Tra le pagine
Lettura e letture
Una lettrice tra sacro e profano
Madame Bovary di Gustave Flaubert
Emma è una donna innamorata dell’idea dell’amore, della bella vita, della passione. Non le ha mai vissute, ma le ricerca nei libri che legge e che accompagnano la sua giovinezza negli anni del collegio. Emma è la protagonista di
Madame Bovary, il primo romanzo di Gustave Flaubert, che viene pubblicato per la prima volta in più puntate nella famosa “Revue de Paris”, tra il 1° ottobre ed il 15 dicembre 1856. L’opera flaubertiana destò subito scandalo e il libro venne incriminato in Francia per offesa alla pubblica morale e alla religione. Ne nacque un processo, nel gennaio del 1857, che però più che stroncare l’opera, ne accrebbe la fama. Dopo l’assoluzione divenne un best seller ed oggi è considerato uno dei primi esempi di romanzo realista. Venne pubblicato in Italia per la prima volta nel 1881 con il titolo
La signora Bovary; la casa editrice era la Treves di Milano e il traduttore era Orazio Cenacchi. Il libro ebbe, fin da subito, un grande successo. Venne quindi ripubblicato da altre case editrici, come la Rizzoli nel 1936 nella traduzione di Giuseppe Achilli, l’Einaudi nel 1983 nella traduzione di Natalia Ginzburg e molte altre. Celebre è l’edizone 1924 ad opera della casa editrice napoletana di Ferdinando Bideri, traduttore egli stesso del romanzo, il quale sottolinea il carattere «straordinariamente disordinato» della signora Bovary, vittima, prima di tutto, della sua educazione (sproporzionata alle sue capacità di giudizio e conoscenze). Nel rapporto matrimoniale implode il conflitto tra realtà e fantasia: «Emma nella solitudine riama ciò che più non ha, cose che ricerca nelle sue interminabili fantasticherie».
(Michelle Borneo)
Prima di maritarsi, essa aveva creduto di amare; ma la felicità che sarebbe dovuta risultare dall’amore non era venuta; e pensando di essersi ingannata cercava di sapere quale significato avessero nella vita le parole felicità, passione, ebbrezza, che aveva letto nei libri.
Emma aveva letto Paolo e Virginia ed aveva sognato la casetta di bambù, il negro Domingo, il cane Fedele, e soprattutto le tenerezza di qualche fratellino, che corre a piedi nudi sulla sabbia per recarvi le frutta o un nido di uccelli preso sui rami di un albero alto come un campanile.
Aveva tredici anni quando suo padre la condusse alla città, per metterla in convento […]. Lungi dall’annoiarsi nel convento, essa si compiaceva della compagnia di quelle buone sorelle, e più che nell’ora di ricreazione trovava il suo diletto nella cappella, bene attenta agli esercizi spirituali, pronta a rispondere alle più difficili domande del Vicario, assopita nell’ambiente tiepido della scuola, nel misticismo della vita monastica, intenta, durante la messa, all’amore dell’Agnello, del Sacro Cuore, del Cristo che portava la croce, cercava di compiere qualche voto, tentò infine di digiunare un giorno intero. Arrivava ad inventare qualche peccato, per mortificarsi, restando più a lungo in ginocchio al confessionale; ed i paragoni dell’amor celeste e dell’eterno matrimonio spirituale, di cui abbondavano le prediche, le insinuavano nell’animo dolcezze inaspettate.
