Squarci nell'avorio
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Squarci nell'avorio

Le università italiane e l'innovazione economica

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Squarci nell'avorio

Le università italiane e l'innovazione economica

About this book

L'università è a lungo apparsa come una torre d'avorio scarsamente integrata con il resto della società e, in particolare, con la sfera economica. Questa percezione contrasta però con i cambiamenti introdotti dagli atenei da quando hanno abbracciato una 'terza missione', quella del trasferimento delle conoscenze verso il sistema produttivo. Il volume cerca di fare chiarezza su questa funzione delle università, interrogandosi sulla diffusione di queste pratiche in Italia, sull'efficacia dei differenti canali di trasferimento e, più in generale, sul contributo che gli atenei giocano nella costruzione sociale dell'innovazione. Il testo, attraverso studi di caso e una lettura comparata dei sistemi nazionali dell'innovazione, apre dunque una finestra sull'interazione tra la ricerca pubblica, mondo delle imprese e governi, mostrando caratteristiche e difficoltà di relazioni difficili, specialmente in Italia. Alberto Gherardini, dottore di ricerca in sociologia, è titolare di una borsa post-doc presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali (DSPS) dell'Università di Firenze, dove ha insegnato Sociologia economica. I suoi principali interessi di ricerca riguardano la sociologia dell'innovazione e le politiche di sviluppo economico.

