Appunti di metrologia mercantile genovese: un contributo della documentazione aziendale Datini
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Un contributo della documentazione aziendale Datini

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Un contributo della documentazione aziendale Datini

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Questo lavoro prende le mosse da uno dei problemi più complessi che l'operatore economico del basso Medioevo doveva affrontare per svolgere le proprie attività, vale a dire la conoscenza aggiornata dei sistemi di pesi e misure in uso sui diversi mercati per impostare razionalmente le proprie strategie commerciali. L'analisi critica delle più note pratiche di mercatura e di una imponente mole di documenti dell'archivio aziendale del mercante pratese Francesco Datini (carteggio comune e specializzato, contabilità) ha consentito di precisare il sistema ponderale di Genova, osservatorio privilegiato, e i suoi rapporti con quelli di altri paesi in relazione economica, unitamente alla definizione, merce per merce, degli imballaggi utilizzati, con i relativi pesi e tare. Maria Giagnacovo insegna Storia economica presso l'Università del Molise. La sua attività di ricerca e le sue pubblicazioni, oltre alla ricostruzione dei modelli di consumo del ceto mercantile tardomedievale, sono dedicate all'analisi delle attività economiche e commerciali degli operatori italiani nel Mediterraneo medievale, con un'attenzione specifica alla realtà di Genova.

