CAPITOLO 1
IL MODELLO INTEGRATIVO PER IL LAVORO IN PSICOLOGIA DELLO SPORT
Lâobiettivo di unâindagine conoscitiva svolta in sede universitaria (Nachon, Nascimbene, 2001)[1] è stato rilevare il grado di conoscenza e di applicazione sul campo di risorse teoriche e tecniche appartenenti alla disciplina scientifica Psicologia dello Sport (PdS). A tale proposito è stato costruito un questionario ad hoc anonimo e rivolto a un campione (n = 71) composto da insegnanti, istruttori e studenti della Laurea in Scienze motorie e dello sport (Tabella 1).
I risultati ottenuti possono esserci utili come spunto per iniziare un dialogo sulla tematica che ci convoca: la Psicologia dello Sport (PdS).
Nella domanda n° 1 â Quale incidenza attribuisce lei al fattore mentale nella sua pratica sportiva? â 69 soggetti su 71 (pari al 97 % del totale) assegnano al fattore mentale unâincidenza di almeno un 50 %. La distribuzione della quantitĂ di risposte in rapporto alla percentuale di incidenza attribuita è stata la seguente: (a) 21 soggetti attribuiscono un 100 % di incidenza; (b) 27 soggetti attribuiscono un 75 % di incidenza; (c) 21 soggetti attribuiscono un 50 % di incidenza; e (d) 2 soggetti attribuiscono un 25 % di incidenza.
Quindi come primo dato si può notare che allâinterno del campione di persone a cui è stato somministrato il questionario esiste un netto riconoscimento dellâinfluenza che le variabili psicologiche possono esercitare sulla pratica dello sport (Figura A).
Figura A. Distribuzione risposte alla domanda n° 1
Nella domanda n° 2 â Quanto conosce lei sulla PdS? â la distribuzione è stata: (a) nessuno dei 71 soggetti ha detto di conoscere âquasi tuttoâ o âmoltoâ sulla disciplina; (b) 13 soggetti hanno comunicato di conoscerne âabbastanzaâ; (c) 41 soggetti (il piĂš grande fra i sottogruppi) ha indicato di saperne âpocoâ; e (d) 17 soggetti hanno detto di conoscerne âquasi nienteâ.
Andando però a indagare a un livello maggiore di profonditĂ si rileva che lo 0 % del campione ha informato una conoscenza esaustiva della materia, mentre lâ82 % ha risposto di saperne o âpocoâ o âquasi nienteâ (Figura B).
Figura B. Distribuzione risposte alla domanda n° 2
Un dato interessante potrebbe emergere dal rapporto fra la prima e la seconda domanda: nonostante il 97 % dei soggetti abbia sostenuto che la pratica dello sport è condizionata almeno in un 50 % dal fattore mentale, nessuno di loro ha riferito di avere una conoscenza solida sulla specialità che approfondisce su questo campo. Questi risultati sono coerenti con quelli relativi alle risposte ottenute in:
*)domanda n° 3 â Che cosa sa sulla PdS? â il 65 % dei soggetti non ha fornito delle risposte che dimostrassero una determinata conoscenza e il rimanente 35 % ha elencato solo alcuni concetti base; e
*)domanda n° 4 â Allenamento delle abilitĂ mentali, lo ha mai effettuato?
*)domanda n° 5 â Quando? Come? Con quale frequenza? Quale / i? Cosa le ha servito? Cosa non le ha servito? Lo suggerirebbe ad altre persone? PerchĂŠ?
Il 21 % (sul totale del campione) ha sostenuto di averlo sperimentato, ma solo lâ8 % ha effettuato un allenamento con metodi e tecniche della Psicologia dello Sport (PdS) propria e vera.
Nella domanda n° 6 â Utilizzerebbe un Programma di allenamento sistematico delle variabili psicologiche presenti nel suo sport? â unâelevata percentuale (89 %) dei soggetti ha presentato chiare intenzioni orientate ad unâeventuale messa in pratica di un Programma di mental training (Figura C).
Figura C. Distribuzione risposte alla domanda n° 6
Dalle informazioni raccolte sorge un quadro complessivo dove ci sono tre grandi istanze di risposta, riassunte nelle tre figure precedenti (Figure A, B e C).
Câè un primo momento nel quale viene evidenziata una chiara attribuzione di gerarchia al ruolo delle variabili mentali nella pratica sportiva. A posteriori la dimostrazione di una conoscenza teorica e pratica ridotte. Infine la terza istanza di risposta segna una tendenza qui ed ora positiva verso il coinvolgimento in un Programma di preparazione mentale per lo sport.
Tabella 1. Modello del Protocollo Psicosportivo (Nachon, Nascimbene, 2001)
Pur nella loro provvisorietĂ , questi dati possono andare a sostegno dellâipotesi che esisterebbe, fra le figure professionali che operano allâinterno dellâambito dello sport e dellâattivitĂ fisica, un marcato bisogno riguardante lâacquisizione di elementi teorico-pratici della Psicologia dello Sport, la quale a sua volta dovrebbe fornirgli non solo risorse di tipo assistenziale rivolte alla soluzioni di problemi conclamati ma anche un orientamento centrato sulla promozione della salute tramite unâadeguata formazione dei suddetti professionisti.
