Sommario: 1 Le coppie dicotomiche della mediazione penale: giurisdizionale/negoziale; monismo/pluralismo; nazionalizzazione/internazionalizzazione del diritto. – 2. Concetto e caratteri della giustizia di transizione. – 3. Finalità e mezzi della giustizia di transizione. – 3.1 I mezzi, in particolare. L’amnistia. – 3.2 La giurisdizione: tra limiti attuali… – 3.2.1 (Segue) … e limiti e meriti intrinseci. – 3.3 Le commissioni di verità e/o riconciliazione. – 4. Il quadro delle tendenze internazionali nella giustizia di transizione: tra istanze nazionali costituenti e pacificatrici e istanze internazionali giurisdizionali. – 5. Tentativi di razionalizzazione del sistema: per una strategia di integrazione sussidiaria tra pace/giustizia, riconciliazione-amnistia/giurisdizione, nazionale/internazionale. – 6. Considerazioni conclusive.
1. Le coppie dicotomiche della mediazione penale: giurisdizionale/negoziale; monismo/pluralismo; nazionalizzazione/internazionalizzazione del diritto
Prima di affrontare il tema che mi è stato assegnato, mi siano consentite due considerazioni a carattere generale sulla mediazione penale. La prima. Il diritto penale è contrassegnato da alcune coppie dicotomiche che esprimono sempre una fortissima tensione: legge/interpretazione; garanzia/prevenzione; oggettivismo/soggettivismo; particolarismo/universalismo; sostanziale/processuale (e potremmo continuare ancora per molto: astratto/concreto; regola/eccezione; amico/nemico; inclusione/esclusione, ecc.).
Alcune di queste dicotomie rappresentano delle vere e proprie costanti storiche e quindi attraversano incessantemente l’intero percorso ‘evolutivo’ del diritto penale. Si pensi alle dicotomie eccesso punitivo/garanzia, oggettivo/soggettivo, sostanziale/processuale: non c’è fase storica, istituto, momento di previsione o applicazione del diritto penale in cui non si manifesti la tensione tra il rischio di una punizione sproporzionata ed ‘eccessiva’ e un’esigenza di garanzia e tutela del reo; tra una prospettiva che valorizza il fatto estrinsecatosi nella realtà e la personalità latamente intesa del suo autore; tra dimensione sostanziale e giuridica di un istituto e dimensione processual-probatoria. In particolare, si pensi alla dicotomia eccesso punitivo/garanzia. Un rischio di eccesso punitivo non solo si pone nel diritto penale moderno, caratterizzato dall’utilizzo della pena in funzione preventiva da parte del potere pubblico, ma era presente anche al tempo dei Comuni e delle Signorie (e ancor prima), dove il diritto punitivo era gestito in forma privata e la ritorsione aveva in sé il rischio di sfociare in una reazione sproporzionata a seguito dell’impossibilità di porre sullo stesso piano il disvalore dell’offesa gratuitamente arrecata e quello della reazione ‘razionalmente fondata’.
Altre dicotomie risultano invece storicamente determinate o addirittura sono il frutto di particolari assetti politico-istituzionali presenti in un determinato contesto storico. Si pensi alla dicotomia legge/interpretazione, la cui ‘articolazione conflittuale’ muta a seconda dei rapporti che intercorrono tra legislatore e giudici e più in generale tra i poteri dello Stato, per cui, in una prospettiva fortemente legalista, basata sul primato del legislatore, la tensione tende a smorzarsi, a causa della riduzione del giudice a mera ‘bocca della legge’, mentre in una prospettiva – per così dire – costituzionale, da un lato, la tensione diviene fisiologica, perché il giudice, non essendo più subordinato alla legge, ma alla legge conforme alla Costituzione, si svincola dal dettato legislativo in sé e per sé considerato; dall’altro lato, questa inevitabile tensione si fa più o meno intensa a seconda che la stessa legislazione si basi rispettivamente su logiche maggioritarie oppure pluralistiche.
