Anna Franchi: l'indocile scrittura
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Anna Franchi: l'indocile scrittura

Passione civile e critica d'arte

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Anna Franchi: l'indocile scrittura

Passione civile e critica d'arte

About this book

Avanti il divorzio è indubbiamente un testo di fondamentale riferimento per la storia delle donne e dei diritti civili. Anna Franchi si batte insieme ai socialisti sia per la libertà di scelta che per il diritto al voto civile e politico, negato, ancora una volta, alle donne. I testi presentati rivendicano anche le lotte per il diritto al lavoro ed al giusto salario e presentano profili inediti di personalità che si sono battute, con poche speranze e molto coraggio. Anna Franchi è inoltre stata la prima donna che ha creduto nel movimento macchiaiolo: ne ha scritta la storia, ne ha conosciuti gli interpreti, ha cercato per loro un mercato che ne riconoscesse il valore. Importante l'amicizia con Giovanni Fattori e la corrispondenza con molti pittori: le lettere diventano specchio non soltanto delle loro intenzioni artistiche ma anche degli umori, delle relazioni, dei viaggi, dei successi e dei tanti momenti di tristezza che venivano confidati all'amica Anna.

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I Macchiaioli
È necessario partire dalla preziosissima raccolta delle carte Fedi1 per capire a fondo il ruolo avuto da Anna Franchi nel suo rapporto con i Macchiaioli ai quali, nel tempo, dedicò vari saggi. Le lettere, circa novanta, unite ad alcuni disegni presenti nella bella edizione curata da Cristina Palma, servirono come documenti per il suo primo libro su questa corrente2, per la biografia di Giovanni Fattori del 19103 e per l’ampio saggio sul movimento del 19454. Nel Fondo Franchi della Biblioteca Labronica di Livorno non resta segno degli accordi con l’Editore Alinari per la pubblicazione del 1902, Arte e artisti toscani, così come per il Giovanni Fattori del 19105, pubblicato in concomitanza con l’Esposizione retrospettiva su di lui promossa dalla fiorentina «Società delle Belle Arti»6. Il consigliere delegato della Garzanti, in una lettera del novembre 1942, faceva osservare che la Casa editrice, già depositaria del dattiloscritto I Macchiaioli toscani, «non poteva prendere responsabilità di fronte a deprecati rischi di guerra» per la conservazione, ma promette una futura pubblicazione. Uscito nel 1945, si rivelava molto simile al precedente Arte e artisti toscani del 1902 con varianti significative solo nell’introduzione e nelle biografie dedicate a Signorini e Fattori che verranno presentate invertite, rispetto all’ordine iniziale, lasciando così Fattori a occupare il primo posto. Manteneva invece la struttura bipartita che aveva distinto le biografie degli artisti del Caffè Michelangiolo da quelli che potevano definirsi seguaci o allievi.
Verso la fine degli anni Novanta Anna aveva già cominciato a pubblicare qualche breve articolo di informazione artistica, per la «Nazione», «La settimana», «La domenica fiorentina», «Il nuovo giornale», «La Lombardia», «Il Secolo XX» di Milano, «Il lavoro» di Genova e «Vita» di Roma, quasi sempre come corrispondente delle grandi esposizioni internazionali. A partire dal 1897 curava l’informazione sulle Biennali veneziane, in particolare sulla quinta e la sesta edizione del 1903 e del 1905, delle quali scriveva sul «Tempo». Fu a Parigi nel 1900 per la grande Esposizione. Nel 1883 a Firenze era già entrata in amicizia coi Macchiaioli7; suo marito, il compositore Ettore Martini, era vicino ai pittori Angelo e Ludovico Tommasi ed è nella loro casa di Bellariva che lei aveva conosciuto Silvestro Lega, «quel romagnolo un po’ sgarbato […] che tra un accenno di bestemmia e un brusco moto della mano, aveva l’arte di colorire con una pennellata un racconto». Il rapporto con i Macchiaioli fu di amicizia, di scambio