1.1 Psicologia dello Sport: una definizione storica
Williams e Straub (1986) indicano che le origini del concetto di Psicologia dello Sport risalgono alla medesima EtĂ Antica, piĂš specificatamente alla Grecia Classica e alle culture asiatiche. Allâinterno di queste civiltĂ non solo sarebbe stata riconosciuta lâinterdipendenza mente-corpo messa in atto nel gesto atletico, ma anche vi sarebbe stata individuata una chiave di accesso sia per lâottimizzazione della prestazione agonistica che per lo sviluppo integrale della persona.
Il punto è che questi due orientamenti significativi sarebbero diventati nel Ventesimo secolo i due pilastri di quella disciplina delle Scienze dello Sport che oggi chiamiamo Psicologia dello Sport.
Durante il lungo periodo che in Occidente coincide con gli sviluppi dellâImpero Romano e il Medioevo, la preparazione atletica venne spesso associata allâallenamento per la guerra.
Poi acquistò dei significati e applicazioni molto diversi: dagli ideali dellâOlimpismo moderno allo spettacolo mediatico, da modello di correttezza e fair play a business a livello mondiale, da pratica privata allâinsegna del piacere, del gioco e del divertimento a motivo di rivalitĂ fra intere nazioni. Attualmente poche attivitĂ umane possiedono una diffusione paragonabile a quella legata allo sport, fenomeno enfatizzato da una vera e propria âesplosione linguisticaâ (Cagigal, 1973). Espressioni quali âmettere in giocoâ, âvincenteâ o âfuori combattimentoâ sono solo scarsi esempi della miriade di allegorie atletiche e concetti prodotti dallâambito dello sport che sono stati incorporati nel medesimo linguaggio quotidiano, attirando lâinteresse non solo di quelle professioni direttamente coinvolte nel mondo dello sport, ma anche dei sociologi, dei politici, degli imprenditoriâŚ
LâUNESCO definisce lo sport come unâattivitĂ specifica di competizione, nella quale viene intensamente valorizzata la pratica di esercizi fisici con lâobiettivo dellâottenimento, da parte dellâindividuo, del perfezionamento delle possibilitĂ morfo-funzionali e psichiche, concretizzate in un record, nel superamento del sĂŠ o di un avversario.
Segnata da una prima fase â dagli inizi del Ventesimo secolo fino agli anni Cinquanta â centrata sulla sperimentazione sovietica e nordamericana sul campo e in laboratorio, gli studi di Psicologia dello Sport versarono su ricerche cronometriche in rapporto ai tempi di reazione degli sportivi, cosĂŹ come sullâapprendimento motorio e sulla memoria muscolare.
Però nonostante la vitalitĂ mostrata, questa giovane disciplina possedeva unâevoluzione piĂš lenta rispetto alle altre specializzazioni psicologiche, probabilmente dovuta al fatto di essersi sviluppata soprattutto allâinterno dei Dipartimenti di Educazione Fisica, cioè con tempi e spazi relativamente sconnessi da quelli della corrente principale della scienza madre, la Psicologia.
Dallâaltra parte il processo di integrazione con altre Scienze dello Sport riservava non poche difficoltĂ in certi contesti culturali. Lâeccezione in questo senso veniva rappresentata dalla situazione trovatasi nei paesi dellâarea di influenza dellâex Unione Sovietica (Riera, 1985).
Ă possibile sostenere lâidea che questo particolare modo di crescita abbia condizionato per decenni anche una certa mancanza di elaborazione di un corpo teorico per questa nuova specializzazione, il che evidentemente avrebbe ritardato la sua espansione e diffusione sia nel mondo accademico che in quello prettamente sportivo.
Nel frattempo, dalla parte occidentale del globo le primissime applicazioni della Psicologia dello Sport privilegiavano gli aspetti ludici dello sport su quelli agonistici. Erano i tempi in cui il barone Pierre de Coubertin, portavoce dellâOlimpismo moderno, scriveva la celebre Dichiarazione della Riforma Sportiva (1930), chiaro esponente degli ideali razionali della partecipazione nello sport: fair play, educazione, progresso, scienza e vocazione sportiva differenziata da interessi commerciali, politici, etnici o religiosi. Quanto lontani sembrano quei tempi!
Trai i diciannove punti che la Dichiarazione proponeva, si trovava appunto quello inerente lo sviluppo di una medicina sportiva basata sullo stato di salute anzichĂŠ su quello di malattia, una scienza che dedicasse i suoi sforzi a un migliore esame delle caratteristiche psichiche del soggetto (diciannovesimo punto).
