La lingua italiana tra passato e futuro
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La lingua italiana tra passato e futuro

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Il libro disegna un breve profilo della storia linguistica italiana e affronta alcuni problemi attuali legati alla globalizzazione, ai valori del multilinguismo e all'esigenza di rifondare su nuove basi la politica linguistica italiana ed europea. L'italiano contemporaneo è un bene culturale particolarmente stratificato, nel quale si possono cogliere, accanto ai molti elementi nuovi, i segni evidenti e preziosi di un fortissimo legame con il passato. Nel panorama europeo, l'Italia di oggi si distingue, infatti, per l'accentuato multilinguismo e la lunga durata della lingua nazionale. Da una parte, alla straordinaria biodiversità animale e vegetale corrisponde nel nostro Paese una straordinaria diversità culturale e linguistica; dall'altra, tutti noi sentiamo che la lingua di Dante, Petrarca e Boccaccio ancora ci appartiene, e coincide nei tratti fondamentali con la nostra. Una simile ricchezza, particolarmente apprezzata all'estero (come dimostra la crescente domanda di italiano nel mondo), merita di essere maggiormente conosciuta dalle giovani generazioni, e inoltre tutelata e valorizzata con strumenti adeguati, a cominciare da un deciso ripensamento della politica linguistica nazionale. Nicoletta Maraschio. Ha svolto attività di insegnamento e di ricerca sia all'Università di Firenze, come professoressa ordinaria di Storia della lingua italiana, sia all'Accademia della Crusca, di cui dal 2008 al 2014 è stata presidente. I suoi studi riguardano temi e autori diversi lungo tutto l'arco della storia linguistica italiana: da Boccaccio, Leon Battista Alberti, Piero della Francesca, i trattati di fonetica cinquecenteschi, Salviati e il Vocabolario della Crusca, fino a Pirandello e Pratolini. Particolare attenzione ha dedicato all'evoluzione del sistema grafico e interpuntivo italiano dal Medioevo al Novecento. Si è molto occupata di politica linguistica e della lingua dei grandi mezzi di comunicazione del Novecento. Dirige insieme ad altri colleghi la collana "L'italiano in pubblico" (editore Cesati). Ha svolto attività di insegnamento all'estero presso università europee e americane. Nel 2011 è stata insignita dal Presidente della Repubblica dell'onorificenza di Grande Ufficiale della Repubblica; nel 2015 è stata nominata professoressa onoraria dell'Ateneo fiorentino. Tra le ultime pubblicazioni: Lingue e diritti. Le parole della discriminazione. Diritto e letteratura, Firenze, Accademia della Crusca, 2014, curato con Domenico De Martino e Giulia Stanchina e Città d'Italia. Dinamiche linguistiche postunitarie, Firenze, Accademia della Crusca, 2014, curato con Emanuele Banfi.