culturale ma anche di intermediazione legata alle vendite molto difficili e per le quali la Franchi si prodigò avvicinando mercanti d’arte, galleristi e privati. Indubbiamente il ‘canale Alinari’ contribuì molto alla diffusione della pittura della ‘macchia’ ed alla fortuna di questa corrente di cui Anna, fin da subito, capì il valore; Matisse, parlando di lei con il giornalista livornese Milziade Torelli, afferma che gli amici Macchiaioli sono stati difesi e capiti soprattutto da lei, donna dal cognome impronunciabile per un francese: fu così che Anna divenne «Franscì»8 e si trasformò in una combattiva promotrice dei suoi amici pittori.
Ma il trasferimento da Livorno a Firenze nel 1896, la frequentazione e l’amicizia con Giovanni Fattori che aveva lo studio in via della Sapienza, oggi via Cesare Battisti, quelle sue dritte di colore che arrivano rapaci a sovvertire i riccioli e le pose di un’accademia già morta senza saperlo, colpiscono Anna che così riporta le esatte parole di un Fattori professore che dice agli allievi:
Volete il sole? Con quali mezzi? Con giallo o con bianco; volete il movimento dell’aria, o lasciare le forme delle cose e degli oggetti? Il tutto si ottiene con molto colore, mestichino, dita… Guerra a’ pennelli. Io amo il realismo. […] Le manifestazioni della natura sono immense, sono grandi, non sempre si presenta ricca di luce, non sempre si presenta triste, buia; gli animali, gli uomini, le piante, hanno una forma, un linguaggio, un sentimento9.
Non c’è quindi un ordine gerarchico: ogni essere vivente è un soggetto di studio realizzato in un colore che si fa materico, che si crea con le dita che impastano e poggiano sulla tela in un contatto fisico che può fare a meno dei pennelli. Bastano gli occhi, basta l’aria che circola senza essere bloccata dalla linea, dalla forma irrigidita: è la luce che muta, squillante, accecante o austera, ombrosa, negata. Rileggendo il progetto chiaro e lungimirante di Diego Martelli che sull’«Arte», già nel 1877 si oppone a una pittura di maniera che definisce «liscia, fredda, senz’anima e senza rilievo», ritroviamo un’arma e una bandiera nella macchia in opposizione alla forma perché «alla luce tutto risulta per colori e per chiaroscuro»10. La lezione veniva soprattutto dalla Francia e l’occhio attento di Zola così poteva dire di Manet: «Macchie più o meno chiare sopra un fondo più o meno grigio […] complesso di macchie esatte e delicate»11. Ma già da un quindicennio a Firenze, Giovanni Fattori, Giuseppe Abbati, Silvestro Lega, Telemaco Signorini e tutti i frequentatori del Caffè Michelangiolo di via Larga12 avevano decretato la nuova arte nel retrobottega del Marrocchi, il padrone (e per entrare ci voleva un permesso). Forse il primo ad averlo non fu un pittore ma un fornaio, un fornaio-cospiratore, quel Beppe Dolfi che faceva parte della Giovane Italia e che fu uno dei capi dell’opposizione ai Lorena e grande amico del Guerrazzi. Non mancavano tipi caratteristici come il Lachera, venditore di pere cotte, che raccontava novelle a imitazione del Lasca, il Miciulli, calzolaio burlone, e Orestino, il parrucchiere dei disperati che faceva credito a tutti e non incassava mai. Molti aneddoti che commentano la storia di quel Caffè e di quegli incontri si devono a Telemaco Signorini che in Caricaturisti e caricaturati13 parla di spirito «burchiellesco», e di intuizioni geniali, di aperture verso le novità che Serafino De Tivoli portava dalla Francia, invaghito di quell’ultimo modo di guardare gli oggetti, scolorati e sbiaditi dalla luce. Quella del Caffè fu una vita breve ma intensa: fu chiuso nel 1866 e uno spesso strato di calce ricoprì gli affreschi: «un trovatore» di Giovanni Fattori, la Disfida di Barletta dell’Ademollo e un «paesaggio» di Serafino De Tivoli14.