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Capitolo 1
Innovazione. Un concetto poliedrico
Nel momento in cui dici “azione”, anche se sembra che tutto cominci, in realtà tutto è già successo.
[Gianni Amelio]
1. Si fa presto a dire ‘innovazione’
La rivoluzione delle tecnologie della comunicazione che ha cambiato il mondo ottocentesco non ha un solo padre né un luogo o una data precisa di nascita. Come altre discontinuità socio-tecnologiche, quella sviluppatasi a cavallo tra i due secoli è stata il prodotto di interazioni a-spaziali e collaborazioni incrementali di scienziati amatori, scienziati di professione e tecnologi: il russo Pavel Schilling, gli inglesi William Cooke e Charles Wheatstone del King’s College, il tedesco Carl Gauss dell’Università di Göttingen, William Thomson dell’Università di Glasgow e, insieme a loro, gli americani Joseph Henry, Samuel Morse, Thomas Edison e Alexander Bell sono stati i principali interpreti della vibrante quarantennio che ha portato dal primo invio di corrente elettrica attraverso un cavo (1831) alla brevettazione del telefono (1876) (Friedel 2007: 300). La giustapposizione dei nomi di inventori non basta però a comprendere pienamente lo scarto tecnologico che ha dato gli albori alla prima globalizzazione economica, quella vittoriana. Le evoluzioni tecnologiche, così come i processi innovativi più semplici, sono infatti il frutto di una costruzione sociale (Trigilia 2007) comprensibile soltanto facendo ricorso a molteplici dimensioni di analisi – come quelle psicologiche, istituzionali e culturali. Nel caso specifico, gli inventori del telegrafo e del telefono si sono seduti sulle spalle dei giganti (Merton 1965), ovvero sugli avanzamenti teorici e pratici precedentemente acquisiti, come quelli di Alessandro Volta, per quanto riguarda l’accumulazione di elettricità, o di André-Marie Ampère, Michael Faraday e Georg Ohm per il funzionamento dei circuiti. In secondo luogo, l’affermarsi del sistema di telecomunicazione vittoriano è dipeso, oltre che dall’azione degli inventori indipendenti, anche dal contributo della cosiddetta scienza organizzata: sia nella versione dei laboratori di ricerca tecnologica privata, come quelli che Edison fondò a Menlo Park e in cui, anche grazie agli studi sui telegrafi e telefoni, venne inventata la prima lampadina incandescente commerciabile; sia nei laboratori universitari, come quelli dell’Università di Glasgow in cui, su indirizzo di William Thomson, si svilupparono conoscenze necessarie per la posatura del primo cavo sottomarino transatlantico, finanziato dalla Atlantic Telegraph Company1.
Anche i governi nazionali hanno avuto un ruolo di primo piano nella promozione dell’avanzamento tecnologico. Da un lato, la regolazione dello sfruttamento della proprietà intellettuale ha permesso, fin dall’Ottocento, di rendere appropriabili i risultati di ricerca tecnologica e scientifica, facilitando così l’industrializzazione delle invenzioni e la crescita monopolistica di alcuni conglomerati industriali (come la Western Union Telegraph Company). Dall’altro lato, lo stato ha finanziato la formazione di nuove conoscenze e la ricerca scientifica. Tra i molti esempi di contributo pubblico si può ricordare il finanziamento statale (grant) che aiutò Morse a sperimentare la comunicazione cifrata tra il Washington e Baltimora (1844). Da quest’ultimo punto di vista, il supporto governativo alla ricerca e allo sviluppo tecnologico è andato consolidandosi per tutto il XX secolo, specialmente in ambiti affini alla medicina e alla difesa (Friedel 2007; Mowery et al. 2004)2. Lo stesso presidente Eisenhower dedicò al tema una significativa parte del suo discorso di commiato al popolo americano del gennaio 1961:
Akin to, and largely responsible for the sweeping changes in our industrial-military posture, has been the technological revolution during recent decades. In this revolution, research has become central; it also becomes more formalized, complex, and costly. A steadily increasing share is conducted for, by, or at the direction of, the Federal government.
Today, the solitary inventor, tinkering in his shop, has been overshadowed by task forces of scientists in laboratories and testing fields. In the same fashion, the free university, historically the fountainhead of free ideas and scientific discovery, has experienced a revolution in the conduct of research. Partly because of the huge costs involved, a government contract becomes virtually a substitute for intellectual curiosity (Eisenhower 1961).
Tra le ricadute più rilevanti della spesa militare per la società contemporanea si annovera senz’altro lo sviluppo dell’informatica lungo tutta la traiettoria che va dalla costruzione di macchine elettromeccaniche, alla programmazione di macchine elettroniche fino alla miniaturizzazione tipica della microelettronica. In questo ambito, i finanziamenti pubblici allo sviluppo di prototipi sono stati decisivi. Nello specifico, il primo elaboratore a valvole termoioniche – il Colossus Mark I (1943) – è stato sviluppato da ricercatori inglesi a cui era stato chiesto di decriptare i codici di comunicazione militari tedeschi. Allo stesso modo, è dalla collaborazione tra il Laboratori di ricerca balistica dell’esercito americano e l’Università della Pennsylvania che nasce il primo computer totalmente elettronico (1945). Nel contesto della Guerra Fredda crescono invece le esigenze di accrescere la velocità di calcolo delle macchine, di rendere gli elaboratori sempre più piccoli e di far comunicare tra loro, in maniera veloce e sicura, le unità militari dispiegate sui diversi fronti globali. La commistione di queste priorità militari avrà ricadute rilevanti sullo sviluppo tecnologico: la richiesta di miniaturizzazione indurrà, in un primo momento, al passaggio dai fusibili ai transistor e, successivamente, ai microprocessori3. La necessità di nuove modalità di comunicazione reticolare condurrà invece al finanziamento di Arpanet, la prima rete tra basi militari americane, progenitore di internet (Friedel 2007: 503-525).
