Epistemologia e soggettività. Oltre il relativismo
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Epistemologia e soggettività. Oltre il relativismo

About this book

Il volume, risultato della collaborazione tra gruppi di ricerca delle Università di Perugia, dell'Insubria, di Catania e di Firenze, analizza il rapporto tra epistemologia e soggettività, da diverse prospettive e sensibilità ma secondo una rigorosa metodologia storico-critica. Ne emerge un panorama ricco e originale, entro il quale è possibile individuare precise e ormai consolidate tradizioni di ricerca. Così, mentre nella prima e seconda parte del volume sono presenti puntuali sondaggi volti a scandagliare il nesso evocato dal tema con riferimento alla sua struttura di soggetto conoscente e alla ridefinizione dei caratteri di un razionalismo di chiara ascendenza kantiana e di sicura valenza realistica, nella terza e quarta parte ci si è soffermati sui caratteri della soggettività epistemica con particolare riferimento alle sue dinamiche conoscitive e antropologiche, alle questioni delle forme del sapere presenti nel dibattito odierno relativamente al nesso con la vita e l'identità della persona nella società contemporanea, intesa come «società della conoscenza». Giovanni Mari (Firenze 1942), già ordinario di Storia della filosofia presso l'Università di Firenze, fondatore della rivista Iride. Filosofia e discussione pubblica, si occupa da alcuni anni di filosofia del lavoro su cui ha pubblicato numerosi saggi.
Fabio Minazzi (Varese 1955), ordinario di Filosofia teoretica dell'Università degli Studi dell'Insubria, socio AIPS (Bruxelles), dirige il Centro Internazionale Insubrico e Il Protagora. Autore di un'ottantina di volumi si occupa del razionalismo critico europeo.
Matteo Negro (Catania 1965), associato di Filosofia teoretica presso l'Università di Catania, membro di comitati scientifici di importanti riviste e collane editoriali, è autore e curatore di numerose pubblicazioni italiane e internazionali.
Carlo Vinti (Perugia 1947), ordinario di Storia della filosofia presso l'Università di Perugia e, attualmente Direttore del Dipartimento di Filosofia, linguistica e letterature, ha dedicato numerosi saggi anche monografici al nesso epistemologie e soggettività.

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La letteratura francescana del liber naturae.
Il mondo come artefatto
Lino Conti
La storia delle idee riserva spesso più domande che insegnamenti. Una delle più importanti questioni che ha lasciato in eredità agli storici del pensiero scientifico riguarda proprio la nascita della civiltà tecnico-scientifica in Occidente. Perché proprio in Europa, e qui soltanto, l’evoluzione culturale ha portato ad uno sbalorditivo sviluppo della tecnica e alla fioritura della moderna scienza sperimentale? «La scienza vera – ha recentemente ricordato Rodney Stark con un’enfasi pari alle sue vistose omissioni storiografiche – si sviluppò solo una volta: in Europa. La Cina, il mondo islamico, l’India, l’antica Grecia e l’antica Roma avevano un’alchimia molto avanzata, ma in Europa l’alchimia si evolvette in chimica. Allo stesso modo, molte società svilupparono elaborati sistemi di astrologia, ma solo in Europa condusse all’astronomia. Perché?»1.
Questa domanda ha sempre occupato un posto centrale nelle indagini sui meccanismi che determinano le grandi trasformazioni culturali. Ancora oggi viene riproposta da Kathleen Kennedy: come mai la moderna scienza sperimentale e la conseguente industrializzazione non si sono sviluppate nella Cina e nell’Islam del Quattrocento?