Ma la calce non coprì il movimento, anche se le vicende della vita di molti furono minori, immerse in un’atmosfera uggiosa di provincia, invischiate in quotidiane, strazianti miserie oscurate da una povertà sempre onorata ma persistente, fino alla vecchiaia. Scrive Fattori a Ferdinando Martini nel giugno 1887: «Arrivato a invecchiare nell’arte con l’aver lavorato al progresso di questa mi ritrovo avvilito e senza esser padrone di prendere un fiachere [sic] quando sono stanco»15. Costantemente ritorna in Fattori questa preoccupazione per una precarietà da cui non sembra uscire, anche se le confidenze sono riservate agli amici fidati come Diego Martelli cui confessa: «Sì caro Diego, sono qui solo che tutti dormono e che io in queste ore di silenzio che nelle ore della notte da la campagna, penso ai casi miei, penso come farò e come sarà la mia fine… 7000 lire di debiti»16. Lettera tragica, riportata da Anna nella biografia di Giovanni Fattori, quel Nanni che portava il cappello alla biritullera: biografia piena di ammirazione e di tenerezza e che ripercorre il girovagare del maestro da una richiesta di aiuto all’altra in un clima di umiliazione costante e di promesse non mantenute. In un tardo articolo del 1952 (settembre, «Nuova Antologia») lo vede ancora, nel ricordo, attraversare piano piazza San Marco con le mani dietro alla schiena mentre arricciava la «bazza». Il Signorini diceva di lui che era stato un birichino ma, commenta Anna «un uomo che mette un tesoro di amore in una tavolozza di quindici centimetri non può essere un birichino»; e in quel racconto della sua pittura c’era l’immensa desolazione delle campagne maremmane, il maestoso agglomerato degli animali guidati da un solo uomo a cavallo o le furiose ire del maestrale contro i pini della riva toscana.
Ritorna a dire Anna del «grande fanciullo», povero come Giobbe ma ricco, straricco di idee e di sogni:
Le sue figure, i suoi butteri, quelle battaglie, quelle riunioni di cavalli, di buoi, hanno un movimento visto ed osservato, non copiato, non è la mossa presa dall’istantanea […] ma è la mossa animata che sembra voglia continuare. Le sue macchiette, quei bozzetti sparsi nello studio, un cavallo, un soldato, un gruppo di capre, un buttero, sono altrettanti racconti cominciati, e tutto risveglia un’idea precisa, quasi che quel soldato, quel buttero, quel cavallo, fossero lì a significare qualche cosa che poi troveremo spiegata altrove17.
Anna ha capito di Fattori non solo la luce o la macchia ma il rapporto temporale tra l’oggetto e la rielaborazione visiva e pittorica, quell’immediatezza che in effetti è estranea ad un processo fotografico perché l’immagine va oltre e rompe la linea che la imprigiona nella folgorazione dell’occhio. Il bozzetto, la figura, non si esauriscono in se stessi ma divengono come annunci di un soggetto che deve compiersi, che non è risolto, di cui leggiamo solo le premesse. A distanza di tanti anni, quando i Macchiaioli da tempo dominano il mercato con quotazioni molto alte, Anna, ormai vecchia, scriverà conservando l’antico entusiasmo per l’amico di gioventù autore del «cavallo morto» (del 1903 e già presente nella collezione Mario Taragoni di Genova): «Ci sono solo un magro cavallo e un vecchio. Non esiste un albero, una casa [… ] la terra è brulla e in cielo avanza un temporale. Vastità di vuoto, profonda desolazione senza profusione di colori. Tutto si amalgama, il tremendo destino del proletario, il cavallo povero, proletario come il vecchio accasciato […] il tutto dominato da linee di terra bruna»18. Riguardando il quadro rimane, è vero, la solitudine di quel vecchio infagottato negli abiti sformati, la testa dalla barba bianca incassat...

Table of contents

  1. Premessa
  2. Parte prima
  3. La disobbedienza di Anna
  4. 1902
  5. Le battaglie
  6. Parte seconda
  7. I Macchiaioli
  8. Parte terza
  9. Vita di Anna Franchi
  10. Opere di Anna Franchi*
  11. Parte quarta
  12. Il voto
  13. Il divorzio
  14. Lo sciopero delle trecciaiole a Signa
  15. La biblioteca Marucelliana
  16. Album fotografico