Infine, non deve essere sottovalutata la dimensione culturale della propensione/resistenza al cambiamento. L’accettazione della posatura di cavi elettrici per il passaggio di messaggi telegrafici da Londra a Slough da parte della Great Western Railway è generalmente ricondotta a un evento aneddotico di cronaca nera che, suscitando il clamore nella popolazione locale, ha alimentato la legittimazione dell’infrastruttura: si tratta dell’arresto dall’uxoricida John Tawell, scappato in treno da Slough e catturato a Londra grazie all’identikit inviato via telegrafo dalla polizia locale (1845). Si tratta di un processo di accettazione dell’innovazione che ne promuove la diffusione seguendo il classico schema di Rogers (2003), secondo cui la propagazione di nuove idee e pratiche è essenzialmente un processo sociale nel quale le informazioni che circolano sono soggettivamente percepite, e la generazione di significato dell’idea è il frutto graduale della costruzione sociale (ivi: 32). L’accettazione di un’innovazione è pertanto un processo di cambiamento sociale la cui velocità e penetrazione dipendono dalle caratteristiche della società, che si può dividere tra soggetti che resistono al cambiamento e altri che invece ne permettono la diffusione (ivi: 90). Il ruolo di cultura e istituzioni nella diffusione delle innovazioni è ben chiarito dall’esempio dal sapore antropologico che Rogers introduce nel suo ormai fondamentale testo sull’innovazione edito per la prima volta nel 1962. Si tratta del tentativo da parte del servizio sanitario nazionale peruviano di introdurre pratiche igieniche nei villaggi agricoli e, nello specifico, dello sforzo degli operatori socio-sanitari di convincere la popolazione locale alla bollitura dell’acqua potabile. Rogers riporta la storia dell’operatrice Nelida che, in due anni di attività, riesce a sensibilizzare soltanto undici casalinghe del villaggio costiero di Los Molinas. Il motivo di questa resistenza ha una duplice spiegazione di natura culturale: la prima è che nella tradizione locale le bevande ‘bollite’ sono bevute soltanto quando si è affetti da malattia e, di conseguenza, il suggerimento di bollire l’acqua richiama ai locali un comportamento ‘malato’; la seconda è che il livello di istruzione dei circa duemila abitanti del villaggio è così basso da impedire l’accettazione della teoria dei batteri: «nel mondo ci sono così tante rischi di cui preoccuparsi – come la povertà e la fame – ci manca solo che ci dobbiamo preoccupare di animaletti che non si possono vedere, sentire, toccare o annusare» (ivi: 43).
L’introduzione e il diffondersi delle innovazioni dipendono dunque da una molteplicità di attori (individuali e collettivi) e di tipi di fattori (culturali e istituzionali). Ciò vale sia per innovazioni semplici che per l’affermarsi di nuovi paradigmi tecnologici4. Anche questi ultimi, come per esempio l’affermarsi delle tecnologie della comunicazione dell’Ottocento, si strutturano infatti attraverso meccanismi sociali che ne facilitano l’evoluzione: le comunità tecnologiche maturano nel tempo cornici cognitive condivise e fattori normativi comuni, come i criteri per valutare il successo delle azioni o gli obiettivi per il miglioramento delle procedure (ivi: 67). Un esempio dell’affermarsi di orientamenti normativi che guidano un settore è quello della cosiddetta ‘legge’ di Moore per l’industria dei semiconduttori. Si tratta di una previsione formulata da Gordon Moore (1965), ricercatore e successivamente cofondatore della Intel, secondo la quale il numero di transistor applicabili su un chip si sarebbe potuto raddoppiare ogni due anni. Questo assunto si è imposto rapidamente come la frontiera da raggiungere per tutte le imprese che avessero voluto mantenere la leadership nel settore. La profezia auto-avverantesi di Moore ha pertanto generato gli effetti attesi: il numero dei transitor applicabili su una fetta di silicio è quasi raddoppiato ogni tre anni e, dal 1995 al 2003, il ritmo si è oltremodo accelerato attestandosi a un raddoppio ogni due anni5 (Brown, Linden 2009). In altre parole, la natura cumulativa e paradigmatica della conoscenza tecnologica fornisce delle strade per l’innovazione (Sahal 1985) o delle traiettorie tecnologiche (Dosi 1982) che incanalano l’evoluzione tecnologica.
Gli esempi riportati fino ad adesso mostrano che l’analisi dei processi innovativi, sia a livello macro (per esempio il cambiamento nel paradigma tecnologico-produttivo) sia a livello micro (per esempio l’analisi della singola innovazione), necessita un approccio sistemico che non si riduce alla dimensione psicologica dell’inventore, ma focalizza sul contesto relazionale, istituzionale e culturale in cui gli attori sono inseriti. È questa la visione dello stesso storico della tecnologia dell’Università del Maryland, Robert Friedel, il quale ritiene che la relazione tra la scienza e la tecnologia sia mediata da una molteplicità di fattori:
Time and again in the next hundred years this pattern of exploiting science was pursued to generate new capabilities. It is important to note, however, that the particular ways in which these new capabilities were developed and exploited were not determined by science at all, but by the complex combination of personal ambitions, social currents, markets, and politics that lay at the foundation of all important technological change (Friedel 2007: 516).
2. L’approccio sistemico all’innovazione: una convergenza multidisciplinare
Sul carattere sistemico del processo di innovazione convergono molte discipline delle scienze sociali – economiche, sociologiche, organizzative e psicologiche. Tra quelle piscologiche assume una certa rilevanza il contributo di Mihály Csíkszentmihályi che inquadra i processi creativi all’intersezione tra individuo, dominio e campo. Lo psicologo ungherese definisce dominio come l’influenza sul soggetto da parte del sistema simbolico cultura...

Table of contents

  1. Indice
  2. Prefazione
  3. Introduzione
  4. Capitolo 1
  5. Capitolo 2
  6. Capitolo 3
  7. Capitolo 4
  8. Capitolo 5
  9. Capitolo 6
  10. Bibliografia