Una seconda fase della Psicologia dello Sport inizia verso una prima direzione fortemente interessata alla diagnosi e prognosi di tratti o di caratteristiche di personalitĂ degli atleti. Veniva effettuata una valutazione psicopatologica del soggetto in condizioni separate dallâattivitĂ sportiva, finalizzata a scoprire delle differenze individuali presumibilmente correlate con la pratica di un determinato sport. Lâipotesi che guidava i ricercatori era: se si possiede un certo tipo di personalitĂ ci sono piĂš probabilitĂ di scegliere un certo tipo di sport (o ruolo allâinterno della squadra, ecc.). Viceversa venivano inferite variabili di personalitĂ a partire dellâanalisi del gesto sportivo (Nachon, Nascimbene, 1998). Questa prospettiva costituiva unâestrapolazione del modello della Psicologia clinica sullâambito dello sport.
Un successivo orientamento di questa seconda fase, prevalente nellâattualitĂ , è cominciato quando lâintenso lavoro sostenuto dagli psicologi dello sport dellâAmerica e dellâEuropa occidentale venne catapultato con il riconoscimento ufficiale della disciplina nel 1965.
In quellâoccasione fu celebrato a Roma il Primo Congresso e Assemblea Costitutiva della SocietĂ Internazionale di Psicologia dello Sport (ISSP, International Society of Sport Psychology), presieduto dal noto psichiatra italiano e psicologo dello sport Ferruccio Antonelli, presidente onorario dellâISSP fino alla sua recente morte ed ex presidente dellâAssociazione Italiana Psicologia dello Sport (AIPS), anchâessa fondata in quellâevento.
Lo stesso Antonelli, assieme a A.M. Olsen, P. Kunath e J. Recla, pubblicò una rassegna dei milleottocentonovantotto titoli â fra libri e articoli â di Psicologia dello Sport riuniti fino a quella data (1965). Altre due rassegne, riferite al periodo 1968-1971, furono successivamente edite in Germania da Essing, Bertram e Meckbach. La prima nel 1969, con piĂš di quattromila titoli; la seconda nel 1972, con quasi tremila (Antonelli, Salvini, 1987). Una produzione che testimonia non solo sul volume degli studi ma anche sulla diversitĂ e ricchezza tematiche legate a detta disciplina (Nachon, Nascimbene, 1998).
Lâaccento sullâindagine di tipo personalistico negli anni settanta calava mentre cresceva sempre di piĂš lâenfasi messo sullo studio delle variabili contestuali. Nei tardi anni settanta e inizio degli anni ottanta viene sottolineata lâimportanza dei fattori cognitivi dellâatleta e della sua performance, primi fra tutti i cosiddetti sistemi di pensiero (o sistemi di credenze), i processi sottostanti la presa di decisione (decision-making) e la soluzione di problemi (problem-solving).
Di fronte alle limitazioni inerenti la prima fase e la prima tappa della seconda fase della storia della Psicologia dello Sport, Martens suggerisce (in Riera, 1985):
a)Occorre un nuovo paradigma nella Psicologia dello Sport, in modo tale che sia possibile affrontare la complessitĂ inerente al comportamento dellâatleta, in cui vengano compresi aspetti sociali e cognitivi, dato che molte delle sue prestazioni sono influenzate dai suoi pensieri;
b)Dovrebbero venire privilegiate le teorie induttive che provengono direttamente dallo sport invece di insistere sulla verifica di ipotesi dedotte da teorie generali, ad esso estranee (n.a.: Thomas (in Riera, 1985) aggiunge che queste teorie induttive dovrebbero essere accompagnate da altre di tipo deduttivo);
c)A differenza delle ricerche effettuate allâinterno di situazioni controllate (laboratorio) gli studi dovrebbero essere centrati su eventi sportivi concreti
1.2 Psicologia e psicologo dello sport
Si deduce quindi che lâoggetto di studio dellâattuale Psicologia dello Sport non sarebbe piĂš definibile soltanto attorno allo studio della personalitĂ dello sportivo, ma piuttosto venga collegato allâindagine sul comportamento dello sportivo in relazione agli altri elementi significativi del suo contesto, cosĂŹ come in relazione alla lettura del contesto propria del suo sĂŠ individuale.
In questo senso, invece di sottolineare stati e processi interni allâorganismo come fossero compartimenti stagni, studia i cambiamenti nelle interazioni dellâorganismo totale con il suo contesto fisico, biologico e psico-sociale.
Una definizione possibile della Psicologia dello Sport fa riferimento a âuna disciplina scientifica dedicata allo studio del come, perchĂŠ, quando e sotto quali circostanze gli sportivi, gli allenatori e gli spettatori si comportano nel modo in cui lo fannoâ (Gould, Eklund, 1991), cosĂŹ come âlâindagine sulla reciproca influenza fra lâattivitĂ fisica e la partecipazione allo sport, sul benessere psicofisico, sulla salute e sullo sviluppo personaleâ (Williams, Straub, 1986).
La Psicologia dello Sport viene di conseguenza prevalentemente orientata allo studio scientifico di fattori psicologici quali le motivazioni allo sp...