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Dieci domande sull'orientamento
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Nel volume di Maria R. Mancinelli sono riportati alcuni appunti sull'orientamento, sintesi di conoscenze e di esperienze professionali di molti anni, che vogliono costituire un primo approccio al tema, o meglio, l'inizio di un percorso di approfondimento per chi è interessato all'argomento.
Sono qui poste alcune domande di base, le cui risposte non sono definitive ed esaustive dell'argomento, ma possono costituire il punto di partenza di un percorso e un invito ad andare avanti nella conoscenza e nella sperimentazione creando delle relazioni che abbiano senso per ognuno. Ogni argomento, infatti, rimanda e si collega ad altri ed è suscettibile di ulteriori ampliamenti teorici e applicativi.
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Information
Topic
DidatticaCAPITOLO 1
Cosa significa ‘orientamento’?
1.1 Orientarsi e orientare
Il termine orientamento deriva da ‘oriente’, uno dei quattro punti cardinali corrispondenti alla direzione dalla quale sorge il sole. I grandi viaggiatori come Marco Polo si diressero verso oriente, i Crociati andarono ad oriente verso la Terra Santa, i Greci e i Romani edificarono i templi con la facciata rivolta verso oriente.
‘Oriente’ è un vocabolo ricco di significato per l’uomo, in quanto implica il suo rapporto con il nascere del giorno, con il viaggio, con la conoscenza, con la diversità delle culture, con il trascendente.
Orientarsi significa quindi determinare la propria posizione o direzione, rispetto ai punti cardinali o a convenienti punti di riferimento. La persona ha bisogno di sapersi orientare soprattutto nei momenti di cambiamento e d’impatto con una situazione o un’esperienza diversa e nei momenti di scelta, quando si richiede una presa di decisione fra possibili alternative.
Orientare vuol dire indicare, tra le varie vie o direzioni percorribili, quella che è più conveniente per raggiungere una determinata meta. L’individuo ha quindi bisogno di avere a disposizione punti di riferimento che gli indichino la strada più giusta da percorrere.
L’orientamento, come teoria e pratica professionale specifica, ha una lunga storia, che copre un arco di tempo di circa un secolo. Generalmente si fa risalire l’inizio ai primi anni del ’900 quando, negli Stati Uniti, venne pubblicato il libro di Parsons Change e i primi Vocational Bureau iniziarono la loro attività . In tutto questo tempo l’orientamento è cambiato, è diventato più complesso e articolato, investe il mondo della formazione e del lavoro, si rivolge non solo ai giovani ma anche agli adulti, utilizza metodi e strumenti diversi e principi teorici interdisciplinari, fa tesoro dell’esperienza del passato ma cerca costantemente di rispondere ai bisogni sempre più pressanti dell’attuale contesto storico e sociale.
Anche la figura dell’orientatore è cambiata, ha assunto ruoli e funzioni diverse ma resta per alcuni versi indefinita. Sembra ancora oscillare tra due poli: da una parte l’esperto che interviene una tantum nei momenti di scelta e di presa di decisione scolastico-professionale e dall’altra l’operatore che mette in atto una serie di azioni di carattere essenzialmente formativo allo scopo di sviluppare competenze orientative. Il dibattito attuale sulla figura professionale dell’orientatore cerca di darne una definizione ben precisa, fissando ruoli, competenze comuni e specializzazioni diversificate.
‘Fare orientamento’ è un percorso sempre più complesso e impegnativo, ma senza dubbio necessario ad una vasta gamma di utenti che vivono in una società soggetta a continui e profondi cambiamenti. Ogni cambiamento, ogni problema, ogni risposta a tali bisogni suscita inevitabilmente nuovi interrogativi, stimola la ricerca di nuove soluzioni e di nuove strade da percorrere. È un percorso che non ha un termine e che coinvolge gli operatori così come gli utenti, impegnati a capire se stessi e la realtà , a inserirsi in essa e a trasformarla. È un percorso affascinante, ma anche difficile: è difficile comprendere la molteplicità e complessità dei bisogni degli utenti; è difficile dare risposte orientative adeguate; è difficile far comprendere agli individui, inseriti in una cultura della soddisfazione immediata dei bisogni, che occorre del tempo per apprendere e sviluppare competenze orientative; è difficile far loro accettare il dubbio, l’incertezza, il rischio che ogni presa di decisione comporta e l’idea delle costruzione lunga e provvisoria del proprio progetto professionale unitamente all’esigenza di una verifica con la realtà . Soprattutto è difficile stimolare il ‘piacere di apprendere’ nuove competenze, non solo durante il periodo della scolarizzazione, ma nel corso di tutta la vita.
Per raggiungere questi obiettivi è indispensabile la collaborazione tra orientatore e utente, e anche questa non è facile da stabilire. Gli utenti, più o meno giovani, non partono da zero. Hanno acquisito conoscenze, esperienze, convinzioni, valori di cui bisogna tener conto e da cui bisogna partire per costruire nuove competenze. Le capacità dell’individuo devono essere sollecitate nelle situazioni complesse e nei problemi da risolvere, in modo che ognuno possa prendere coscienza di se stesso e degli altri e impegnarsi con maggiore serenità nel proprio cambiamento. Affinché gli individui possano rendersi autonomi in questo processo, l’operatore deve imparare ad essere presente in modo diverso. Non è colui che controlla e decide, ma colui che ascolta e osserva ciò che succede nell’altro, risponde alle domande e sollecita le risposte, aiuta nelle difficoltà e nel superamento degli ostacoli, interviene nel risolvere una contraddizione, nel fare precisazioni, nel dare spiegazioni, ma soprattutto nel fare in modo che l’individuo attivi un processo di ricerca autonoma di soluzione al suo problema o anche di formulazione di una ipotesi provvisoria che lo guidi nell’affrontare autonomamente la situazione in cui si trova.
