Questioni di teologia morale e pratica
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Questioni di teologia morale e pratica

Mauro Bianchi

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Questioni di teologia morale e pratica

Mauro Bianchi

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In questo volume sono raccolte le lezioni di teologia svolte negli ultimi tre anni per gli studenti del terzo anno di tutte le facoltà dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Piacenza. Vengono qui affrontate le questioni etiche relative alla vita del cristiano in quanto membro del Popolo di Dio, oltre che dell'uomo in generale. Spesso la vita quotidiana ci fa scontrare con equivoci e comportamenti amorali con i quali è difficile rapportarsi. In questo volume il prof. Bianchi riassume in maniera ampia, chiara ed esaustiva, le varie posizioni etiche presenti nel mondo al giorno d'oggi, pur sempre mantenendo come riferimento ultimo il Magistero ecclesiale, punto di massima autorità e ragionevolezza. Notevole attenzione è data anche all'aspetto più innovativo della questione, quello della multiculturalità e di come la pratica pastorale si ponga nei suoi confronti.

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CAPITOLO II -
Bioetica: definizione, storia, questioni

Il termine “bioetica” compare frequentemente sui giornali e nei dibattiti televisivi e anche chi non capisce bene di che cosa si tratti costata che, attorno a questa parola, si accendono dibattiti accesi, che provocano la sensazione di un ambito in cui si confrontano posizioni opposte, senza giungere ad un terreno comune. Le opposizioni più frequenti si polarizzano su coppie del tipo: qualità della vita/indisponibilità della vita; bioetica laica/bioetica personalista; autonomia della persona/tutela della vita; pro-choice/pro-life; culturale/naturale...Tutte questioni che rimangono di difficile comprensione per gran parte delle persone e sembrano affidate ad un’opzione preferenziale di insindacabile carattere individuale.
Anche la produzione specialistica risulta assai frammentata, tanto da suggerire di usare il termine “bioetica” al plurale: tante bioetiche quanto sono le visioni etiche e antropologiche alle quali fanno riferimento gli autori.
In questa situazione sembra valere questa regola del permesso: “Non fare agli altri ciò che essi non vorrebbero fosse loro fatto e fai loro ciò che ti sei impegnato contrattualmente a fare”[64].
Le pagine che seguono intendono costituire un tentativo di chiarificazione di che cosa è la bioetica, di quali sono le sue impostazioni più rilevanti, della complessità delle questioni che la bioetica affronta, di come i singoli ambiti richiedono, per venire compresi, di essere inquadrati nella impostazione bioetica di fondo.
Vedremo come spesso si intrecciano vari livelli: etico, antropologico, medico, giuridico nazionale e europeo.
Riteniamo che solo arrivando a conoscere tutti i dati implicati in un ambito determinato, incluse le argomentazioni pro o contro una legge o una sentenza, si riuscirà a formulare un giudizio responsabile nella direzione di una coscienza “come organo” e non come “oracolo”, come abbiamo esposto in precedenza.
La parola bioetica appare con molta frequenza: si parla di questioni di bioetica, alla bioetica si fa riferimento per l’eutanasia, testamento biologico, solo per ricordare alcune voci del dibattito attuale.
Come comprendiamo facilmente si tratta di una parola composta: bio e etica, vale a dire etica della vita. Il termine è relativamente recente, inizia a circolare a partire dagli anni ’70 del secolo scorso.
Un ruolo di primo piano nella nascita della bioetica è da riconoscere a due scienziati e clinici di origine olandese, ma operanti negli USA: l’oncologo Van Renselaer Potter e il fisiologo di embriologia umana André Hellegers, entrambi professori universitari e ricercatori.
A Potter è riconosciuto il merito di aver coniato il termine “bioetica” e di aver elaborato i tratti essenziali di questo nuovo sapere. Hellegers ha introdotto il termine nuovo nel mondo accademico, in quello delle scienze biomediche, nei midia.
La comparsa del termine “bioetica” ha una data e un luogo. Nel 1970 Potter pubblicava un articolo dal titolo Bioethics: the Science of Survival, sulla rivista della University of Wisconsin Perpectives in Biology and Medicine 14 (1970) 120-153.
Cosa diceva Potter in quell’articolo? Lo studioso, con altri pensatori, condivideva la convinzione che il futuro dell’umanità non solo non è garantito, ma è seriamente minacciato. Una minaccia fattasi assai seria nel nostro tempo, a causa dei gravi squilibri biologici, degli inquinamenti, frutto del saccheggio della natura da parte dell’uomo, in possesso di formidabili strumenti di manipolazione, forniti dai progressi tecnologici e dalle biotecnologie, in un contesto di separazione tra scienze sperimentali e scienze umane, in particolare l’etica. Di qui la proposta di una nuova disciplina che ricercasse una conoscenza che rendesse capaci di buoni giudizi circa il progresso fisico, culturale e filosofico per una sopravvivenza umana di valore[65].
