CAPITOLO 1
GLI ANNI OTTANTA
1. Le pietre di Pantalica
Prima di entrare nel cuore dell’argomento, ‘gli anni de «l’Unità»’, è necessario esaminare attentamente lo scritto Le pietre di Pantalica (1988f), per più di una ragione. Prima di tutto, in testi quali il racconto eponimo e il Memoriale di Basilio Archita echeggia il rammarico – che si constata in qualche modo anche in altre opere del medesimo periodo, come Catarsi – relativo alla sparizione della «cavea» (cioè il pubblico delle opere letterarie, e alla trasformazione in massa della stragrande maggioranza degli italiani, ridotti, secondo Consolo, a «telestupefatti»). In secondo luogo, I linguaggi del bosco proietta una luce inconsueta sul rapporto con il padre, rapporto che condiziona quello di Consolo con Sciascia, il quale, a sua volta spiega perché Consolo non sciolga le riserve contro un proprio attivo impegno politico fino a dopo il 1992.
1.1 Comiso
Il 7 settembre 1985 «l’Unità» pubblica un racconto di Consolo, Comiso. Che io sappia questa è la prima volta che la sua firma appare sul quotidiano, all’epoca ancora l’organo del Partito comunista italiano. La firma di Consolo non ricomparirà sul giornale fino al 1989, e, come detto, diventerà una presenza frequente dopo il 1992. Prima di continuare sembra appropriato riassumere Comiso cosicché più avanti possa essere paragonato e messo a confronto con la rielaborazione non-narrativa dello stesso materiale nello scritto Vi racconto Pio La Torre, pubblicato quasi due decenni più tardi, nel 2008, sempre su «l’Unità».
Nel 1983, dopo aver assistito alla rappresentazione della sua traduzione di Ifigenia fra i Tauridi (1988f, 165), Consolo va a Comiso per osservare le proteste dei giovani pacifisti contro l’installazione di missili da terra telecomandati nell’aeroporto di quella città, al tempo la più grande base Nato dell’Europa meridionale. Non ci va come inviato de «L’Ora», ma con la precisa intenzione di osservare una pacifica manifestazione che, mentre l’osservava, sarebbe degenerata in violenti scontri iniziati dalla polizia. Eppure, l’inizio del racconto ricorda stranamente la rêverie con cui Verga introduce il suo primo racconto verista, Nedda (che Verga conclude scusandosi con i lettori per averli portati con sé in tali «peregrinazioni vagabonde dello spirito» [6]). In altre parole, si può da tale inizio ricavare l’impressione che Consolo venga a trovarsi sulla scena per puro caso. Sottolineo questo punto perché l’iniziale disagio di Consolo nello scrivere in prima persona somiglia molto a quello di Verga nel trattare una materia più adatta al focolare domestico che ad un salotto letterario. Quest’impressione, come vedremo, è confermata dall’incipit del racconto:
Io non so che voglia sia questa, ogni volta che torno in Sicilia, di volerla girare e girare, di percorrere ogni lato, ogni capo della costa, inoltrarmi all’interno, sostare in città e paesi, in villaggi e luoghi sperduti, rivedere vecchie persone, conoscerne nuove.
Una voglia, una smania che non mi lascia star fermo in un posto. Non so. Ma sospetto sia questo una sorta d’addio, un volerla vedere e toccare prima che uno dei due sparisca.
Fu così che quest’anno, girando, capitai nel paese di Comiso. Vi capitai al principio d’agosto, nei giorni in cui facevano il blocco davanti all’aeroporto dei Cruise i pacifisti (1988f, 175).
Come racconterà Consolo, passeggiando tra i manifestanti riuniti a Comiso, s’imbatte in un gruppo di giovani proveniente dalla sua città natale. Il suo istinto paterno non tarda a manifestarsi – offre infatti di comprar loro da mangiare e da bere – e fa emergere degli «astratti furori» di memoria vittoriniana: il suo primitivo bisogno di «espiazione» e «assoluzione» (un bisogno che resterà irrisolto almeno fino a dopo la morte di Sciascia, come si vedrà):
Mi risero come avrebbero riso a un padre o a uno zio ansioso. Ma era un modo forse il mio per dire ch’essi avevano colmato quel vuoto che mi teneva lontano da qui, avevano saldato qualcosa di rotto (1988f, 176).
Poi, contro uno sfondo di soldati in tenuta anti-sommossa, vengono intraprese delle difficili trattative tra il questore e i capigruppo. Durante un momento di calma, scrive Consolo, egli mantiene la sua promessa – «[…] corsi alla macchina e raggiunsi veloce il centro di Comiso» – di comprare panini e bibite per i giovani paesani (1988f, 179). Ritorna giusto in tempo per vedere la polizia che comincia a picchiare ed arrestare i manifestanti:
Sparavano intanto lacrimogeni, nel cielo si formavano nuvole. Inseguivano e picchiavano tutti, giovani e no, deputati, medici e infermieri, preti, giornalisti e fotografi. Sto impalato a guardare. E vidi – aggiunge – una donna bella scaraventata per terra e picchiata (1988f, 179).