La sera, prima della preghiera, nello studio si faceva qualche lettura religiosa; durante la settimana, un brano di Storia Sacra o le Conferenze dell’abate Frayssinous, e la domenica dei brani del Genio del Cristianesimo. Quelle malinconie romantiche avevano echi inestinguibili, per lei, che abituata alla calma della campagna, cercava nuove emozioni negli accidenti: così non amava il mare che per immaginarselo in tempesta, ed il verde, se non per vederlo disseminato tra le rovine, il suo cuore essendo aperto più al sentimento che all’arte, desideroso più di emozioni che di paesaggi [...]. Essa sapeva a memoria alcune canzoni d’amore del secolo passato, e le cantava a mezza voce durante il lavoro; raccontava qualche storiella, portava notizie, s’incaricava di qualche commissione, e prestava di nascosto alle più grandi qualche romanzo ricco di drammatiche avventure di amore Durante sei mesi, a quindici anni, Emma si nutrì di simili avanzi dei vecchi gabinetti di lettura; più tardi dalla lettura di Walter Scott, le nacque il desiderio di vivere in qualche vecchio maniero, come quelle castellane dal lungo busto, le quali passavano i loro giorni alle finestre gotiche, col gomito sul davanzale ed il mento in una mano, aspettando di vedere nel fondo della strada un cavaliere dalle piume bianche su un cavallo nero. Sentiva un culto per Maria Stuarda, ed una venerazione piena di entusiasmo per quelle donne illustre e sventurate come Giovanna D’Arco, Eloisa, Agnese Sorel, la bella Ferronnière e Clemenza Isaura, che, per lei, si sollevavano come astri splendenti dalle tenebre della storia, in cui vagavano ancora, ma quasi perduti nell’ombra e senza alcun rapporto tra loro: san Luigi con la sua quercia, Baiardo morente, qualche ferocia di Luigi XI, un po’ della notte di san Bartolomeo, il pennacchio del Bearnese, e soprattutto il ricordo dei tondini dipinti che celebravano le gesta di Luigi XIV.
Nelle romanze che essa cantava, alla scuola di musica, non si parlava che di piccoli angeli dalle ali d’oro, di madonne, di lagune, di gondolieri: composizioni che le lasciavano la visione fantasmagorica delle realtà sentimentali. Qualche compagna portava in convento gli album ricevuti per le strenne, che bisognava leggere di nascosto, nel dormitorio. Emma fremeva nel sollevare i fogli velini che coprivano le figure, un giovane che abbracciava una fanciulla vestita di bianco, o il ritratto anonimo di qualche signorina inglese che coi boccoli biondi sotto un cappello di paglia rotondo, guardava coi suoi grandi occhi chiari. Se ne vedevano in carrozza, per il parco, mentre un levriere saltella davanti al treno condotto al trotto da due postiglioni con i calzoni bianchi; ovvero sdraiate su un divano, su cui vedevasi una lettera spiegata, che sospiravano alla luna dalla finestra a metà aperta. Le ingenue, con una lacrima sulla gota, davano l’imbeccata ad una tortorella attraverso le sbarre di una gabbia, o, sorridendo, sfogliavano una margherita con le loro dita puntute. Vi erano anche Sultani dalle lunghe pipe, sdraiati sotto i pergolati, cingenti con le braccia le bajadere: pallidi paesaggi di contrade ove trionfa il ditirambo, con palmizii e abeti, tigri e leoni, minareti tartari all’orizzonte, rovine dell’epoca romana, camelli accosciati […].
Una lucerna, attaccata al muro sulla testa di Elena, rischiarava tutto questo mondo, che passava davanti ai suoi occhi, nel silenzio del dormitorio, interrotto solo dal rumore lontano di qualche carrozza.
L’abbecedario nuovo
Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi
La storia del burattino più famoso del mondo è nata dalla penna del fiorentino Carlo Lorenzini (1826-1890), che ha firmato l’opera con lo pseudonimo di Carlo Collodi. Le prime puntate della Storia di un Burattino sono uscite nel 1881 sulle pagine del “Giornale per i Bambini”, ma la prima edizione in volume risale al 1883, anno in cui venne pubblicata dalla casa editrice Felice Paggi di Firenze con le illustrazioni di Enrico Mazzanti. A questa seguirono molte altre edizioni, tra le quali si ricordano quelle illustrate da Carlo Chiostri o Attilio Mussino allestite da Bemporad per la collana “Biblioteca Azzurra” rispettivamente nel 1901 e nel 1911. Nonostante l’apparenza di favola destinata a bambini e ragazzi, risulta evidente che l’opera ha avuto e ha tuttora un pubblico molto più ampio di quello della letteratura per l’infanzia. Come è stato infatti sottolineato in un recente convegno a cura del Centro di ricerca Federico Stella dell’Università Cattolica, Pinocchio è «un’opera che ci riporta al centro della riflessione sull’uomo, sui suoi rapporti con le istituzioni e con le strutture sociali» ed è per questo che è stata oggetto di una straordinaria fortuna editoriale, diventando addirittura l’opera più diffusa nel mondo dopo la Bibbia e il Corano. Protagonista del brano qui sotto riportato è un libro – l’abbecedario di Pinocchio – per comprare il quale Geppetto, in pieno inverno, arriva a vendere la sua casacca. La capacità di sacrificio del genitore e la gratitudine del burattino che progetta, con il suo abbecedario nuovo, di acquisire presto...