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About this book
"Francesco Pennisi (Acireale, 1934 – Roma, 2000) fu musicista, pittore e poeta raffinato, caratterizzato da uno stile personalissimo, difficilmente imprigionabile in scuole o appartenenze artistiche […]. Questo saggio di Luca Boggio ripercorre in modo esauriente e comunicativo gli anni della formazione di Francesco Pennisi e ne illustra alcuni dei suoi più importanti esiti teatrali" (dalla Presentazione di Riccardo Insolia). Luca Boggio, nato a Lentini nel 1980. Si laurea in Lettere Moderne a indirizzo Storico, artistico, musicologico e dello spettacolo. Vive e lavora a Roma.
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Information
Subtopic
MusicSotto perlaceo cielo: mito e memoria nell'opera di Francesco Pennisi
Gli anni della formazione
Francesco Pennisi è nato ad Acireale (Catania) l’11 Febbraio 1934, da Agata Francica Nava, catanese, morta quando lui aveva ancora undici anni, e Agostino Pennisi Statella di Floristella5 , personaggio notevolmente importante nella formazione culturale e caratteriale del figlio, appartenente ad una delle famiglie più importanti della città di Acireale.
L’approccio di Pennisi con la musica ebbe inizio molto presto, quando da piccolo strimpellava con particolare dedizione, un bel pianoforte a coda Kaps, secondo l’autore lungamente torturato, compiacendosi soprattutto dei frutti della sua improvvisazione più che farsi affliggere dai problemi dell’esecuzione di musiche altrui. Questo autodidattismo ispirato, spinse il giovanissimo Francesco a scrivere la musica attingendo alle nozioni imparate consultando i testi della biblioteca pianistica di famiglia, senza aver studiato né teorie, né armonie, né solfeggi, scoprendo molte regole, soprattutto quelle dell’armonia, in una pratica spontaneistica.
Fu molto importante per la formazione del suo carattere musicale, lo studio del canto gregoriano, insegnato all’età di tredici anni, ma soprattutto l’assidua frequentazione ai concerti della Società di Musica da Camera di Acireale e quelli della Società Catanese Amici della Musica (S.C.A.M.), che gli permise di ascoltare e a volte conoscere artisti come Eugenio Bagnoli, Riccardo Brengola, Luigi Dallapiccola, quest’ultimo rimasto particolarmente impresso nella memoria di Pennisi, quando in duo con Materassi, gli svelò l’esistenza di un’«altra» musica, il suo primo impatto con ciò che si componeva in quegli anni.
“A diciotto anni si trasferisce a Roma, e comincia a prendere lezioni di armonia e di composizione da Robert Mann (a sua volta allievo di Goffredo Petrassi), ma già il suo dilettantismo impegnato, che divenne per lui una sorta di barriera invalicabile riuscì a proteggerlo dalle tentazioni degli accademismi, dai tentacoli dell’avanguardia più scatenata e soprattutto dai pericoli dei facili ritorni alle posizioni commerciabili, superò abbondantemente i confini delle mura domestiche, delle riunioni di famiglia, del divertissement domenicale”6 .
Mann gli insegnò, oltre al contrappunto e alla fuga, soprattutto a strumentare i pezzi e a sviluppare le capacità per la ricerca di quello che sarà il suo linguaggio personale.
Dall’intervista rilasciata negli anni ottanta al Prof. Salvatore Enrico Failla, che risulta essere la biografia più completa dell’autore fino al 1963, edita sulla rivista Note su Note, Pennisi ritenne che proprio la strumentazione fu il momento magico della didattica di Mann, ricordando in particolare le trascrizioni per motivi di studio del preludio debussiano Des pas sur la neige, per arpa, archi pizzicati, legni e percussioni, componimento del quale la eco della sua poetica sembra riapparire sporadicamente nelle opere pennisiane.
Sono gli anni questi delle composizioni inedite come i Sei pezzi brevi, per pianoforte (1957), [preludio francese, Valzer di re Pipino, Romanza cauta, Marcetta, Small-Rag], o della Suite infantile, per orchestra da camera (1955-’59), [Marcia, Notturnino, Valzer, Siciliana, Polka], dove l’autore stesso parla di “decorativismo” riferendosi in particolar modo a Debussy, ma dove non mancano, come sottolinea il prof. Failla, ricordi di Stravinsky, Bartòk, Hindemith, frutto comunque di studi fatti sia per proprio conto, come per i Pupazzetti di Casella, qualche pezzo di Satie, o animati dalle prime lezioni con Mann indagando i Mikrokosmos di Bartòk, a cui questi pezzi alludono chiaramente. La struttura di queste opere, caratterizzate da tonalità allargate e marcate scansioni ritmiche, insieme ai momenti di rarefazione sia melodica che armonica alternati in contrasto a quelli di condensazione, ritorni costanti in tutta la produzione subirà una svolta determinante, quando negli anni ’60 Pennisi, rimase letteralmente affascinato dal primo ascolto dei Sei pezzi, op. 6, di Anton Webern, eseguiti in un concerto sinfonico della Rai, che lo fece buttare a capofitto nello studio delle tecniche seriali e di quel “puntillismo”, che tanto impressionò i musicisti e compositori di quel periodo, da accantonare il precedente linguaggio alla ricerca di nuovi criteri linguistici, di una diversa “langue”, non pedissequamente seguita, servita poi per l’approfondimento di una propria “parole”.
«...per me Webern fu un punto di partenza: l’evoluzione della mia musica, certe cose alla base del mio modo di pensare alla musica fanno riferimento alla lezione weberniana. Mi affascina, di Webern, la capacità di sintetizzare la componente costruttiva e la musicalità in un’espressione lucidissima»7 .
La conseguenza diretta dell’ascolto della weberniana op. 6, porterà alla scrittura di una pagina pianistica del 1960, Musica, per pianoforte, in cinque sezioni (Grave, Allegro con grazia, Moderato, Adagio-Adagio-Adagio, Largo), anche questa inedita, nella quale l’uso della tecnica Seriale, non è un dogma, infatti pur esaurendo il totale cromatico, si riscontrano numerose ripetizioni di suoni, che manifestano quella sua predilezione verso una cantabilità, anche se astratta.
«né in questo pezzo né in altri ho mai aderito al Serialismo in senso scientifico [...] non ho mai stabilito rapporti col Serialismo [...] del Serialismo mi attrae solo lo spirito [...] mi preme soprattutto lavorare sugli intervalli, su certi t...