eBook - PDF
Cento gocce di vita
About this book
Un'originale opera autobiografica scandita in cento momenti della vita dell'autore, che illuminano pensieri, passioni, sentimenti, esperienze di vita vissuta in cui ciascuno può riconoscersi.
"Io so di essere rimasto l'unico umile testimone di persone, di pensieri, di avvenimenti di un certo rilievo e voglio che essi non siano cancellati, voglio che se domani un solo giovane desiderasse avere una certa informazione, abbia almeno dove cercarla, una traccia da seguire".
Frequently asked questions
Yes, you can cancel anytime from the Subscription tab in your account settings on the Perlego website. Your subscription will stay active until the end of your current billing period. Learn how to cancel your subscription.
At the moment all of our mobile-responsive ePub books are available to download via the app. Most of our PDFs are also available to download and we're working on making the final remaining ones downloadable now. Learn more here.
Perlego offers two plans: Essential and Complete
- Essential is ideal for learners and professionals who enjoy exploring a wide range of subjects. Access the Essential Library with 800,000+ trusted titles and best-sellers across business, personal growth, and the humanities. Includes unlimited reading time and Standard Read Aloud voice.
- Complete: Perfect for advanced learners and researchers needing full, unrestricted access. Unlock 1.4M+ books across hundreds of subjects, including academic and specialized titles. The Complete Plan also includes advanced features like Premium Read Aloud and Research Assistant.
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Yes! You can use the Perlego app on both iOS or Android devices to read anytime, anywhere — even offline. Perfect for commutes or when you’re on the go.
Please note we cannot support devices running on iOS 13 and Android 7 or earlier. Learn more about using the app.
Please note we cannot support devices running on iOS 13 and Android 7 or earlier. Learn more about using the app.
Yes, you can access Cento gocce di vita by Ferdinando Leonzio in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in History & Historical Biographies. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.
Information
CENTO GOCCE DI VITA
1 – La sirena
Lo sbarco che gli anglo-americani si apprestavano ad effettuare in Sicilia nel luglio del 1943 fu preceduto da una serie di incursioni aeree. A Lentini non ci furono danni significativi, ma la paura che esse suscitavano, quando i bombardieri si dirigevano verso Catania o altrove, era veramente tanta, in una popolazione già avvilita dalla miseria e dalla penuria di generi alimentari. Gli antifascisti lentinesi, mai domi, rialzavano la testa ed intensificavano le loro cospirazioni. Mio nonno, di notte, ascoltava, con la sua vecchia radio, i bollettini di guerra provenienti da Londra e da Mosca e segnava, spostando delle puntine, sulla grande carta geografica dell'Europa, attaccata ad una parete dello studio, l'avanzata dell'Armata Rossa verso occidente.
All'avvicinarsi degli aerei alleati, le sirene che dall'inizio della guerra erano state sistemate nei vari quartieri della città cominciavano a urlare come impazzite e la loro voce stridula e straziante era subito seguita da un intenso movimento di persone che correvano verso i rifugi antiaerei. Il nostro era situato in una grotta, allora esistente in via Paradiso, molto vicina alla nostra abitazione. Ogni famiglia aveva il suo angolo cui doveva andare in caso di bisogno; a terra i miei avevano collocato un materassino per consentire a chi non ce la faceva più di distendersi. Io, come ipnotizzato, guardavo, sulla parete cui stava appoggiato il nostro giaciglio di emergenza, due file di cimici, una che saliva e l'altra che scendeva, in una marcia incessante verso chissà quale meta. A tormentare i rifugiati si aggiungevano inoltre i pidocchi, pronti a cercare alloggio fra i capelli di chiunque.
