Il conflitto di giurisdizione tra Italia e India nel caso Enrica Lexie: quale ruolo per il diritto internazionale?
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Il conflitto di giurisdizione tra Italia e India nel caso Enrica Lexie: quale ruolo per il diritto internazionale?

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Il volume affronta il caso Enrica Lexie dalla prospettiva del diritto internazionale prendendo in esame le questioni giuridiche che ne hanno dominato il dibattito: la fondatezza della giurisdizione penale dell'India rispetto al fatto contestato, l'immunità funzionale per gli organi di Stato stranieri operanti in veste ufficiale. Al vaglio è l'applicabilità al caso marò della normativa pattizia e del diritto consuetudinario esistenti. Si giunge a considerare l'ipotesi di giurisdizione concorrente tra India e Italia, mentre non sembra rinvenibile alcun obbligo internazionale che imponga al giudice di New Delhi di riconoscersi incompetente. Esigenze di garanzia di fondamentali diritti umani dei due marò potevano invece costituire un valido motivo per negarne il ritorno in India allo scadere del permesso speciale. Giulia Mannucci, dopo il diploma in lingue moderne, intraprende il percorso universitario in Studi Internazionali e, nel 2013, consegue la Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali dopo un periodo di studi in Spagna e un tirocinio formativo a Roma presso il UN-World Food Programme. Recentemente ha svolto un corso di alta formazione per osservatori elettorali di breve periodo presso la Scuola Superiore Sant'Anna.

