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In questo volume sono quindi discussi i 25 stili più famosi e importanti della musica afroamericana novecentesca, presentati in ordine alfabetico, per una migliore velocità di studio e visione. Fanno seguito i 15 profili di figure a vario titolo determinanti nel percorso dentro e fuori la black music, mentre infine un breve elenco di 135 eventi riflette l'importanza di queste musiche nel generale contesto storico del XX secolo.
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Information
25 stili
Afrobeat
Di solito si pensa che Paul Simon avrebbe introdotto il pop africano presso il grosso pubblico occidentale col suo album Graceland (1986), poiché vi lavora con artisti sudafricani e dell’Africa occidentale. Tuttavia già dai primi anni Ottanta il gruppo a cappella Ladysmith Black Mambazo e il trombettista Hugh Masekela (entrambi sudafricani) godono già di una reputazione mondiale, mentre l’artista senegalese Youssour N’Dour è ben conosciuto nel mondo francofono.
Sono i missionari protestanti che introducono la musica liturgica nell’attuale repubblica sudafricana; e infatti il canto corale tipico di questo paese non tarda a svilupparsi; ne è un simbolo il nuovo inno nazionale sudafricano, Nkosi sikilel’i Africa, che viene composto da Enoch Sontonga nel 1912. Nel 1956 la canzone a cappella Wimoweh diventa un hit internazionale: scritta da Solomon Linda e intitolata inizialmente Mbube verrà popolarizzata sotto il titolo The lion sleeps tonight da Miriam Makeba, anche lei vocalist di fama mondiale in uno stile tra jazz, folk e anticipazioni dell’afrobeat.
Difatti le sonorità del jazz e del rhythm and blues eserciteranno un’influenza altrettanto fondamenatle nell’Africa all’indomani della decolonizzazione. Sempre in Sudafrica infatti le prime registrazioni di Duke Ellington, Count Basie e Louis Armstrong hanno perciò un impatto immenso. All’inizio degli anni Trenta, gruppi come i Jazz Maniacs e i Merry Blackbirds conoscono un vero successo di pubblico e di critica. Ma nel momento in cui l’apartheid costringe i neri a lasciare la campagna e a popolare le township (i bassifondi), una musica nuova, il mbaqanga, fa la sua apparizione; si tratta di un sound abilissimo a mescolare i ritmi tradizionali rurali e le sonorità americane apprezzate dalle popolazioni urbanizzate. La situazione politica in Sudafrica costringe egualmente numerose persone a espatriare, suscitando di conseguenza un interesse mondiale per artisti ormai pop oriented come Miriam Makeba e Hugh Masekela, oppure per jazzisti quali Dollar Brand e i Blue Notes. Al contempo commedie musicali come Lpi tombi e KwaZulu introducono ugualmente le sonorità tradizionali presso un pubblico più allargato, fino al successo platenario del musical Sarafina.
All’interno del Paese il centro nevralgico della musica sudafricana è Dorkay House, un punto d’incontro dove sono state lanciate numerose carriere. Dopo gli anni Quaranta, è diretto dal rimarchevole Queeneth Ndaba e il caporchestra Ntemi Piliso che organizzano concerti a beneficio dei musicisti.
Lo stile africano più conosciuto di quello che comunemente gli studiosi a partire dagli anni Ottanta chiamano afrobeat (o talvolta african pop) è lo highlife che fa la sua apparizione in Ghana e in Sierra Leone molto tempo prima, addrittura negli anni Venti. Mescolanza di musica tradizionale africana, di canti marinai, di marce militari, di cantici e di altre influenze occidentali, aggiunge al tam tam la chitarra, la fisarmonica e l’armonica a bocca. Lo highlife influenza profondamente l’insieme della musica africana contemporanea, prima d’essere presentato al pubblico occidentale dagli Osibisa, sestetto formato a Londra nel 1969, per lanciare in tutto il mondo una sorta di rock africano ballabile.
Storicamente il cantante più conosciuto del Continente Nero è senza dubbio Fela Kuti che mescola lo highlife, il rock e il jazz moderno. Nel 1958, quando egli canta già in un gruppo highlife di Lagos, i Cool Cats, si trasferisce a Londra per studiare al Trinity College of Music. Crea il suo primo gruppo a Londra nel 1961 e ritorna in Nigeria nel 1963, facendo una tappa in Ghana per preparare con cura la propria musica. Nel corso di un soggiorno di dieci mesi negli Stati Uniti nel 1969, studia la storia dei neri e sviluppa ciò che chiama appunto afro-beat, combinando sconquassi a Lagos, anche per le prese di posizione politiche contro il regime nella capitale. Come altri musicisti dell’Africa occidentale, Kuti organizza la carriera musicale attorno al suo club, lo Shrine, con un successo locale enorme, al punto che l’importanza dei suoi gruppi (gli Africa 70 ad esempio), poi rende ben presto impossibile le tournée al di fuori della Nigeria. In patria Kuti acquisisce una reputazione quasi mitologica, facendo della musica uno strumento ideologico a favore della negritudine e della democrazia. Senza di lui il successivo afro-beat di Rokia Toaré, Angeline Kidjo non sarebbe probabilmente esistito.