L’orientatore quindi non dà mai un consiglio preciso, una risposta definitiva, ma stimola la ricerca, la riflessione e la verifica, organizza il confronto, facilita una conclusione che può essere anche messa in discussione in seguito. È molto presente nella costruzione e nell’organizzazione delle attività che consentono agli individui di apprendere, ma il suo obiettivo è fare in modo che, poco a poco, gli individui imparino ad apprendere e a decidere da soli. L’orientatore, seguendo un’ottica essenzialmente formativa, deve sempre più focalizzarsi sullo sviluppo di competenze orientative, che saranno riprese e contestualizzate nei singoli insegnamenti durante il periodo scolastico e nelle singole attività professionali durante il periodo lavorativo.
Date queste premesse, per riuscire a individuare e definire in modo più chiaro i diversi aspetti dell’orientamento, sia da un punto di vista concettuale che applicativo, è necessario andare indietro nel tempo e considerare brevemente le sue radici storiche e le conseguenti implicazioni teoriche e operative che ne sono derivate.
1.2 Uno sguardo alla storia
L’orientamento è nato, sia come formulazione teorica sia come proposta operativa, agli inizi del XX secolo negli USA con la pubblicazione nel 1909 del libro di Parsons in cui venivano trattati soprattutto problemi di scelta professionale, di preparazione e di collocamento nel mondo del lavoro. Dal punto di vista storico-sociale, l’orientamento si pone come risposta alle necessità della società del tempo caratterizzata da due fondamentali eventi storico-economici: la rivoluzione industriale, che modificò radicalmente il sistema produttivo e quindi le competenze richieste a coloro che dovevano inserirsi nel mondo del lavoro e la vasta ondata di immigrazioni che, soprattutto dall’Europa, aveva invaso gli Stati Uniti.
Negli anni precedenti, e in particolare fino agli inizi del ’900, il problema formativo e professionale veniva affrontato nell’ambito della famiglia che, tra gli altri compiti, aveva anche quello di tramandare il lavoro da una generazione all’altra, fornendo le competenze necessarie per svolgerlo. L’orientamento spontaneo della famiglia fu superato con l’avvento della rivoluzione industriale che determinò notevoli cambiamenti a livello sociale, tecnologico e formativo. Con l’introduzione delle macchine nel processo lavorativo, la produzione, prima dispersa tra i vari artigiani, fu concentrata nella realtà organizzata della fabbrica, alimentando da un lato l’inurbamento della popolazione contadina e dall’altro un cambiamento nel sistema di vita famigliare, favorendo una sempre più netta differenziazione di ruoli professionali nell’ambito del sistema lavorativo. La crescente ricerca di lavoratori professionalmente preparati per le nuove mansioni del sistema produttivo rese necessario un sistema di orientamento dei giovani come pratica professionale e non più come funzione famigliare. Questo determinò la nascita dei primi servizi di orientamento professionale che avevano come scopo fondamentale quello di aiutare gli immigrati arrivati dall’Europa, ma anche i cittadini americani provenienti dalle zone rurali degli USA, ad uscire dallo stato di indigenza o di emarginazione in cui si trovavano per inserirsi nel nuovo sistema industriale (Gysbergs - Heppner - Johnston, 2001).
Le prime azioni orientative si svilupparono quindi all’inizio del ’900 e andarono progressivamente modificandosi nel corso degli anni, assumendo di volta in volta caratteristiche e funzioni diverse in rapporto ai cambiamenti socioeconomici, ma anche allo sviluppo delle scienze umane (psicologia e sociologia in particolare). A seconda del prevalere di idee e di indirizzi culturali e politici diversi emersero definizioni diverse che, di conseguenza, diedero origine a modalità applicative differenziate.
Considerando complessivamente l’evoluzione dei principi teorici e metodologici dell’orientamento è possibile distinguere quattro fasi fondamentali (Scarpellini - Strologo, 1976; Pombeni, 1996) definite come:
• Fase diagnostico-attitudinale;
• Fase caratterologico-affettiva;
• Fase clinico-diagnostica;
• Fase maturativo-personale.
Fase diagnostico-attitudinale
La prima fase dell’orientamento, definita ‘diagnostico-attitudinale’, si basava sul rapporto tra il possesso di determinate attitudini da parte di un individuo e le esigenze richieste per svolgere una determinata professione. Tutto questo corrispondeva al bisogno della società di un migliore utilizzo della forza lavoro ...
Table of contents
- Indice
- Introduzione
- CAPITOLO 1 Cosa significa ‘orientamento’?
- CAPITOLO 2 Cosa si intende oggi per orientamento?
- CAPITOLO 3 Quali sono i principi teorici di riferimento?
- CAPITOLO 4 Quando e dove si fa orientamento?
- CAPITOLO 5 Da chi viene messo in pratica?
- CAPITOLO 6 A chi si rivolge?
- CAPITOLO 7 Come si realizza?
- CAPITOLO 8 Quali sono le componenti fondamentali?
- CAPITOLO 9 Come si progetta un intervento orientativo?
- CAPITOLO 10 Quali strumenti si utilizzano?
- Bibliografia