Qualche volta, però, mentre le donne spaventate correvano verso il rifugio, mio nonno mi prendeva in braccio, mi portava nel balcone che si affacciava su via Lazio e mi mostrava il cielo che pochi attimi dopo veniva oscurato da un numero indefinito di superfortezze volanti che andavano a consegnare il loro messaggio di morte: - Guarda, guarda lassù, li vedi gli apparecchi? – Ed io – avevo ancora quattro anni – indirizzavo il mio ditino verso quei mostri volanti, il cui ronzio diventava via via più forte. Non avevo paura, li guardavo stupito, e guardavo anche nella viuzza sottostante gli ultimi passanti correre affannati verso il rifugio, verso la salvezza. Non avevo paura e da allora non ne ebbi mai più.
Come quella volta, quindici anni dopo, ad Agnone Bagni, la spiaggia dei lentinesi. Facevo il bagno in un orario in cui non c'era nessun bagnante, quando tutti pranzavano o facevano il pisolino pomeridiano. Ero arrivato ad una notevole distanza dalla riva, dove non si toccava e dove nessuno avrebbe potuto sentirmi, quando fui preso da atroci crampi ad entrambi i polpacci. Impossibile nuotare. Capii subito che lasciarsi prendere dal panico avrebbe causato certamente la morte. Rimasi calmo e tornai a riva, nuotando all'indietro con le sole braccia.
O come quell'altra volta, vent'anni dopo, quando decisi di rientrare a casa mia, mentre tutti, compresi i miei familiari, rimanevano in macchina, terrorizzati da una possibile ripresa del terremoto che ci aveva colto in piena notte. Tornai a casa sulla base di un „ragionamento“ folle e razionale nello stesso tempo:- Il palazzo in cui si trova il mio appartamento è in cemento armato, mi dissi, ed è stato costruito tenendo conto delle prescrizioni antisismiche. Se il terremoto sarà lieve resisterà benissimo. Se invece il sisma sarà tanto forte da abbattere quel palazzo, non ci sarà macchina o luogo aperto che ci potrà salvare. Nell'uno e nell'altro caso non c'è motivo di starsene rannicchiato in macchina, senza nessun comfort. Dunque rientrai, feci colazione e accesi il televisore, forse unico tra i miei concittadini. Poi ritornò la normalità .
2 - Ricordi di mio padre
Ricordo pochissime cose di mio padre. E non solo perché quando morì ero ancora piccolo, ma soprattutto perché mia madre e i suoi genitori misero una cura particolare per farmelo dimenticare. Non mi parlavano mai di lui e della sua famiglia. Io ho visto i volti dei miei nonni paterni per caso, grazie a delle vecchie fotografie alle quali nessuno aveva fatto caso. Della nonna paterna, Cicero Giuseppina, per molto tempo non seppi neanche il nome. E anche adesso non ne so quasi nulla. Ma io mio padre non l'avevo dimenticato, non potevo: i pochi ricordi che ho di lui si sono impressi nella mia psiche come ferri roventi.
Un giorno di chissà quale anno egli parlava con mia madre, nella stanza loro assegnata. Stava seduto su una poltrona e mi teneva in braccio. Ad un certo punto lo toccai nella sua guancia sinistra, la cui impronta si stampò nella mia mano destra per sempre, suscitando una memoria tattile vivissima; sicché, di tanto in tanto, anche ora che sono vecchio, percepisco la stessa sensazione di quell'episodio „insignificante“ di oltre 70 anni fa.
Il giorno del suo funerale ancora nessuno mi aveva detto che era morto, a 31 anni non compiuti, di TBC a Catania, abbandonato in un ospedale. Qualche tempo prima la nonna mi ci aveva portato, perché lui mi potesse vedere da lontano, ma allora mi parve un estraneo, perché mancava da casa da parecchi mesi. Quella mia casa, di solito così triste per le continue liti tra i suoi abitanti, quel giorno era molto animata: mia madre e mia nonna stavano buttate su un letto matrimoniale, piangenti, esposte alla vista di chiunque; una folla di vicini girava liberamente per le stanze e dal balcone che si affacciava sulla minuscola Via Lazio, io potevo vedere una piccola folla che via via si ingrossava... La pietosa signora Maci, amica di mia nonna, ad un certo punto mi prese da parte e cucì sul mio pullover un bottone nero, dicendomi che quello era il segno che tutti i politici dovevano portare. In effetti mio nonno Ignazio, vecchio e coerente antifascista, era un politico assai conosciuto nella Lentini del dopoguerra. Ma io capii di cosa in realtà si trattasse: era il marchio degli orfani, di cui in quel momento entravo a far parte, anche se quell'idea tarderà un po' a entrarmi nella testa.