Blues classico
Dopo l’incisione di Mamie Smith di Crazy blues nel 1920, le case discografiche si scatenano. In un primo tempo per l’industria discografica tutto va bene per far vendere. Il blues stesso non è che agli inizi. Nonostante W.C. Handy abbia già posto qualche base grazie a canzoni fondamentali come St Louis blues, sono le cantanti Alberta Hunter, Ma Rainey, Bessie Smith, Clara Smith, Victoria Spivey e Ethel Waters che creano un corpus di registrazioni che poi gli studiosi di musica afroamericana etichetterranno come il blues classico. Queste incisioni differiscono da quelle dei cantanti maschi poiché la maggior parte delle interpreti sono accompagnate da piccoli gruppi di jazz oppure dai pianisti (Clarence Williams, Fletcher Henderson, ecc.).
Alla lunga è Bessie Smith la vocalist che ha esercitato la maggior influenza sulla musica afroamericana, potendo certo oscurare le registrazioni di Ma Rainey solo per via della cattiva qualità tecnica del materiale utilizzato per quest’ultime. Quando incomincia a registrare blues negli anni Venti, Bessie ha già alle spalle una felice carriera nel vaudeville. Nel 1923 registra tra gli altri See see rider blues con Henderson e Louis Armstrong, Oh my baby blues con Coleman Hawkins e Deep Moanin’ blues con il futuro autore di gospel Thomas A. Dorsey e il chitarrista Tampa Red.
La crisi del 1929 crea non poche difficoltà alle esponenti del blues classico: ad esempio pone fine alla carriera di Ma Rainey e decide quindi di ritirarsi definitivamente nel 1933. Quella di Victoria Spivey dura invece un po’ più a lungo, ma le condizioni di lavoro sono le stesse di Ma Rainey, ossia precarie e faticose. Anche lei si fa accompagnare al pianoforte per registrare Black snake blues nel 1926, poi incide Toothache blues nel 1928 con il chitarrista Lonnie Johnson, Funny feathers (1929) con Louis Armstrong e Moanin’ the blues (1929) con la New York Orchestra di Henry Red Allen. Passerà il resto della carriera in tournée, esibendosi nei jazz-clubs e lanciando persino una propria etichetta negli anni Sessanta per rieditare le sue vecchie registrazioni.
Ethel Waters è la decana delle cantanti nere. Comincia a fare del vaudeville sotto lo pseudonimo di Sweet Mama Stringbean, prima di raggiungere Fletcher Henderson nel 1921. Ciò la conduce a registrare titoli come St Louis blues, Tiger rag e Georgia blues per l’etichetta Black Swan di W.C. Handy. Canta inseguito con i pianisti James P. Johnson e Clarence Williams. Nel 1925 rimpiazza Florence Mills nella Plantaion revue. Si sposta poco a poco verso il teatro e recita in Stormy weather di Harold Arlen, che registrerà su disco nel 1933. Del resto continua a lavorare con musicisti jazz come Duke Ellington o capiorchestra swing come Tommy e Jimmy Dorsey e Benny Goodman. Man mano che la carriera fa progressi, lavora sempre più sovente a Hollywood, i film come Cabin in the sky (1942), Pinky (1949), The sound and the fury (1959). Sarà un trionfo di pubblico, ma un allontanamento dalle radici del blues classico.
Alberta Hunter comincia a cantare in un bordello di Chicago prima di trovare migliori frequentazioni: Louis Armstrong, Fletcher Henderson, Sidney Bechet, Eubie Blake e Fats Waller. Nonostante le registrazioni siano eccellenti, è la produzione londinese di Showboat, nella quale appare a fianco di Paul Robeson, che imprime la svolta cruciale alla carriera della Hunter. Si ritira dallo show business nel 1954 per diventare infermiera, poi lascia questo mestiere per ridiventare cantante. Registra la colonna sonora di Remember my name nel 1978. E da allora è tornata vispa e arzilla nel giro dello show business blues-jazzistico.