Pensiamo – osserva Kathleen Kennedy – alla Cina all’inizio del XV secolo. Aveva tutte le tecnologie necessarie per dare il via a un processo di industrializzazione: la fornace per fare il metallo, la polvere da sparo e il cannone per la guerra, la carta e le lettere mobili per stampare, l’aratro di ferro e altri strumenti per aumentare la produzione agricola, la capacità di perforare per trovare il gas naturale. Inoltre conosceva il sistema decimale, i numeri negativi e il concetto del numero zero che, dal punto di vista del pensiero matematico, proiettava il popolo cinese ben oltre gli europei. Le armate cinesi – che contavano fino a 28.000 uomini – esplorarono l’Oceano Indiano con navi quattro volte più grandi di quelle di Colombo. E quelle stesse armate giunsero fino in Italia, quando l’imperatore decise che quella esplorazione era inutile e le richiamò in Cina. Le conquiste territoriali, lo sviluppo commerciale e la rivoluzione industriale semplicemente non avvennero. I cinesi rifiutarono e alla fine dimenticarono le tecnologie che avrebbero potuto dar loro il dominio del mondo di allora […]. Un altro esempio di «gran rifiuto» è quello dell’Islam, anch’esso una fucina scientifica, che ignorò completamente la rivoluzione scientifica e industriale in Europa2.
Da che cosa furono determinati questi «grandi rifiuti»? Quali furono gli ostacoli che impedirono alla Cina, al mondo arabo e a tante altre progredite civiltà della terra di dare l’avvio ad un rapido processo di innovazione tecnologica seguito da una vera e propria rivoluzione scientifica? Queste domande, riproposte ora da Rodney Stark e da Kathleen Kennedy, per quanto siano di cruciale importanza, non brillano certo per originalità. Già Max Weber aveva magistralmente avanzato simili interrogativi:
quali concatenazioni di circostanza – si era chiesto Weber agli inizi del Novecento – ha fatto sì che proprio sul terreno dell’Occidente, e soltanto qui, comparissero fenomeni di civiltà che tuttavia si svolgevano secondo una direzione di significato e validità universali (almeno secondo l’opinione tra noi diffusa)? Solo in Occidente la «scienza» ha raggiunto, nel suo sviluppo, quello stadio a cui, oggi, riconosciamo «validità». Anche altrove – soprattutto in India, in Cina, a Babilonia, in Egitto – ci sono state conoscenze empiriche, riflessioni sui problemi del mondo e della vita, e anche una sapienza teologica profondissima (sebbene il pieno sviluppo di una teologia sistematica sia proprio del cristianesimo influenzato dal pensiero ellenistico – spunti in questo senso si trovano solo nell’Islam e in alcune sette indiane) –, ci sono stati un sapere e un’osservazione estremamente raffinati. Ma nell’astronomia babilonese e a ogni altra astronomia mancava quella base matematica che le avrebbero dato soltanto i greci: all’assenza che rende tanto più sorprendente lo sviluppo che la conoscenza degli astri raggiunse specialmente in Babilonia. Alla geometria indiana mancò la «dimostrazione» razionale: nuovamente un prodotto dello spirito ellenico, che fu anche il primo a creare la meccanica e la fisica in generale. Estremamente evolute sul piano dell’osservazione, le scienze indiane della natura mancavano dell’esperimento razionale (dopo spunti e conati dell’antichità classica, essenzialmente un prodotto del Rinascimento), e del laboratorio moderno; e quindi la medicina, che specialmente in India raggiunse un alto livello empirico e tecnico, non poteva disporre di una base biologica e, in particolare, biochimica. Una chimica razionale è assente in tutte le aree culturali, fuorché in Occidente3.
Le considerazioni di Weber indicano chiaramente a quale livello d’importanza si collochi, nell’ambito dell’evoluzione storica, la questione della formazione della scienza moderna: perché il moderno paradigma sperimentale è nato e cresciuto nell’Occidente cristiano e non altrove?
Ovviamente, declinata secondo un ampio spettro di prospettive, questa problematica si è trovata già da lungo tempo al centro di ricerche storiche ed epistemologiche interessate a scoprire i concreti meccanismi d’azione attraverso cui le dinamiche culturali hanno prodotto l’epocale rivoluzione scientifica del Seicento. Si tratta infatti di una problematica non facilmente eludibile, perché la nascita della moderna scienza sperimentale rappresenta uno degli eventi più rilevanti dell’intera evoluzione culturale: una svolta di portata così vasta da risultare ancora oggi decisiva per la stessa costruzione del futuro dell’umanità. Non a caso gli storici dell’evoluzione culturale hanno sempre rimarcato la straordinaria importanza di questa svolta rivoluzionaria. Paradigmatiche, a questo riguardo, restano le parole con cui Teilhard de Chardin aveva sottolineato il significato epocale insito nella nascita della scienza moderna: «Qualcosa di enorme è nato nell’Universo, con le nostre scoperte e con i nostri metodi di ricerca [scientifici]. Qualcosa, ne sono convinto, che non si arresterà mai più»4.