Quando ripresi ad andare a scuola, mentre percorrevo a grandi balzi la grande scalinata detta „la salita della Madre di Dio“, un' anziana parente che viveva in una delle case abbarbicate ai suoi lati, mi gridò, come spesso faceva: - Come sta tuo padre?- Ed io, come al solito, forse per esorcizzare quel pensiero che , senza accorgermene, mi aveva devastato il cuore, sempre correndo, forse fuggendo, le risposi, come avevo fatto sempre in precedenza: „Sta meglio!“. Infatti non era ancora morto dentro di me.
Me ne resi conto, qualche mese dopo, quando, dopo un banale litigio con un coetaneo, questi, con la crudeltà che solo i bambini sanno avere, mi sputò in faccia la cruda verità : „Io il padre ce l'ho e tu no“. Era vero. E quella perdita mi aveva segnato per tutta la vita. Provavo una sottile emozione e un affetto filiale, per tutti i suoi amici e colleghi, come l'avv. Nigroli e il prof. Messina, quando mi fermavano per strada e mi chiedevano: „Sei il figlio di Giovannino?“. E poi fra loro: „Somiglia molto a suo padre...“. La stessa emozione in seguito poi cominciai a provarla per i suoi coetanei, per quelli che“potevano“ essere, per età , mio padre.
Intanto la maestra, a scuola, mi insegnava a scrivere la paternità , allora obbligatoria nei documenti ufficiali: non più figlio DI...., come gli altri miei compagni, ma FU Evelino.
Adesso mi spiego perché, fra miei amici più cari, in età adulta, ci sono state molte persone assai più anziane di me, come Turi Saya, Alfio Serratore, Turi Martello, Turi Mangiameli.
Per molti anni mio padre lo rividi in sogno, un sogno ricorrente,sempre uguale, che non aveva bisogno di interpretazioni, tanto ne era evidente il significato. Sognavo di passeggiare nella centrale via Garibaldi della mia città , in una sera primaverile. Una comitiva di amici la percorreva, divisa in due file di tre-quattro persone ciascuna, chiacchierando amabilmente. Mio padre stava nelle prima fila, qualche passo avanti rispetto a quella in cui stavo io. Ad un certo punto, io chiedevo al mio vicino, più anziano di me: „Ma mio padre non era ...“ , senza osare pronunciare l'orribile parola. „No, mi rispondeva quello. C'era stato un errore, è vivo, è proprio vivo...“. E provavo una grande gioia, pari al dolore che sopravveniva al risveglio...
3 - Rosa Giudice Vacirca
Non ricordo il perché i miei genitori, nonostante fossero l'uno professore e l'altra maestra, abbiano ritardato quasi un mese per mandarmi a scuola, che allora cominciava il 1° ottobre. Per fortuna sapevo già leggere e scrivere le vocali. Detto questo, debbo subito aggiungere che scelta migliore non potevano fare per quanto riguardava l'insegnante cui affidarmi. Fu mio padre – questo lo ricordo bene – ad accompagnarmi alla porta dell'aula della 1a classe elementare della scuola „Vittorio Veneto“ in cui insegnava la maestra Rosa Giudice Vacirca. Allora – e per molto tempo ancora sarà così -, si usava scegliere direttamente l'insegnante a cui affidare il proprio figlio, senza alcun altra incombenza burocratica. La maestra Vacirca, vedova, era la seconda moglie di un tale Giudice, il cui cognome aveva aggiunto al suo da nubile. Da esso aveva avuto un figlio, Aldo, poi divenuto chimico, di alcuni anni più grande di me. Aldo era stato alunno di mio padre e da ciò era probabilmente derivata la sua amicizia con la „signora maestra“, come la chiamavamo tutti.
