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Tra le conquiste della civiltà, una delle più importanti è senza dubbio la trasformazione del significato del lavoro, che non è più una maledizione biblica, ma l'occasione per aumentare le proprie possibilità ed esperienze, le relazioni sociali e la capacità di incidere nel processo democratico.
L'evoluzione dei tempi e modi di lavoro ha indotto la nascita e spesso anche il rapido declino di nuove modalità produttive ed organizzative. Nella competizione del mercato, le modalità più vantaggiose di produzione risultano quelle capaci di migliorare la qualità globale, che è qualità del prodotto ma in primo luogo qualità del modo di lavorare. Nei paesi occidentali si assiste ad un fenomeno sociale del tutto nuovo: pur in presenza di livelli di disoccupazione crescente, taluni tipi di lavoro, a bassa qualità percepita, vengono rifiutati. Riesce sempre più difficile interpretare il perché, pur in aumento del benessere economico, si registri talora un aumento delle tensioni e del malessere.
La medicina tradizionale, di impostazione diagnostico/terapeutica, ha mostrato qualche difficoltà a comprendere tempestivamente l'evoluzione dei bisogni correlata a questo processo. La maggior parte degli studi sono puntati sulle valenze negative che si generano nel processo di trasformazione: lo stress da lavoro, il mobbing, il burn-out, il disagio e il disadattamento. Tali distorsioni del rapporto di lavoro sono spesso identificate, talora quantificate, raramente prevenute.
La medicina del lavoro per sua natura ha sempre affrontato il tema opposto: la definizione e il potenziamento del benessere nei luoghi di lavoro. La gestione dei rischi professionali si sostanzia in un insieme di operazioni che devono garantire non solo l'assenza di danni, ma l'accrescimento materiale e morale dei lavoratori e dell'azienda. La promozione della salute, che solo di recente la nostra legge ha incluso tra gli atti della sorveglianza sanitaria, rappresenta da molti anni l'obiettivo dei migliori servizi di medicina del lavoro. "Lavoro umano": una delle più antiche riviste di medicina del lavoro italiane, il cui ultimo Direttore è stato il fondatore del nostro Istituto, prof. Angelo Iannaccone, si proponeva fin dal titolo di ricordare che il lavoro dell'uomo deve essere umano.
Umanizzare il lavoro significa aumentare il benessere dell'uomo, più che la sua produttività. Allo sviluppo umano nel lavoro fa esplicito riferimento il Santo Padre nella enciclica Caritas in Veritate, quando sottolinea che lo sviluppo non deve essere solo tecnologico ed economico[1]. Lo scopo di questo studio è mettere a disposizione metodologie ed esperienze per consentire alle aziende, ai servizi di prevenzione e ai medici competenti di valutare correttamente i livelli di benessere lavorativo e di programmare, con l'eventuale supporto di consulenze specialistiche, la promozione del benessere nei luoghi di lavoro. Tratto dal Capitolo 1

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Nicola Magnavita
Tra le conquiste della civiltà, una delle più importanti è senza dubbio la trasformazione del significato del lavoro, che non è più una maledizione biblica, ma l’occasione per aumentare le proprie possibilità ed esperienze, le relazioni sociali e la capacità di incidere nel processo democratico.
L’evoluzione dei tempi e modi di lavoro ha indotto la nascita e spesso anche il rapido declino di nuove modalità produttive ed organizzative. Nella competizione del mercato, le modalità più vantaggiose di produzione risultano quelle capaci di migliorare la qualità globale, che è qualità del prodotto ma in primo luogo qualità del modo di lavorare. Nei paesi occidentali si assiste ad un fenomeno sociale del tutto nuovo: pur in presenza di livelli di disoccupazione crescente, taluni tipi di lavoro, a bassa qualità percepita, vengono rifiutati. Riesce sempre più difficile interpretare il perché, pur in aumento del benessere economico, si registri talora un aumento delle tensioni e del malessere.
La medicina tradizionale, di impostazione diagnostico/terapeutica, ha mostrato qualche difficoltà a comprendere tempestivamente l’evoluzione dei bisogni correlata a questo processo. La maggior parte degli studi sono puntati sulle valenze negative che si generano nel processo di trasformazione: lo stress da lavoro, il mobbing, il burn-out, il disagio e il disadattamento. Tali distorsioni del rapporto di lavoro sono spesso identificate, talora quantificate, raramente prevenute.