Altre dicotomie, infine, dispiegano la loro contrapposizione in un arco temporale molto vasto, nel senso che mentre una parte della dicotomia si esprime in una certa fase storica, l’altra si manifesta in un periodo nuovo e successivo. Si pensi alla contrapposizione tra particolarismo e universalismo: mentre il particolarismo, soprattutto a carattere nazionalistico, ha avuto inizio dal XIV secolo e si è protratto fino ai primi del Novecento; una prospettiva autenticamente universalistica ha preso corpo dalla fine del secondo conflitto mondiale e sta persistendo ancora.
Ebbene, il tema della mediazione penale porta alla ribalta tre dicotomie: due appartenenti a quest’ultimo gruppo di contrapposizioni, che potremmo chiamare «ad ampio raggio», e si tratta della dicotomia giurisdizionale/negoziale e di quella monismo/ pluralismo (ovvero egemonico/ordinamentale); una che invece appartiene al primo gruppo, costituendo alla fin fine una costante storica, e si tratta della contrapposizione tra nazionalizzazione e internazionalizzazione del diritto.
La seconda considerazione ha ad oggetto proprio queste tre dicotomie. Partiamo dalla prima: giurisdizionale/negoziale. Sembra essere un vero e proprio mito l’idea che il diritto penale sia soltanto un diritto giurisdizionalizzato. Sul piano nazionale, ciò è vero soltanto se si guarda al diritto penale moderno, a quello ‘egemonico’ – per così dire – maturo, statale, che va dal XVI secolo fino alla fine dello scorso millennio. Se invece si allarga lo spettro visuale, ci si rende conto come il diritto penale negoziale abbia svolto un ruolo molto importante nella storia del diritto penale: tra l’XI e il XIII secolo si parla proprio di una «giustizia penale negoziale», in cui «l’idea che il delitto è in primo luogo un’offesa (iniuria), che importa ripararlo più che punirlo, che la riparazione consiste nella soddisfazione e che la soddisfazione deve passare per una trattativa, sta saldamente installata nella cultura di quelle prime comunità cittadine». Ma anche durante la prima fase del diritto penale egemonico (XIII-XIV secolo), il diritto penale negoziale gode di ampi spazi. Con il consolidarsi della prospettiva pubblicistico-statuale, invece, tali spazi si fanno sempre più angusti, fino a scomparire quasi del tutto dopo la Rivoluzione Francese. Tuttavia, è alla fine dello scorso millennio, con la rivalutazione del ruolo della vittima e della riparazione del danno, che torna a riaffermarsi l’idea di una mediazione-negoziazione in ambito penalistico.
Sul piano internazionale, il ragionamento è destinato a farsi molto più complesso per varie ragioni, che si legano – tra l’altro – alla problematica affermazione della responsabilità politica e della sua penalizzazione. Tuttavia, anche in quest’ambito è senza dubbio presente la dicotomia giurisdizionale/negoziale (rectìus, convenzionale), dovendosi osservare come in esso la dimensione convenzionale coincida quasi sempre con l’esito finale dell’amnistia e dell’impunità. Il convenzionale – per così dire – immunitario domina la scena fino alla Prima Guerra Mondiale. Dalla Prima Guerra Mondiale fino al 1980, prende corpo, invece, ancorché in termini parziali e al netto di ipotesi di giustizia c.d. politica, la prospettiva giurisdizionale. E dal 1980 fino ai giorni d’oggi, come avremo modo di vedere meglio in seguito (vedi infra, § 5), convivono la dimensione giurisdizionale e negoziale, dovendosi notare come oltretutto quest’ultima abbia subìto importanti trasformazioni non esprimendo più soltanto una prospettiva di impunità/irresponsabilità (es. Commissione sudafricana Verità e Riconciliazione).
L’altra dicotomia ‘ad ampio raggio’ è monismo/pluralismo ed è legata soprattutto alle vicende e alle configurazioni politico-istituzionali di uno Stato o dell’assetto internazionale. Così, sul piano nazionale, una concezione monista del diritto penale, basata sull’assolutismo del legislatore, ha dominato tra l’Ottocento e il Novecento, mentre una concezione pluralista e ordinamentale si è affermata prima della Rivoluzione Francese e sembra sia tornata ad affermarsi con le Costituzioni della seconda metà del Novecento.