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Information

La lingua italiana tra passato e futuro
Nicoletta Maraschio
1. Premessa
Quando si parla di lingua italiana, ripercorrendone la storia secolare, tratteggiandone il quadro contemporaneo e presentando le molte questioni ancora irrisolte, si suscita per lo più grande interesse nei propri interlocutori, ma anche una sorta di stupore, quasi di meraviglia, perché ogni aspetto che riguarda la lingua materna sembra perfettamente conosciuto e assolutamente naturale. Ed è bello che sia così. Lo diceva già Benedetto Varchi, letterato e linguista fiorentino del Cinquecento:
Lingue natie, le quali noi chiamiamo proprie nostrali, sono quelle le quali naturalmente si favellano, cioè si imparano senza porvi alcuno studio e quasi non se ne accorgendo nel sentire favellare le balie, le madri, i padri e l’altre genti della contrada e quelle insomma le quali si suol dire che si succiano col latte e s’apprendono nella culla (Varchi, Hercolano: 647).
Tuttavia, neppure con le lingue materne tutto è semplice e naturale. Le lingue sono memoria e futuro. E se consideriamo l’italiano contemporaneo possiamo affermare che è un bene culturale particolarmente stratificato, nel quale coesistono, accanto alle molte novità e alle significative aperture verso il domani, i segni evidenti di uno straordinario legame con il passato. L’Italia linguistica in cui viviamo, poi, considerata nel suo insieme, è una realtà ancora più complessa, nella quale si riconoscono alcuni tratti peculiari. Tra essi due sono molto evidenti: l’accentuato multilinguismo e la lunga durata della lingua nazionale. Per quanto riguarda questo secondo aspetto, se ci guardiamo alle spalle, possiamo rilevare che la nostra lingua si riaggancia a quella codificata nel Cinquecento e, con un ulteriore salto di due secoli, si collega al fiorentino trecentesco. Tale estensione cronologica, dal Medioevo alla contemporaneità, è estranea alle altre lingue europee, che conoscono invece una frattura netta tra la fase antica e quella moderna. Per quanto riguarda poi la coesistenza di più lingue, è stato notato che l’indice di diversità linguistica in Italia è particolarmente elevato; esso oggi è pari allo 0,59 ed è «superiore a quello della quadrilingue Svizzera (0,45), di Austria e Spagna (0,44), doppio rispetto a Turchia (0,28), Russia e Francia (0,27) e triplo rispetto alla Germania (0,19)» (De Mauro 2011: 16).
Come tutte le lingue anche l’italiano, nel suo attuale assetto strutturale e sociolinguistico, deriva da un lungo processo evolutivo, che ne ha interessato lo sviluppo ‘interno’ (a livello fono-morfologico, grafico, sintattico e lessicale). Ed è stato condizionato da un intreccio particolarmente complesso di fattori esterni di tipo politico, sociale e culturale.
Il nostro italiano è per molti aspetti differente da quello cinquecentesco e tanto più dal fiorentino trecentesco, da cui pure in gran parte dipende. Non potrebbe essere diversamente. Sono radicalmente cambiati i modi della convivenza civile, il sistema dei valori e dei poteri dominanti, i rapporti tra le numerose lingue presenti sul nostro territorio (volgari/dialetti, lingue di minoranza, lingue straniere portate dalle potenze europee che a lungo hanno governato vaste aree del paese) e quelli con le lingue esterne (francese e inglese) che, dopo il latino, si sono alternate in Europa come superlingue dominanti, comunicativamente e culturalmente.
Di queste trasformazioni l’italiano presenta tracce evidenti in primo luogo nel lessico. Moltissime parole sono morte. Vittorio Coletti (2012) parla di «museo di parole perdute» e il Grande Dizionario Italiano dell’uso, curato da De Mauro (GRADIT), registra ben 12.506 lemmi obsoleti, appartenenti a ogni parte del discorso (da conciossiacosaché ad allotta, ‘allora’, da ampioso a dismontare, fino ai molti sostantivi astratti, come ad esempio quelli in -ura e in -anza: abbellitura e ammaestranza). Altre parole hanno cambiato radicalmente significato; ad esempio, particolarmente importanti sono i nuovi significati assunti, dopo l’Illuminismo e la Rivoluzione francese, da parole da tempo attestate in italiano, come costituzione, libertà, nazione. Altre ancora sono nate in secoli più vicini a noi (dal galileiano canocchiale all’ottocentesco fiammifero) e moltissime nel Novecento. Tutto nuovo ad esempio è il lessico informatico, fatto di risemantizzazioni di parole italiane esistenti – sito, navigare, scaricare – o di anglismi/internazionalismi non adattati – computer, e-mail, mouse, file, software.
Anche la sintassi è cambiata, in particolare per quanto riguarda il normale ordine delle parole nella frase ( «Levossi questa femmina e aiutollo» > ‘questa femmina si levò e lo aiutò’, Novellino, 38, r. 19, da Salvi, Renzi 2010: I, 57), o ancora per una «presenza di pronomi soggetto più estesa che in italiano moderno», così in Brunetto Latini si legge: «E certo quando tu il vuoli fare docile, conviene che tu insieme lo facci attento» (Salvi, Renzi 2010: I, 43).
È andato semplificandosi il sistema morfologico, in particolare quello dei pronomi personali: della serie ei, eglino, elleno, egli, ancora largamente utilizzata nell’Ottocento, solo egli continua a vivere, per altro fortemente minoritario nell’uso rispetto a lui, mentre ella ha già ceduto a lei. Analogamente per quanto riguarda i modi e i tempi verbali; se oggi sta decadendo il passato remoto rispetto al passato prossimo e anche il congiuntivo pare in crisi, già nel Cinquecento non era più usato il trapassato remoto nella frase principale per indicare l’immediatezza e la velocità dell’azione («e in breve […] l’ebbe condotto a sanità», Boccaccio, Dec. III, 9, 17). Si aggiunga che il nuovo e più stretto rapporto tra scritto e parlato che si è determinato nel Novecento sta provocando diversi cambiamenti morfosintattici. In particolare, ulteriori semplificazioni sono in corso in quell’italiano corrente che Sabatini ha definito dell’uso medio (ad esempio gli generalizzato per le e a loro; che polivalente: «il giorno che verrai, sarò felice […]», Sabatini 1985).
Eppure, nonostante questi e innumerevoli altri mutamenti che si sono verificati nel corso dei secoli e che si stanno verificando sotto i nostri occhi, oggi possiamo ancora leggere e capire la Divina Commedia, il Decameron e il Canzoniere di Petrarca. E, cosa più importante, sentiamo che la lingua di questi capolavori, al di là delle moltissime differenze, ci appartiene, è nostra. Non credo si tratti di un mito o di un’illusione, come alcuni studiosi pensano, altrimenti Roberto Benigni quando recita Dante in televisione o nelle piazze non avrebbe lo straordinario successo e record di ascolti che sempre raggiunge (Serianni 2015).
Se vogliamo interrogarci e avere qualche risposta plausibile circa le ragioni di una simile, inusuale, continuità e...

Table of contents

  1. Presentazione
  2. La lingua italiana tra passato e futuro
  3. Note bibliografiche