in piedi della società liberale, ovvero la base aurea internazionale, abbandonata da tutti i paesi tra il 1931 e il 1933, e l’utopia del mercato autoregolantesi.
Gli anni Trenta furono di conseguenza gli anni della “grande trasformazione”, ovvero del passaggio a una forma di capitalismo organizzato. O maggiormente organizzato: buona parte del libro di Polanyi, infatti, è volta a dimostrare che un sistema sociale basato sull’economia di mercato non costituisce l’approdo «naturale» delle società umane; anzi, a ben vedere un mercato davvero autoregolantesi non era esistito nemmeno durante l’età d’oro del liberalismo, poiché perlomeno dalla metà del XIX secolo il funzionamento del sistema capitalistico aveva richiesto l’allargamento delle prerogative dello stato, cioè un «intervento» della politica per salvaguardare sia il tessuto sociale, messo in pericolo da un’eccessiva mercificazione dell’esistenza umana, sia la stessa libertà di mercato, intralciata dalla formazione di monopoli e dall’organizzazione degli interessi di classe. In sintesi, sostenendo che «l’economia del laissez-faire era il prodotto di una deliberata azione da parte dello stato» [1974, 180], Polanyi considerava il liberalismo economico non come un’effettiva pratica di autogoverno dell’economia, bensì come una «religione secolare» [1974, 178], un «credo militante» [1974, 175] – in termini marxiani, come un elemento puramente sovrastrutturale. Secondo l’antropologo di origini ungheresi, quindi, ben prima degli anni Trenta del XX secolo la vita economica era «embedded» (“incastrata”, “incorporata”) nel contesto sociale. Ciò che la “grande trasformazione” produsse fu un’accelerazione in questa direzione, verso una forma di capitalismo in cui l’economia diventava ancora più embedded, in quanto privata dell’utopia liberale e sottoposta a un più invasivo intervento degli stati nazionali. Si trattò in ultima analisi di un mutamento del clima politico-culturale, in conseguenza del quale venne meno la fede nel mito del mercato autoregolantesi, si ricompose la dicotomia ideologica tra politica ed economia, e venne acquisita «la consapevolezza della realtà della società» [Polanyi 1974, 319]. Dopo il crollo del 1929 il capitalismo sopravvisse a spese del liberalismo economico, che perse l’egemonia culturale detenuta da lungo tempo.
Tornando a Charles Maier, la sua interpretazione del Novecento presenta diversi punti di contatto con la riflessione polanyiana, a partire da un’analoga contrapposizione tra anni Venti e anni Trenta. Nel suo primo lavoro importante, uscito a distanza di circa trent’anni da La grande trasformazione, anche lo storico americano ha descritto gli anni Venti come un periodo di difficile e parziale rifondazione della società borghese europea dopo il trauma della Grande guerra. A differenza di Polanyi, però, per Maier non si trattò di una semplice restaurazione, ma di una «trasformazione in senso conservatore» [1999, 36], che produsse un fragile equilibrio tra interessi economici, forze politiche, classi e nazioni, mediante l’introduzione di importanti innovazioni istituzionali di tipo “corporatista” (consistenti in una politica di costante mediazione fra governi e gruppi d’interesse organizzati che andò a spostare il centro del potere decisionale dai parlamenti ai ministeri o a nuove burocrazie parastatali). Il crollo borsistico del 1929 si abbattè dunque su un assetto dei rapporti di potere già precario e rese vani i tentativi messi in atto dalle classi dirigenti europee per conservare un ordine sociale ed economico ormai compromesso. È in questa instabilità sistemica che va individuato il motivo per cui la crisi finanziaria si trasformò in una Grande depressione che sembrò mettere a repentaglio l’esistenza stessa del capitalismo e impose un profondo ripensamento del rapporto tra politica, economia e società. Al contempo, le soluzioni che vennero predisposte nel corso degli anni Trenta e ribadite dopo la seconda guerra mondiale trovarono alcune anticipazioni proprio in certe tendenze emerse durante le esperienze corporatiste del primo dopoguerra: in particolare, in un intervento più organico dello stato sul mercato e nel rafforzamento del ruolo dell’industria nella formulazione delle politiche economiche nazionali.
Delineate – circostanza piuttosto emblematica – a metà degli anni Settanta, queste tesi di Maier sono state ampiamente discusse in sede storiografica. Per il tema che qui interessa, cioè la periodizzazione del Novecen...

Table of contents

  1. Tra due crisi