Senza alcun dubbio la rivoluzione scientifica, secondo Herbert Batterfield, non può essere sottovalutata,
dal momento che […] essa supera per importanza ogni avvenimento dal sorgere del Cristianesimo e riduce il Rinascimento e la Riforma al livello di semplici episodi, semplici spostamenti interni entro il sistema della Cristianità medioevale. Dal momento che la rivoluzione scientifica cambiò il carattere delle abituali operazioni mentali degli uomini anche nei riguardi delle scienze non materiali, trasformando l’intero diagramma dell’universo fisico e la struttura della stessa vita umana, essa appare così chiaramente come la vera origine del mondo moderno e della moderna mentalità5.
D’altra parte, non occorse molto tempo per avere solide conferme della forza trasformatrice di questo evento rivoluzionario. Ben presto quasi tutti si resero conto «che con la scienza si può cambiare il mondo anche più che con la politica, la filosofia o la letteratura»6; che con la scienza sperimentale l’uomo si era dotato di un forza di cambiamento che in termini di efficacia operativa non aveva precedenti nella storia della civiltà.
Quanto più, nel suo rapido sviluppo, la scienza mostrava la sua poderosa forza d’urto e di cambiamento, tanto più la «grande questione dell’origine della scienza moderna»7 diventava la questione centrale di tutti gli storici delle idee. Joseph Needham, ad esempio, era stato spinto a ricostruire minuziosamente la storia della civiltà cinese al solo scopo di fornire una risposta soddisfacente alla seguente domanda di fondo: come mai la scienza sperimentale era apparsa in Europa mentre molte delle invenzioni tecniche, ritenute da Francesco Bacone decisive per l’avvio di un nuovo sapere scientifico, erano già state fatte in Cina?8
Data la frequente ricorrenza di simili interrogativi, va subito precisato che le invenzioni della bussola, della stampa o della polvere da sparo, contrariamente alle supposizioni di Bacone e dei suoi attuali epigoni, non esercitarono, né in Cina né altrove, nessuna forza propulsiva sufficiente ad innescare una vera e propria rivoluzione scientifica, analoga a quella che si sviluppò in Europa nel Cinque-Seicento. L’evidenza storica, vagliata alla luce delle più raffinate teorie epistemologiche, offre del resto solide conferme alla tesi di Max Scheler, secondo cui la scienza moderna
non nasce da induzioni occasionali, i cui risultati vengano poi analogicamente trasferiti ad altri settori della realtà, né altrettanto nasce da occasionali problemi tecnici, per quanto grande sia l’importanza che questi problemi possono avere, specialmente alle origini della nuova immagine del mondo9.
La nuova scienza della natura presuppone infatti
un nuovo sentimento della natura: una nuova valutazione della natura. Questa sorgente emozionale – sottolinea Scheler – ha luogo nei rinascimenti europei, cominciando con il rinascimento, ancora del tutto cristiano, del movimento francescano e dei suoi numerosi germogli in Europa, movimento che poi si è sempre più secolarizzato10.
Sicuramente, lo sviluppo della moderna metodologia sperimentale è la risultante di una complessa dinamica multifattoriale. Ma tutti i molteplici fattori coinvolti in questa dinamica non avrebbero potuto cooperare con una una sinergia tale da generare la nuova scienza, se non fossero stati incanalati nell’alveo dei processi di formazione di una nuova concezione della natura generati dal creazionismo ebraico-cristiano, magistralmente declinato dal pensiero francescano. Non va mai dimenticato, come ha sottolineato Merleau-Ponty, che «ad aver provocato il cambiamento dell’idea di Natura non sono state le scoperte scientifiche. È invece il cambiamento dell’idea di Natura ad aver permesso tali scoperte»11. Più in generale: non è stata la scienza moderna a provocare il cambiamento dell’idea di natura, ma è stata piuttosto la formazione di una nuova idea di natura a provocare la nascita della moderna scienza sperimentale. La tesi che sinteticamente intendo qui ribadire è che il cristianesimo, e in modo particolare l’interpretazione trinitaria della creazione del mondo – sedimentata in una metaforica del «libro della natura» magistralmente declinata dal «Rinascimento francescano» – sono state delle poderose forze di cambiamento che, assimilando la natura ad uno stupendo prodotto d’arte, ad un artefatto, hanno predisposto le condizioni di possibilità per lo sviluppo della tecnica e del moderno paradigma sperimentale.