Nella dimensione internazionale la distinzione è tra una comunità internazionale monista, in cui sono presenti alcuni Stati in una posizione di dominio, e una comunità internazionale pluralista, dove tutti gli Stati hanno pari dignità. In questa prospettiva, per quanto riguarda il monismo, si pensi alla fase precedente allo jus publicum europeum e a quella che va dalla Prima Guerra Mondiale fino alla fine dello scorso millennio; in ordine al pluralismo, si consideri il periodo del c.d. jus publicum europeum tra il XVIII e il XIX secolo.
Per inciso è interessante notare come sul piano internazionale, a differenza di quanto accade su quello nazionale, esista una forte corrispondenza tra la prospettiva convenzionale e quella pluralista e tra la prospettiva giurisdizionale e quella monista. Senza potersi addentrare troppo nel tema, e senza voler ridurre una realtà complessissima e articolata a troppo facili schematismi, tuttavia balza piuttosto evidente come mentre sul piano nazionale la prospettiva giurisdizionale giochi un ruolo assai diverso a seconda del contesto di fondo in cui si sviluppa, per cui essa può essere espressione di una concezione monista, là dove tale monismo nasce e si consolida, ma anche di una concezione pluralistica, là dove la sovranità si indebolisce e si frammenta; al contrario sul piano internazionale, trattandosi di un ordinamento in cui i rapporti di forza vengono addirittura istituzionalizzati (si pensi all’attuale configurazione del Consiglio di Sicurezza), la giurisdizione internazionale tende ad essere connessa a una visione monista. Ma anche su questi profili avremo modo di intrattenerci in seguito.
Infine, un accenno alla dicotomia nazionalizzazione/internazionalizzazione. Se, ancora una volta, sono da evitare rigidi schematismi che portano a identificare internazionalizzazione e giurisdizionalizzazione, nonché nazionalizzazione e negoziazione-conciliazione, tuttavia non c’è alcun dubbio che quando la dimensione internazionale vuole giocare un ruolo incisivo, al fine di perseguire «scopi di giustizia» oppure di «sicurezza», lo strumento utilizzato è la giurisdizione (internazionale o nazionale), la quale consente di mantenere un rapporto privilegiato con la parte che, avendo vinto il conflitto, esercita tale potere giurisdizionale; al contrario, strumenti di mediazione e conciliazione, ponendo al centro le parti del conflitto, esaltano l’autonomia nazionale.
2. Concetto e caratteri della giustizia di transizione
Tutto ciò premesso, la mia relazione si articolerà in quattro parti: la prima sarà dedicata al concetto di «giustizia di transizione», ai suoi caratteri e ai problemi che pone; nella seconda parte verrà compiuta una disamina delle finalità e degli strumenti che entrano in gioco nella giustizia di transizione, mettendo in particolare evidenza pregi e difetti dei vari strumenti; nella terza parte cercherò di compiere un quadro di ciò che sta accadendo in questi ultimi anni nella realtà della Comunità internazionale, provando a tracciare le possibili tendenze evolutive e i loro significati; infine, nell’ultima parte compirò un tentativo di razionalizzazione sistematica e funzionale degli strumenti utilizzabili, nella premessa che soluzioni rigide e unilaterali rischiano di essere distoniche rispetto agli obiettivi o non incisive sulla realtà, e nella convinzione che non solo è possibile utilizzare più strumenti a seconda delle finalità che si vogliono (e si possono) perseguire, ma anche che tali strumenti possono essere armonizzati e integrati.
Per quanto riguarda il concetto e i caratteri della giustizia c.d. di transizione, a me pare si possano distinguere tre diverse accezioni, che non si escludono a vicenda, ma anzi sono espresse contestualmente dalla medesima formula. Anzitutto, t...