Nonostante queste cantanti di blues classico abbiano conosciuto il loro apogeo prima della crisi del 1929, storicamente e stilisticamente costituiscono la transizione tra il blues rurale e le vocalists di jazz delle grandi orchestre degli anni Trenta: Billie Holiday, Ella Fitzgerald, Mildred Bailey...
Blues rurale
Si racconta che Getrude Rainey detta Ma, cioè ‘mamma’, sentì il blues per la prima volta nel 1902, quando era in tournée nel Missouri con una compagnia di vaudeville. È forse in quel momento che prende coscienza dell’esistenza di una forma musicale autentica, in contrasto con la semplice articolazione del suono o dell’emozione, che i negri conoscono bene, ma che pensano a definire solo come gemito di un’anima in pena.
Comunque sia, il blues discende in effetti dai canti, dalle urla, e dai work song, i quali trovano anch’essi la propria origine in una miscela di ritmi africani, d’inni luterani e di ballate anglosassoni. Dopo l’abolizione della schiavitù, moltissima gente di colore lascia il Sud agricolo per i centri urbani in piena espansione nel Nord industriale, facendo sovente brevi tappe in città come Kansas City e Saint-Louis. Queste soste attirano anche una fauna poco raccomandabile, ma che, dopo tutto, ha bisogno di divertirsi proprio come tutti gli altri esseri umani.
In tal senso i minstrel shows e i medicine shows conoscono un successo enorme: lo si intuisce dalla comparsa dei musicisti itineranti. A questi luoghi equivoci ma ribollenti di vita deve anche qualcosa lo stile barrelhouse o boogie-woogie di pianisti come Meade Lux Lewis e Albert Ammons, benché strettamente associato alla cultura afroamericana di Chicago.
Tornando al blues, si tratta di un termine che è dapprima utilizzato da scrittori di canzoni – per esempio W.C. Handy – per identificare lo stile delle canzoni dal loro titolo. Poco importa che si tratti di una ballata lacrimevole o di un boogie indiavolato, l’appellativo blues indica senza equivoci la sua origine afroamericana.
Nel 1920 il paroliere Perry Bradfort incoraggia una cantante vaudeville di Cincinnati, Mamie Smith, a raggiungere Chicago per registrare alcune canzoni sotto l’etichetta Okeh. Benché la Smith sia una abituata alle scene dei music-hall di Harlem, Bradfort è cosciente che altre blues vocalists nere come Sippie Wallace, Victoria Spivey e Sara Martin siano già passate dai palcoscenici agli studios di registrazione. È quindi il successo della Smith con la canzone Crazy Blues che incita le case discografiche a ingaggiare le cantanti di blues: Ma Rainey, la cosiddetta madre del blues e Alberta Hunter firmano con Paramount, mentre Bessie Smith, a sua volta ben presto l’imperatrice del blues, si affida alla Columbia.
Gli arrangiamenti hanno giocato un ruolo primario nello sviluppo dello stile e della musica di queste cantanti blues: mentre in generale gli uomini s’accompagnano da soli al piano, all’armonica o alla chitarra (il cui uso si è generalizzato dopo che la si può comprare per corrispondenza), le femmine reagiscono alla richiesta di dischi blues registrando con orchestrine jazz composte da cinque a sei persone, o con validissimi pianisti come James P. Johnson e Fletcher Henderson. In tal modo le canzoni più celebri di Sara Martin sono state registrate con l’orchestra di King Oliver.
Senza essere virtuosi della chitarra, i primi bluesmen, per esempio Charley Patton e Blind Lemon Jefferson, sviluppano degli stili personali che permettono a loro di evocare le difficoltà delle proprie origini rurali. Blind Lemon Jefferson, cieco dalla nascita, si accompagna egregiamente alla chitarra acustica, diventando uno dei principali musicisti blues di stile texano a emergere prima della grande crisi del 1929. Con una voce espressiva di grande acutezza, interpreta le proprie composizioni come Black Snake Blues, Pneumonia Blues e See That My Grave Is Kept Clean, alle quali il gioco sobrio ed ellittico conferisce ancora più enfasi. Nonostante muoia giovane (di freddo, a Chicago) egli influenzerà fondamentali bluesmen texani come Leadbelly, Lightin’ Hopkins e T-Bone Walker, così come B.B. King che vive nel Mississippi.
L’interpretazione che dà Patton di canzoni quali Frankie & Albert, Pony Blues, Screamin’ and Hollerin’, The Blues e Some Of These Days I’ill Be Gone incita numerosi cantanti ad adottare il suo stile. Sotto questo punto di vista, le sue inflessioni rauche e aggressive sono diventate un modello per le generazioni successive di grandi solisti blues: Son House, Robert Johnson, Howlin’ Wolf... Ma benché i primi bluesmen abbiano acquisito solide reputazioni, è solo a partire dalla fine degli anni Venti, inizio Trenta, che il blues comincerà a espandersi largamente, con il proliferare delle registrazioni fonografiche a 78 giri.