Alla luce di questa tesi apparirà altresì chiaro che le cause che hanno impedito la nascita e lo sviluppo di tale paradigma nella «supertecnologica» Cina del XV secolo e nel colto mondo islamico sono da rintracciare non tanto nelle condizioni tecnologiche o nell’arretratezza delle strutture politico-sociali dell’antica civiltà cinese o di quella islamica, quanto nelle loro concezioni del mondo. Un’idea di natura, come quella cinese, dominata da forze cosmiche di tipo qualitativo, non poteva certo favorire la nascita di una ricerca sperimentale delle leggi fisiche:
Non è – puntualizza Needham – che per i cinesi non vi fosse in natura un ordine alcuno, ma piuttosto era loro opinione che non si trattasse di un ordine stabilito da un essere individuale razionale; pertanto mancava totalmente la convinzione che esseri individuali razionali sarebbero stati in grado di compitare nelle loro lingue terrestri inferiori il codice divino delle leggi da lui precedentemente decretate. I taoisti, certo, avrebbero disprezzato tale idea perché troppo ingenua rispetto alla sottigliezza e alla complessità dell’universo così c...

Table of contents

  1. Premessa
  2. I Parte
  3. L’epistemologia contemporanea: tra crisi dei vecchi ideali e nuove forme del soggetto conoscente
  4. Epistemologia e persona (ancora una volta)
  5. Note sulla nozione di ‘individualità’ in Canguilhem
  6. Teorie realiste dell’istanziazione
  7. La letteratura francescana del liber naturae. Il mondo come artefatto
  8. Grandezza intensiva, realtà, oggettività.Kant e la fisica moderna nella lettura di Luigi Scaravelli
  9. Il soggetto e il suo fantasma
  10. «Boys don’t cry»: note a margine del concetto di soggettività performativa in Judith Butler
  11. II Parte
  12. Appunti su un corso inedito del 1908-1909. Martinetti, Fichte e il vizio della forma
  13. La fabbrica di fenomeni della fisica contemporanea: sull’esperienza scientifica come ontogenesi
  14. Gaston Bachelard razionalista critico. La sordità della materia e il materialismo razionale
  15. Metodo scientifico e razionalismo moderno
  16. Un approccio composizionale alla descrizione di sistemi complessi a rete
  17. Nel labirinto del pensiero. Leopardi, eccentrico razionalista del suo tempo
  18. L’epistemologia di Kant alla luce della disamina trascendentale della materia
  19. III Parte
  20. Come intendere una società della conoscenza
  21. Grammatica, significato e cognizione
  22. Biomedical Research and Manipulative Risk*
  23. La bioetica entro una prospettiva di tipo hegeliano
  24. Essenza, esperienza, prassi, conflitto.Un pragmatismo critico per la filosofia (e sociologia) della tecnica?
  25. Appercezione e pensiero. Note su dottrina della conoscenza e filosofia dello spirito in Hegel
  26. Fatti e valori nel pensiero di Hilary Putnam: questioni per le scienze sociali
  27. IV Parte
  28. Conoscenza, ozio, lavoro
  29. Nuove configurazioni dell’umano nella società della conoscenza
  30. Dall’empirismo all’umanizzazione della scienza
  31. Sulla genesi della monadologia sociale: Gabriel Tarde e Georg Simmel
  32. L’unione della mente e del corpo.Democrito, Spinoza, La Mettrie alla luce della neuropsicoanalisi
  33. L’idea della Nuova Atlantide di Bacone.Un’anticipazione della società della conoscenza?