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Information

Topic
Law
Subtopic
Criminal Law
Index
Law
CAPITOLO I
SULLA COMPETENZA GIURISDIZIONALE
RISPETTO AL FATTO CONTESTATO
In questo primo capitolo ci si interroga sulla fondatezza della competenza giurisdizionale indiana sui fatti dell’Enrica Lexie ai sensi del diritto internazionale odierno, generale e pattizio. Il percorso d’analisi giuridica è strutturato in due parti: una parte teorica, in cui si prendono in esame gli istituti di diritto internazionale rilevanti, il loro contenuto, i precedenti giurisprudenziali che ne hanno dato applicazione, nonché la loro rintracciabilità nell’odierno diritto internazionale marittimo; e una seconda parte, in cui si esamina l’applicabilità di quegli stessi principi al caso concreto dell’Enrica Lexie. Infine, si analizza se e in che modo la Corte Suprema indiana vi abbia fatto ricorso nella sua sentenza del gennaio 2013.
1.1 La spartizione del mare secondo il diritto internazionale:
una necessaria premessa
Ai fini di una maggior chiarezza espositiva, e per la loro rilevanza nel corso della trattazione, ci pare opportuno richiamare a titolo di premessa alcuni concetti base circa la disciplina internazionale degli spazi marittimi, così come recepita nella Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS) firmata a Montego Bay nel 19821; convenzione di cui sia Italia che India sono Parti contraenti2.
Ai sensi del diritto internazionale lo spazio marittimo è ripartito in zone a ciascuna delle quali è ricollegata una diversa estensione e portata dei poteri statali esercitabili al suo interno. La prima area di mare che si incontra dalla linea di costa è il cosiddetto ‘Mare Territoriale’. Il limite esterno della sua estensione si è assestato, nel corso del tempo, a un massimo di 12 miglia marine dalla linea di base costiera (art. 3 UNCLOS). All’interno di tale zona lo Stato rivierasco vanta una sovranità piena, sostanzialmente equiparabile a quella che esercita sul proprio territorio nazionale, salvo alcune attenuazioni tra cui l’obbligo di accordare il diritto di passaggio inoffensivo alle navi straniere in transito nelle sue acque (art. 17 UNCLOS). L’area marittima adiacente al mare territoriale è la ‘Zona Contigua’. La sua ampiezza massima è fissata a 24 miglia marine dalla linea di base da cui si misura l’estensione del Mare Territoriale (art. 33). All’interno di tale zona lo Stato rivierasco può esercitare a titolo esclusivo poteri di controllo per finalità tassativamente elencate: la prevenzione di violazioni delle proprie leggi e regolamenti in materia doganale, fiscale, sanitaria e d’immigrazione; la punizione di violazioni delle leggi e regolamenti di cui sopra, commesse nel proprio territorio o Mare Territoriale (cd. diritto di hot pursuit).
La Zona Contigua tuttavia non è una zona autonoma: fa parte delle acque internazionali3 o, nel caso in cui lo Stato costiero l’abbia istituita, della sua Zona Economica Esclusiva (ZEE). Quest’ultima si estende oltre il limite esterno della Zona Contigua e fino a un massimo di 200 miglia marittime dalla linea di base costiera (art. 57 UNCLOS). Si tratta di una zona di mare sottoposta a un regime specifico – potremmo definirlo ‘ibrido’ – in quanto condivide principi caratteristici sia del regime giuridico applicato al Mare Territoriale che di quello proprio delle acque internazionali (alto mare)4. Così come stabilito per l’alto mare, infatti, sulla ZEE nessuno Stato può rivendicare la piena sovranità ma, in virtù del maggiore rilievo che gli interessi dello Stato costiero hanno rispetto alle risorse e a certe attività compiute in quest’area, a esso il diritto internazionale riconosce alcuni diritti esclusivi di sovranità. Tali poteri sovrani hanno tuttavia un’estensione limitata ratione materiae. Le attività a cui si applicano sono infatti tassativamente indicate dalla Convenzione – art. 56(1a) – e hanno a oggetto l’esplorazione, lo sfruttamento, la conservazione e gestione delle risorse naturali presenti nel mare, suolo e sottosuolo marino, per finalità economiche e scientifiche5.
In relazione all’esercizio di questi diritti sovrani la UNCLOS riconosce espressamente allo Stato costiero facoltà di giurisdizione – art. 56(1b) –, compresa l’adozione di misure coercitive (abbordaggio, ispezione, fermo) e la sottoposizione a procedimento giudiziario che risultino necessarie ad assicurare il rispetto delle proprie leggi e regolamenti adottati in conformità con l’UNCLOS – art. 73(1). Quanto agli altri Stati, all’interno della ZEE a essi è riconosciuta una serie di libertà (navigazione, sorvolo, posa di cavi sottomarini) e ulteriori utilizzi del mare riconosciuti legittimi dal diritto internazionale, art. 58(1). A conferma poi di una sorta di «applicazione residuale»6 del regime dell’Alto Mare alla Zona Economica Esclusiva (dunque anche alla Zona Contigua, che ne è parte), la Convenzione UNCLOS stabilisce all’art. 58(2) che le disposizioni della Parte VII della Convenzione – aventi a oggetto il regime giuridico dell’Alto Mare – si applichino alla ZEE purché compatibili con quelle a essa espressamente dedicate7.
