Prefazione
Dieci anni dedicati al Medio Evo, dieci anni alla Rivoluzione. Per connettere questo grande insieme, ci resta da collocare tra queste due storie quella del Rinascimento e dell’età moderna.
Questo volume è il Rinascimento propriamente detto; il successivo, che sta per essere pubblicato, s’intitolerà la Riforma. Questi titoli ci esonerano dal dar loro un numero nella serie totale. Abbiamo soppresso, in genere, le citazioni dei libri a stampa che tutti hanno a disposizione. Non citeremo che i manoscritti. Siccome due lunghe storie hanno segnato il punto di partenza e lo scopo, procederemo nello spazio intermedio con passo molto più sicuro e spedito. Non potevamo tornare indietro, dalla Rivoluzione al Rinascimento, senza rivedere i nostri lavori sul Medio Evo, senza prendere in considerazione e valutare quelle opere pubblicate dopo la loro uscita.
Queste non hanno modificato per nulla quanto abbiamo scritto sul XIV e XV secolo (i voll. III-VIII). I dieci anni trascorsi non hanno scosso per niente quel lavoro, il primo dove i testi a stampa sono stati controllati sulle fonti manoscritte.
Quanto alle nostre origini, di cui il primo volume offre la storia, si sono aggiunte delle dotte ricerche che poco hanno cambiato a quanto avevamo scritto. Quel che abbiamo posto alla base di questa costruzione, è stato accolto dai nostri stimati concorrenti che, fiduciosi, vi hanno costruito sopra.
È al Medio Evo propriamente detto (i volumi II e III, dall’anno 1000 al 1300) che si riferiscono in genere le numerose pubblicazioni di fonti venute alla luce in questo intervallo. Esse ci hanno illuminato molto sui costumi di quei tempi, specie sull’arte gotica ecc. Non è nel nostro carattere sopprimere nulla di quanto si è scritto. Preferiamo dare nell’Introduzione che segue il pensiero più esatto che si ricava dalle fonti. Quanto scrivemmo allora è vero, come l’ideale che il Medio Evo si pose. E quel che offriamo qui è la sua realtà denunciata dal Medio Evo stesso. A conti fatti, il risultato è poco differente. Allora (eravamo nel 1833) quando la passione per l’arte del Medio Evo ci aveva reso meno severi verso quel sistema in generale, tuttavia noi dichiarammo che il suo principio era pur sempre soggetto alla legge universale di ogni vita, che doveva passare, come tutti noi (uomini, popoli e religioni) attraverso l’utile purificazione della morte. È proprio un gran male morire? È a questo prezzo che si rinasce in quel che ci fu di meglio.
Del resto questo libro non è stato scritto per commiserare i morenti, è un appello alle forze viventi.
Penso che se l’Antichità credette che l’uomo facesse lui stesso il proprio destino (fabrum suae quemque esse fortunae), il nostro tempo, al contrario, turbato dalle grandi potenze collettive create, s’immagina che l’individuo sia troppo debole per contrastarle. Quei tempi credettero nell’uomo mentre noi crediamo nell’individuo.
Il risultato è questo fatto spiacevole: i nostri progressi si rivolgono contro di noi. L’enormità stessa della nostra opera, quanto più c’innalziamo, tanto più essa ci avvilisce e ci scoraggia. Di fronte a questa piramide, ci scopriamo impercettibili, non riusciamo a vedere più noi stessi. Eppure, chi l’ha creata questa piramide se non noi stessi?
L’industria che abbiamo creato ieri ci sembra già il nostro ostacolo, la nostra fatalità.
Che altro è la storia se non l’intelligenza della vita, è lei che dovrebbe vivificare e invece ci ha illanguidito facendoci credere che il tempo sia tutto e la volontà poca cosa.
Abbiamo evocato la storia ed eccola dovunque: ne siamo assediati, soffocati, schiacciati; camminiamo tutti curvi sotto questo fardello, non respiriamo più, non inventiamo più: è il passato che uccide l’avvenire. Da dove deriva che l’arte sia morta (salvo qualche rara eccezione)? È la storia che l’ha uccisa.
È proprio in nome della storia, in nome della vita che noi protestiamo. La storia non ha molto a che vedere con questo cumulo di pietre. La storia è quella dell’anima e del pensiero originale, dell’iniziativa feconda, dell’eroismo: un eroismo d’azione, l’eroismo della creazione.
La storia insegna che un’anima pesa infinitamente più di un regno, di un impero, di un sistema di Stati; talvolta più del genere umano.
Con quale diritto? Col diritto di Lutero che con un no detto al papa, alla Chiesa, all’impero, trascinò dietro di sè metà dell’Europa.
Col diritto di Cristoforo Colombo che smentisce Roma e i secoli, i Concili, la tradizione.
Col diritto di Copernico che, contro i dotti e i popoli, disprezzando insieme l’istinto e la scienza, i sensi stessi e la testimonianza degli occhi, subordinò l’osservazione alla Ragione e da solo vinse l’umanità.
Su questa solida pietra si erge il secolo XVI.
Parigi, 15 gennaio 1855
Introduzione
1. Significato e valore del Rinascimento
Agli amici del Bello l’amabile parola di Rinascimento non evoca altro che il sopraggiungere di un’arte nuova e il libero volo della fantasia. Per l’erudito è il rinnovamento degli studi dell’Antichità; per i giuristi, è la luce che comincia a risplendere sul caos discorde delle nostre vecchie costumanze. Tutto qui? Passando attraverso il fumo di una teologia bellicosa, l’Orlando, gli arabeschi di Raffaello, le Ondine di Jean Goujon soddisfano, divertendo, i capricci del mondo. Tre spiriti molto diversi tra loro, l’artista, il prete e lo scettico si metterebbero volentieri d’accordo nel credere che tale sia il risultato definitivo di questo grande secolo. Il Que sais-je? di Montaigne, è tutto quello che vi vedeva Pascal; Bossuet stesso, pensando allo stesso modo, scrisse le Variations.
A questo modo, lo sforzo colossale di una rivoluzione tanto complessa, tanto vasta e travagliata, non avrebbe generato altro che il nulla. Una volontà tanto smisurata sarebbe rimasta senza risultato. C’è forse qualcosa di più deludente per il pensiero umano?
Spiriti troppo prevenuti hanno dimenticato due cose sole, piccole certo, ma che appartengono più a questa epoca che a tutte quelle ch...