La preoccupazione di Potter lo aveva condotto al progetto di una nuova disciplina che ponesse rimedio ai grandi rischi legati alla dilatazione dei poteri che la scienza consente nei confronti dei processi vitali. Lo studioso affermava:
Una scienza della sopravvivenza deve essere più di una sola scienza e perciò propongo il termine bioetica per sottolineare i due grandi ingredienti più importanti per il conseguimento di una nuova sapienza di cui c’è un bisogno disperato: la conoscenza biologica e i valori umani[66].
E ancora, dello stesso Potter:
Scelgo bio- per rappresentare la conoscenza biologica, la scienza dunque dei sistemi viventi, e scelgo -etica per rappresentare la conoscenza dei sistemi di valori umani[67].
Si può riconoscere una differenza di prospettive tra Potter e Hellegers in ordine al rapporto vita e etica. In Potter è più accentuata l’esigenza che la nuova disciplina componga sapere biologico e sapere etico al fine del governo responsabile della nuova scienza, rimanda più esplicitamente alla vita quale bene da tutelare. In Hellegers il termine assume il senso più circoscritto di etica della medicina e della ricerca biologica. Nell’uso comune di bioetica è stato recepito il senso dato ad essa dal secondo studioso. Hellegers, fondatore del Kennedy Institute of Ethics era stato vicepresidente della pontificia commissione sulla regolazione delle nascite dal 1964 al 1966 e direttore del comitato medico della stessa commissione. Alla pubblicazione dell’enciclica Humanae vitae, di Paolo VI, 1968, Hellegers è rimasto deluso dall’enciclica. Di qui l’avvio di un nuovo profilo di ricerca medica che, grazie alla competenza in biologia, possa approfondire l’etica delle scienze della vita. In poco tempo, il Kennedy Istitute imporrà la sua visione di bioetica, il cosiddetto “modello di Georgetown”, centrato sui “dilemmi medici concreti”[68].
A questo proposito, vale a dire sul concentrarsi della bioetica sui casi medici concreti, è stato riflettuto dallo stesso Potter, una ventina d’anni dopo. Lo studioso esprime la convinzione che l’idea originaria di bioetica, proposta nel 1970 in quel primo articolo Bioethics: the Science of Survival e l’anno successivo nel libro Bioethics: Bridge to the Future, sia stata in gran parte disattesa. Ciò sta alla base delle attuali aporie sia intorno all’identità della bioetica, sia intorno ai suoi contenuti. Gli attuali problemi epistemologici di questa scienza possono ricondursi a tre ordini di fattori: a) la trascuratezza delle ragioni della proposta di fondare la bioetica come nuova disciplina; b) la misconoscenza di una bioetica intesa come approccio “cibernetico” della qualità della vita; c) l’inadeguatezza di una bioetica limitata ai casi medici. Citiamo un esteso passo della riflessione di Potter:
La perenne questione circa i rapporti tra la natura dell’uomo e il cosmo è diventata oggi di particolare rilievo ... Si esige un’educazione biologica ed etica del genere umano per comprendere la natura dell’uomo nella sua relazione con il cosmo. La sopravvivenza dell’uomo, infatti, dipende da una scienza che provveda ad un’sapere come usare la conoscenza per la sopravvivenza dell’uomo e per la promozione della qualità della vita, ciò che nel 1970 abbiamo iniziato a chiamare ‘bioetica’.
Nel 1971, nel volume Bioethics: Bridge to the Future, ho sostenuto che gli avanzamenti della rivoluzione biologica esigono una elaborazione cibernetica dei valori umani, quale chiave ermeneutica del progresso delle scienze della qualità della vita e delle scienze ambientali. Ma mentre proponevo questa idea, circa nello stesso tempo, nella Georgetown University e nell’Hastings Center, si diffondeva un’idea di bioetica come accrescimento dell’etica medica. Per molti la bioetica assunse quasi esclusivamente il significato di un’etica di contenimento delle opzioni mediche nei confronti delle tecnologie disponibili...Pertanto, l’attenzione ai problemi di etica medica fece dimenticare l’idea originaria di bioetica, da me proposta in riferimento al quadro globale delle scienze della vita, ovvero come sintesi dei valori umani ed etici con l’ecosistema della vita... È tempo di riconoscere che, senza il riferimento al quadro globale delle scienze ecologiche, non è possibile neppure l’adeguata disanima dei problemi medici...Io ritengo la bioetica come una ‘sapienza’ biologicamente fondata, una forma di conoscenza: la conoscenza di come usare il sapere per il bene della società...Il genere umano necessita urgentemente di una sapienza come guida per l’azione, un sapere come usare la conoscenza per il bene e il futuro della condizione umana...Ritengo che tale scienza della sopravvivenza debba essere costruita fondandosi sì sulle scienze biologiche, ma spaziando oltre i suoi tradizionali confini, cioè includendo gli elementi fondamentali delle scienze sociali e antropologiche, con particolare ...

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