La medicina del lavoro per sua natura ha sempre affrontato il tema opposto: la definizione e il potenziamento del benessere nei luoghi di lavoro. La gestione dei rischi professionali si sostanzia in un insieme di operazioni che devono garantire non solo l’assenza di danni, ma l’accrescimento materiale e morale dei lavoratori e dell’azienda. La promozione della salute, che solo di recente la nostra legge ha incluso tra gli atti della sorveglianza sanitaria, rappresenta da molti anni l’obiettivo dei migliori servizi di medicina del lavoro. “Lavoro umano”: una delle più antiche riviste di medicina del lavoro italiane, il cui ultimo Direttore è stato il fondatore del nostro Istituto, prof. Angelo Iannaccone, si proponeva fin dal titolo di ricordare che il lavoro dell’uomo deve essere umano.
Umanizzare il lavoro significa aumentare il benessere dell’uomo, più che la sua produttività. Allo sviluppo umano nel lavoro fa esplicito riferimento il Santo Padre nella enciclica Caritas in Veritate, quando sottolinea che lo sviluppo non deve essere solo tecnologico ed economico[1]. Lo scopo di questo studio è mettere a disposizione metodologie ed esperienze per consentire alle aziende, ai servizi di prevenzione e ai medici competenti di valutare correttamente i livelli di benessere lavorativo e di programmare, con l’eventuale supporto di consulenze specialistiche, la promozione del benessere nei luoghi di lavoro.
Marko Elovainio, Tarja Heponiemi, Timo Sinervo
Il concetto di giustizia organizzativa definisce la qualità dell’integrazione sociale sul lavoro [21, 31, 34]. I teorici della giustizia organizzativa hanno identificato almeno tre differenti categorie di eventi che possono essere valutati in termini di giustizia. Queste categorie sono i prodotti (outcome), i processi e le relazioni interpersonali. In relazione a queste tre categorie, ci si riferisce specificamente alla giustizia distributiva con riferimento agli outcome del lavoro, alla giustizia procedurale con riferimento alla correttezza dei processi, alla giustizia interazionale o relazionale in riferimento alle relazioni interpersonali [7, 8].
Le prime ricerche in questa area hanno preso in considerazione la giustizia distributiva e la percezione dell’iniquità [1], ma più recentemente la ricerca ha messo in rilievo la giustizia procedurale e relazionale [10]. La giustizia procedurale si riferisce al modo in cui sono applicate le procedure decisionali: in modo omogeneo, non viziato da errori, accurato, corretto, etico e scrupoloso [9]. La giustizia relazionale si riferisce alla qualità del trattamento che i lavoratori sperimentano nelle loro relazioni interpersonali durante lo svolgimento del processo organizzativo; in modo più specifico, essa si riferisce al trattamento franco e corretto da parte dei superiori [5].
La giustizia organizzativa è stata messa in relazione con le reazioni emozionali [50] e si è dimostrato che la percezione di un basso livello di giustizia gioca un ruolo importante nella salute e nel benessere dei lavoratori [6, 13, 16]. Risulta associato con l’insoddisfazione dal lavoro, con le ritorsioni, con le aggressioni sul lavoro, col basso impegno lavorativo ed i tentativi di evitamento del lavoro [20, 35, 36, 38]. Alcune ricerche suggeriscono che fattori associati con la percezione della giustizia, così come le discriminazioni subite, possono essere associati a fattori che influenzano la suscettibilità alle malattie, come l’aumento dei lipidi sierici e le sensazioni negative [40, 41].
È stato dimostrato che un basso livello di giustizia aumenta il rischio di esaurimento mentale, di disturbi psichiatrici, di assenze per malattia e di cattiva salute percepita [16, 29, 29, 42]. Inoltre, gli studi epidemiologici suggeriscono che un basso livello di giustizia può contribuire alla comparsa di gravi problemi sanitari, come le malattie cardiovascolari [27] e il decesso per cause cardiovascolari [15].
Sono stati studiati anche i possibili meccanismi patogenetici che sottendono l’associazione tra giustizia lavorativa e salute. Come per molti altri fattori psicosociali, un meccanismo plausibile attraverso il quale l’ingiustizia organizzativa può danneggiare la salute è lo stress prolungato. L’ingiustizia percepita si associa con la comparsa di reazioni fisiologiche e comportamentali allo stress [13], come disturbi del sonno, alterazioni dell’omeostasi cardiovascolari e compromissione cognitiva.