Infine, per quanto riguarda l’Alto Mare, in esso tutti gli Stati godono di una libertà esercitabile alle condizioni stabilite dalla Convenzione UNCLOS e dalle altre norme di diritto internazionale rilevanti (art. 87). Coerentemente, (e come già notato) nessuno Stato – neanche quello rivierasco – può legittimamente rivendicare la sottoposizione alla propria piena sovranità di alcuna parte dell’Alto Mare (art. 89); mentre la regola generale, così come recepita nell’art. 92 UNCLOS, vuole che, salvo eccezioni specificamente previste dal diritto internazionale pattizio (inclusa la Convenzione), le navi operanti in acque internazionali sono sottoposte alla giurisdizione esclusiva dello Stato di cui battono bandiera (cosiddetta ‘legge della bandiera’). Sul contenuto e sulla portata di tale regola, centrale ai fini della nostra analisi, avremo modo di discutere nei successivi paragrafi.
1.2 Approccio teorico. La giurisdizione penale statale ai sensi
del diritto internazionale
1.2.1 Jurisdiction to prescribe e jurisdiction to enforce
Il concetto di giurisdizione da parte dello Stato nell’ambito del diritto penale non ha carattere unitario. Seguendo una prassi statale ampiamente consolidata, tanto la dottrina8 quanto la giurisprudenza internazionale9 identificano una fondamentale distinzione tra jurisdiction to prescribe (prescriptive jurisdiction) e jurisdiction to enforce (enforcement jurisdiction).
In base al diritto internazionale, la prima di esse – che alcuni autori alternativamente definiscono legislative jurisdiction10 – consiste nel potere di uno Stato di regolare determinate condotte e attribuire a esse conseguenze giuridiche in applicazione del proprio diritto penale (indifferente se con atto legislativo, o decreto dell’esecutivo, o comando giudiziale). Il secondo tipo di giurisdizione – variamente chiamata executive jurisdiction – si riferisce all’autorità dello Stato di mettere in atto azioni volte ad assicurare il rispetto e l’applicazione del proprio diritto, facendo ricorso ai propri organi di polizia, di governo o giudiziari. Tra questi atti rientrano l’investigazione, la perquisizione, il fermo, il sequestro, la detenzione.
In alternativa a questa distinzione binaria, alcuni autori propongono una classificazione in cui alle due categorie appena individuate se ne aggiunge una terza, la cosiddetta adjucative o judicial jurisdiction11. Con questa si intende la competenza delle corti di uno Stato a sottoporre una persona a procedimento giudiziario. La preferenza accordata alla versione binaria nella trattazione dei tipi di giurisdizione ha origine dalla considerazione che, in ambito penale, la giurisdizione giudiziaria non è altro che il derivato processuale della giurisdizione prescrittiva. Entrambe infatti sono riconducibili all’asserzione che una determinata norma penale sia applicabile alla condotta attinente; l’azione giudiziaria ne rappresenterebbe semplicemente il concreto esercizio. In quest’ottica perciò la distinzione risulta non necessaria12.
Occorre precisare tuttavia che esistono situazioni specifiche in cui giurisdizione prescrittiva e giudiziaria non risultano coincidenti. È il caso, ad esempio, in cui alle corti interne di uno Stato sia negata la giurisdizione giudiziaria su un soggetto accusato di violazione della legge penale statale, in quanto tale soggetto rivendichi con successo una qualche forma di immunità. In questa situazione, ciò che si verifica è uno scollamento tra l’ambito di applicazione della giurisdizione penale e il suo effettivo esercizio da parte delle corti interne13. Mentre infatti in tal caso la condotta penalmente rilevante sarebbe legittimamente regolata dal diritto penale di quello Stato (giurisdizione prescrittiva), in virtù dell’immunità, ai suoi tribunali interni è negato l’esercizio della giurisdizione giudiziaria.
Tornando alla distinzione binaria tra giurisdizione prescrittiva ed esecutiva14, occorre altresì precisare che dal punto di vista della legittimità del loro esercizio da parte statale, le due forme di giurisdizione sono indipendenti l’una dall’altra. Ciò significa che, rispetto a una determinata condotta, l’eventuale illegittimità della giurisdizione esecutiva da parte di uno Stato non ha alcuna implicazione sulla legittima applicabilità del suo diritto penale, e viceversa. L’esempio classico, riportato in più di un testo15, è quello delle autorità di polizia dello Stato A che arrestano, sul territorio dello Stato B e senza il suo consenso, un cittadino dello Stato A accusato di omicidio nello Stato A. Ciò che si verifica in questa ipotesi è un esercizio della giurisdizione esecutiva da parte dello Stato A oltre i limiti consentiti dal diritto internazionale, benché in base a questo lo Stato A ha piena autorità a regolare secondo il proprio diritto penale la condotta criminosa in questione16. Altra questione è che la rivendicazione da parte di uno Stato della applicabilità della propria legge penale a un certa condotta si manifesti sovente nel momento stesso in cui tenti di darvi esecuzione.
Esiste poi il caso, soprattutto per crimini di una certa gravità, in cui la possibilità effettiva per uno Stato di applicare il proprio diritto penale – nella specifica declinazione della sottoposizione dell’imputato a processo – venga sostanzialmente a dipendere dalla possibilità di esercizio della giurisdizione esecutiva, ossia la messa in custodia e detenzione del presunto autore del crimine17. In tale contesto in effetti le due forme di giurisdizione si intrecciano l’una con l’altra.
1.2.2 L’ambito applicativo della giurisdizione prescritti...

Table of contents

  1. Presentazione
  2. Introduzione
  3. Antefatto
  4. CAPITOLO I
  5. CAPITOLO II
  6. CAPITOLO III
  7. CONCLUSIONI
  8. Bibliografia
  9. Sitografia