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Information

Capitolo IV
Gli imballaggi in Genova
4.1 Una questione complicata
Nel giugno del 1392, i soci di una compagnia mercantile di stanza a Perugia indirizzarono una risentita lettera all’azienda Datini di Genova, da pochi mesi in attività. Motivo del malumore era la leggerezza dimostrata dal personale del fondaco genovese nella scelta del contenitore più appropriato per una spedizione di spezie destinata a Perugia:
«Avete messo in chasse le speziarie; ci costa più che non pesa di vettura e di pasagi e gabelle. Volesi metterle in balle e mettervi cotone batuto intorno e venieno bene con poca spesa»1. Queste parole di rimprovero, che occupano appena alcune righe della lettera, testimoniano mirabilmente quanto sentito fosse il problema degli imballaggi dagli operatori economici di questi secoli. Alle unità di imballaggio erano infatti commisurati gli oneri fiscali e le tariffe di trasporto: perciò, oltre a non proteggere adeguatamente la merce, un involucro sbagliato poteva, come nel caso richiamato di sopra, comportare un sensibile aumento dei costi che un’azienda doveva sostenere per trasferirla da un mercato all’altro. In qualche circostanza, per risparmiare sul pagamento delle tariffe richieste dai dazieri, i mercanti non esitavano a disfare i precedenti imballaggi e a confezionarne di nuovi, che meglio si adattavano alle caratteristiche della merce in cammino e, soprattutto, grazie ai particolari accorgimenti con i quali erano realizzati, consentivano loro di rilasciare false dichiarazioni ai posti di dogana, certi di non essere smascherati. Così, una balla di turbitti e scamonea giunta a Pisa da Bologna, prima di proseguire il viaggio fino a Genova, viene disfatta e il suo contenuto, già diviso in sacchetti e scatole, sistemato «in una chassa ben achoncio, che non suoni, chon pagla chome se fosse vetriuolo», con la raccomandazione agli incaricati della spedizione di dichiarare che quella era «1 chassa di vetriuolo»2.
Muovendo dalla definizione forse troppo semplicistica di Antonio Ivan Pini, secondo il quale l’imballaggio è il «contenitore standard con forme, misure, capacità identiche in sede internazionale e realizzato in modo da agevolare al massimo le operazioni di carico e scarico della merce e il passaggio eventuale da un mezzo di trasporto all’altro»3, Luciana Frangioni ha dimostrato come, proprio nel contesto del grande commercio internazionale del tempo, la questione sia, invece, molto più complessa, essendo il sistema degli imballaggi caratterizzato da una notevole eterogeneità: unità di imballaggio menzionate con lo stesso nome nei documenti aziendali presentano sovente caratteristiche e pesi diversi da città a città, ancora più da merce a merce4. Assecondando queste differenze di imballaggi e pesi relativi, merce per merce, abbiamo perciò provato a ribaltare la prospettiva caratteristica delle pratiche di mercatura, prendendo in esame pesi e imballaggi usati in Genova, e non soltanto di Genova, perché i mercanti, sia locali sia forestieri attivi nella città, trasferivano nell’uso comune anche pesi, misure e imballaggi delle città di provenienza delle merci importate. Altro spinoso aspetto collegato alla faccenda degli imballaggi da considerare con attenzione è quello relativo ai loro pesi; ovvero il problema della determinazione, per ogni merce o prodotto, delle relative tare che proprio la documentazione aziendale può concorrere a stabilire in modo preciso lasciando parlare i protagonisti dell’agire economico. Sono, infatti, gli stessi mercanti a richiamare frequentemente, merce per merce, le tare in uso su una determinata piazza utili a una definizione pratica, concreta, e non ricavata da una pratica di mercatura5, del peso dell’imballaggio, cioè la tara ponderale, e a indicare le tare commerciali, cioè le diminuzioni di peso dovute al trasporto, alla presenza di scarti, di merci deteriorate oppure mal confezionate in quegli imballaggi.
Al tempo l’unità di imballaggio per eccellenza, alla quale spesso fanno riferimento precisi oneri fiscali e costi di trasporto, era la balla, costituita da una certa quantità di merce legata dentro tele, anche incerate, canovacci, panni grezzi, con più giri di spago o corde. Quando una spedizione di merce si muoveva lungo un itinerario misto ed erano perciò previste diverse operazioni di trasbordo da un mezzo di trasporto all’altro, terrestre, marittimo, per acque interne, le balle venivano di solito rinforzate con assicelle di legno in modo da assicurare una maggiore protezione del carico. Dando per scontata una variabilità ‘fisiologica’ dipendente dal diverso volume delle merci, la balla tendeva ad avere un peso più o meno stabile. Risultano infatti piuttosto assidui nel carteggio comune i reciproci richiami tra soci in affari a porre attenzione affinché, al momento della realizzazione delle balle, ci si assicurasse che esse non superassero un certo peso perché laddove fossero state troppo pesanti e ingombranti avrebbero fatto lievitare il costo degli oneri fiscali: «e chosterano d’inghordo sì sono grosse le balle»6, ammonisce non a caso un mercante. A questo aggravio economico si aggiungeva un altro inconveniente non meno trascurabile: balle ‘esagerate’, fuori peso e misura, avrebbero potuto incontrare grossi ostacoli nella prosecuzione del loro viaggio verso i mercati di destinazione. Più lettere accennano alle ricorrenti difficoltà incontrate dai corrispondenti di Francesco Datini sulla piazza di Genova per inoltrare in Provenza balle di merci diverse ricevute dalla Toscana, sfruttando il collegamento terrestre via Avigliana: i vetturali impegnati nel servizio di trasporto, infatti, più volte respingono balle di peso superiore alle 225 libbre, mettendo in serio imbarazzo i mercanti incaricati di curare questa fase della spedizione. Così, ad esempio, accade per una balla di merce ricevuta a Genova da Livorno per il successivo invio sul mercato di Avignone: «grande stento c’è suto al mandarlla – confessano i corrispondenti del pratese – perché pesa lib. 255 ed e’ la voglono di 200 e ’l più alto 225, altre volte le fate minori»7. Identico inconveniente si ripete per 2 balle di veli destinate alla piazza avignonese e, per questo motivo, da Genova si insiste con i toscani affinché pongano la massima cura nel confezionare balle che «non sieno più di lib. 200, insino 225 di qui, altrimenti non si posono mandare», raccomandando loro di «scemare» quelle già pronte risultate più pesanti8.
La balla andava a costituire, in coppia, la soma, cioè il carico possibile di un animale: erano poi diffusi e usati multipli e sottomultipli della balla, quali il ballone, la balletta e il balloncello. La balla definiva dunque il peso e la composizione della soma da 400 libbre (16 rubbi), da 440 libbre e da 500 libbre. Luciana Frangioni ha rilevato per l’area lombarda nella seconda metà...

Table of contents

  1. Introduzione
  2. Capitolo I
  3. Capitolo II
  4. Capitolo III
  5. Capitolo IV
  6. Bibliografia