Cajun
Antica colonia francese, la Louisiana resta un crogiolo d’influenze culturali assai diverse, con un Sud a dominante latina (e dunque cattolica) e una maggioranza protestante al nord. A ciò vanno aggiunte diverse comunità importanti di creoli francofoni, discendenti dagli schiavi importati dagli immigrati per coltivare i campi di cotone. Infine, c’è l’influenza di New Orleans, anche se la Nouvelle Orléans resta sempre un caso a parte, vivendo un ritmo del tutto differente non solo nel resto degli Stati Uniti, ma nel resto dell’intera Louisiana. Malgrado ciò, gioca un ruolo di catalizzatore, assicurando alla musica cajun una permeabilità alle influenze esterne ben superiore a quella della maggioranza di altri omologhi, per esempio la musica degli Appalachi.
All’inizio, il cajun è uno stile dominato dalla fisarmonica che mescola elementi gospel e blues ai canti tradizionali della popolazione francofona discendenti degli Acadici (da cui appunto la parola cajun). Più di recente, a torto, si arriva a considerare il cajun quasi come un sottogenere del country. Per contro, la musica dei neri della città è una sorta di r’n’b che si chiama zydeko dove lo strumento principale è, anche qui, la fisarmonica piuttosto che il piano o la chitarra.
Benché la fisarmonica giochi un ruolo centrale nei ritmi cajuns, il violino è comunque sempre importante, se non altro perché è con esso che nuove canzoni e nuove idee possono penetrare la cultura cajun. Ciò avviene attraverso l’intermediario dei violinisti itineranti che solcano il sud-ovest per partecipare a concorsi musicali. Storicamente parlando, questi concorsi di violino quindi esercitano così tanta influenza sul meticciato delle idee e degli stili tanto quanto i medicine shows o la migrazione verso il nord dei giovani bluesmen originari dei campi di cotone del delta del Mississippi.
Anche se il cajun è un genere regionale, assorbe nondimeno influenze e mode venute dall’insieme degli Stati Uniti. Per esempio, l’emergere del rock and roll incoraggia giovani artisti come Jimmy C. Newman o Bobby Charles a registrare canzoni che mirano al pubblico del rock, ma sempre conservando le caratteristiche ritmiche del cajun medesimo. Parimenti lo zydeco genera dunque un certo numero di cantanti che utilizzano il rap e l’hip hop per dare un tocco contemporaneo alla struttura di base del cajun.
Malgrado ciò, un conservatorismo latente permette al cajun tradizionale di sopravvivere intatto. Interpreti come Nathan Abshire e il fratelli Balfa (il violinista Dewey Balfa e i suoi fratelli Burkeman, Harry, Rodney e Will) non si sentono tenuti ad adattarsi all’aria del tempo. E quindi si sono in qualche sorta giocati i ruoli di guardiani del tempio, assicurando la sopravvivenza delle tradizioni della stessa musica cajun. Del resto la figlia di Dewey Christine formerà la propria Balfa Toujours alla morte di suo padre nel 1992.
Dall’altro lato della ‘barricata’, il fisarmonicista Clifton Chenier fornisce un punto di partenza agli ereditieri della tradizione: Rockin’ Dopsie, Buckwheat Zydeco e suo figlio C.J. Chenier. Chenier crea uno stile molto personale alla fine degli anni Quaranta nei club di Port Arthur (Texas) e della Louisiana del Sud. All’inizio suona per un pubblico di operai dell’industria petrolifera e di neri francofoni, ma nella misura in cui la sua reputazione aumenta la sfera d’influenza si estende. Nel 1955, registra per un’etichetta californiana, Specialty, e per due filiali di Chess, Checker e Argo. Ma è una serie di album registrati per Arhoolie, tra cui Bon ton roulet (1966) e Bogalusa boogie (1975) che fa uscire il cajun dai bayou e l’introduce nei circuiti dei festival folk-blues da grosso pubblico sia d’America sia d’Europa. Chenier conquisterà persino un Grammy per I’m here nel 1984.
In quest’occasione l’industria discografica riconosce finalmente l’influenza del cajun anche in altri stili musicali americani. Ma benché quest’influenza vada ingrandendosi, sussiste uno zoccolo duro di musicisti che suonano sempre alla maniera dei loro nonni.
Chicago blues
Benché...
Table of contents
- Indice
- Premessa
- 25 stili
- 15 protagonisti
- 135 eventi
- Bibliografia
- L’Autore