L’identità della «donna bella» sarà rivelata solo in Vi racconto Pio La Torre. In ogni caso, la voce narrante di Comiso vede anche i suoi giovani amici «insanguinanti, pallidi, storditi», e inseguiti da «[…] una schiera di militi» correre nella sua direzione: «[…] raggiunsi di corsa la macchina».
Quando gli altri lo raggiungono, li lascia entrare nell’auto; poi parte velocemente: «[…] comprammo in paese alcool, garze, e tintura di iodio». «Dopo ore» arrivano altri due giovani paesani, Francesco e Grazia, i quali nel frattempo erano stati arrestati, schedati e rilasciati con l’obbligo di andarsene dal paese. Il consiglio della voce narrante ai giovani è di rassegnarsi e di tornare a casa: «ché tanto a Roma il governo era deciso a tener duro su Comiso» (1988f, 180).
1.2 Persone
Nel 1988 Consolo pubblica una seconda volta Comiso ne Le pietre di Pantalica, una raccolta di brevi racconti divisa in tre sezioni. Comiso è il secondo dei tre racconti che costituiscono l’ultima parte del volume, Eventi. Nella stessa sezione è preceduto da un altro racconto autobiografico, l’eponimo Le pietre di Pantalica, ed è seguito da Memoriale di Basilio Archita, una storia ispirata da un tragico evento del 1984 (un gruppo di africani clandestini che cerca di entrare in Europa viene scoperto su una nave da carico e buttato a mare nel Mediterraneo) e pubblicato per la prima volta l’anno seguente.
I linguaggi del bosco chiude la seconda parte del volume, intitolata Persone e dunque è immediatamente prima delle storie raccolte come Eventi. I linguaggi del bosco – come Comiso e il racconto eponimo – è un pezzo autobiografico scritto in prima persona. Ma anche se I linguaggi del bosco parla di Consolo a sei anni, il racconto non è incluso nella sezione Eventi, è invece incluso in Persone, un gruppo di racconti che – con la notevole eccezione de I linguaggi del bosco – racconta di quegli intellettuali siciliani che hanno avuto una considerevole influenza su di lui: Sciascia, Antonino Uccello, Ignazio Buttita e Piccolo. Queste storie non solo offrono una descrizione interessante di queste persone, ma, cosa molto più importante, permettono al lettore di osservare come Consolo veda se stesso e come si definisca rispetto ai quattro modelli che emula. Allo stesso modo, il centro de I linguaggi del bosco è il rapporto di Consolo con il padre; il suo contenuto tratta dell’influenza di Consolo padre sull’uomo che Vincenzo Consolo sarebbe diventato. Mi concentrerò ora su questi racconti perché, con Comiso, essi ci offrono un prologo necessario a ciò che seguirà.
Il primo capitolo di Persone è Le Chesterfield, l’unico racconto in terza persona di questa sezione. Consiste in un reverente ricordo di Sciascia all’età di trentatré anni, cioè subito dopo la pubblicazione di Cronache scolastiche nel 1955, prima che Sciascia si affermasse come importante voce letteraria e quando Consolo, di dodici anni più giovane di Sciascia, ancora «[…] non conoscev[a] personalmente […] e non osav[a] scrivergli» (1993d, 19). Sciascia non è mai menzionato per nome ne Le Chesterfield, piuttosto, gli si riferisce, quasi per antonomasia, come «l’uomo». I suoi «occhi neri e acuti» (97) sono il portale della sua personalità: «cultore della razionalità, del pensiero chiaro e ordinato, amante dell’ironia e del piacere dell’intelligenza…» (100). Queste caratteristiche isolano Sciascia da quelli tra cui vive: tutti affetti da «il male misterioso e endemico di questa sua terra» (100), la Sicilia, ovvero la fede nelle superstizioni mascherate da religione. Di fatto, una solitudine lo chiude «in un silenzio spesso» e lo cala «in una sconsolazione, in una malinconia senza rimedio» (101), Al contrario degli altri racconti di questa sezione, dove l’io è una presenza attiva, qui la voce è un’assenza, non piú che un semplice osservatore che si limita a registrare le azioni e le attività de «l’uomo».
Malophòros è il racconto in prima persona dei festeggiamenti della sera di Capodanno con il vecchio amico Ignazio Buttita e la sua famiglia, seguiti da una visita di gruppo alle vicine rovine di Selinunte. La casa di Icaro racconta di Antonino Uccello, il quale trasformò la sua abitazione nel reliquario di una cultura contadina morente. Il barone magico – come gli altri un racconto autobiografico – tratta del rapporto di Consolo con Lucio Piccolo. Com’è il caso di tutti gli altri scritti raccolti in Persone (con la possibile eccezione di Le Chesterfield) l’evocazione consoliana di Piccolo serve soprattutto come pretesto per parlare di sé, dell’effetto che Piccolo ha sul giovane Consolo. I pezzi del mosaico costituito da Persone permettono al lettore di ricostruire il quadro composito della personalità del Consolo adulto: l’importanza di Sciascia; la costante, lirica influenza di Piccolo; l’amore e l’interesse erudito di Consolo per il retaggio archeologico siciliano e per la cultura contadina dell’isola. I linguaggi del bosco, come detto, esamina l’infanzia di quel «glottologo sagace» (1998a, 83) ch...