L’infiammazione cronica fa parte del processo aterosclerotico e ha funzione predittiva in altre condizioni morbose come la malattia coronarica e alcune malattie muscolo scheletriche. Sulla base dei risultati di Elovainio e coll. [14] l’ingiustizia organizzativa è associata con un aumento di lungo termine dei marker di infiammazione, come l’interleuchina-6 e la proteina-C-reattiva. Questi risultati derivano dal Whitehall II, uno studio prospettico di quasi 5000 dipendenti pubblici britannici di età compresa tra 35 e 55 anni all’inizio dello studio. L’associazione si è rivelata indipendente dall’effetto di covariate come l’età, il grado gerarchico, l’indice di massa corporea e la presenza di sintomi depressivi.
È stato anche osservato che i lavoratori che operano in un clima di bassa giustizia organizzativa hanno un rischio relativo compreso tra 3,8 e 5,8 di sviluppare una maggiore variabilità pressoria sistolica a bassi regimi rispetto a coloro che percepiscono elevati livelli di giustizia organizzativa [15]. Coloro che percepiscono ingiustizia organizzativa hanno anche un eccesso dell’80% del rischio di presentare bassa variabilità della frequenza cardiaca agli alti regimi, anche se questa differenza non raggiunge la significatività statistica. Queste osservazioni suggeriscono che l’alterazione della regolazione della frequenza cardiaca possa essere uno dei meccanismi attraverso i quali la percezione di scarsa giustizia nelle procedure decisionali e nel trattamento interpersonale aumenta i rischi per la salute.
I disturbi del sonno sono un altro indicatore di stress protratto, indicatore di stati emozionali negativi e delle alterazioni fisiologiche correlate. Il sonno rappresenta il processo giornaliero di restituzione e recupero e la mancanza di sonno interferisce col sistema immunitario ed il metabolismo. Elovainio e coll. [11] hanno dimostrato che la percezione di un trattamento iniquo sul luogo di lavoro si associa con un peggioramento della qualità del sonno sia negli uomini che nelle donne. Pertanto è stato osservato che uno dei possibili meccanismi attraverso i quali l’ingiustizia nel luogo di lavoro può danneggiare la salute è la cattiva qualità del sonno [17].
È stato anche osservato, sulla base dei dati della coorte Whitehall II, che la percezione di un basso livello di giustizia organizzativa è associato con una compromissione delle funzioni cognitive, come memoria, ragionamento induttivo e vocabolario, già nelle età di mezzo [11]. Queste associazioni sono indipendenti dall’effetto di covariate, come età, livello gerarchico, rischi comportamentali, depressione, ipertensione e stress da lavoro.
L’idea che la percezione dell’ingiustizia sia causata dalla discrepanza tra sforzi e ricompense, ricorda le assunzioni che stanno alla base della classica teoria dello stress [51]. Una recente spiegazione dei forti effetti dell’esperienza di ingiustizia organizzativa sulle reazioni degli individui è stata proposta da van den Bos e coll. [49]. Questi autori ritengono che una corretta organizzazione aiuti i lavoratori a confrontarsi con situazioni di incertezza. Questo modello è basato sulla teoria della correttez...

Table of contents

  1. Indice
  2. Capitolo 1 Il benessere dal lavoro
  3. Capitolo 2 Giustizia organizzativa e salute: una analisi dell’evidenza scientifica
  4. Capitolo 3 Come cambia il lavoro nella società della conoscenza
  5. Capitolo 4 Il benessere lavorativo: evoluzione dell’atteggiamento del legislatore
  6. Capitolo 5 Misurare il benessere e lo stress lavoro-correlato
  7. Capitolo 6 I rischi psicosociali nel mondo del lavoro
  8. Capitolo 7 Esperienze di valutazione dello stress lavoro correlato
  9. Capitolo 8 I questionari per lo studio del benessere e la loro elaborazione
  10. Capitolo 9 Il job content questionnaire di Karasek
  11. Capitolo 10 Il questionario eri (effort-reward imbalance) di Siegrist
  12. Capitolo 11Il questionario di Warr sulla soddisfazione dal lavoro
  13. Capitolo 12 Il General Health Questionnaire di Goldberg
  14. Capitolo 13 La scala di ansia e depressione di Goldberg