Alla fine del breve colloquio tra lei e mio padre, svoltosi sulla soglia dell'aula, la maestra mi disse: “Vai a sedere lì, vicino a quel bambino, dove c'è un posto libero.
Era il terzo banco della fila centrale e il bambino si chiamava Pippo Grasso, accanto al quale passai i meravigliosi primi quattro anni della mia carriera scolastica. Lui diventerà sarto. Sono anni ormai che non lo vedo. Ma anche adesso che siamo nonni, quando ci incontriamo, ci abbracciamo.
Per Rosa Giudice Vacirca l'insegnamento era soprattutto una missione. Era una maestra di vita, dalle grandissime qualità umane, era soprattutto un'educatrice. Ancora oggi ci sono, a 70 anni di distanza!, suoi ex alunni che la vanno a trovare al cimitero. Un giorno ci andrò anch'io se Nino La Ferla, il vicecapoclasse, mi ci accompagnerà . Io l'ho amata come una seconda mamma e lei mi ha ricambiato. Era molto contenta che io avessi imparato a memoria la lunga poesia „Il giuramento di Pontida“ (L'han giurato, gli ho visti in Pontida/convenuti dal monte e dal piano./ L'han giurato e si strinser la mano/cittadini di venti città ) che un giorno mi fece recitare davanti alla sig.ra Castiglia, sua collega dell'aula accanto alla nostra, nella quale studiava quello che un giorno sarebbe diventato un mio carissimo amico, Marcello, che eccelleva nelle materie scientifiche.
Fra i miei compagni di classe ce n'erano taluni davvero messi male, come uno soprannominato Taddarita (pipistrello) vestito di stracci e deriso da tutti e un altro che veniva scalzo a scuola, con i piedi tutti sporchi...A molti anni di distanza, oggi capisco che sta lì l'origine di quella che sarebbe stata la mia scelta irreversibile per il socialismo. „Socialismo o barbarie“ disse un'altra Rosa, la celebre Luxemburg, e quella era una vera barbarie.
Mi è rimasta impressa nella memoria quella volta in cui la maestra ci fece fare un breve dettato. I suoi alunni erano quasi tutti bravi. Alla fine la maestra passò fra i banchi e ad uno ad uno corresse ogni compito, assegnandogli un voto, da 1 a 10. Il minimo voto assegnato era il 7 e poi tanti 8, 9 e 10. Ma quando arrivò al banco del bambino scalzo, forse presa dalla sua naturale correttezza professionale, gli assegnò un voto basso , un 3 o un 4, non ricordo. Solo a lui. Il bambino, ancora una volta schiacciato dalla vita ostile che gli era toccata, scoppiò a piangere. Il suo pianto dirotto richiamò subito la maestra alla brutale realtà del dopoguerra e forse anche all'ingiustizia di una società che permetteva quelle condizioni di vita. Fu un attimo, e il suo grande cuore ebbe la meglio su tutto il resto: „Bambini, questo compito è annullato, non vale, bisogna rifarlo“. Il bambino scalzo ebbe anche lui un bel 9 e tutto si aggiustò. Almeno per quel giorno. Episodi come questo mi hanno insegnato a trattare i miei alunni con la stessa umanità , maschi e femmine, ricchi e poveri, ed essi l'hanno capito. Anche stamattina, dopo almeno vent'anni che non ci vediamo, mi ha scritto una mia ex alunna di Francofonte. Un'altra che vive e lavora a Siracusa mi vuole bene come un padre. Ciò mi rende orgoglioso e mi fa felice...
