Capitolo settimo
L’indeterminismo
nella meccanica quantistica
Un momento di grave crisi dell’ideale deterministico nella scienza è rappresentato dalla cosiddetta meccanica quantistica, la teoria del mondo dell’atomo elaborata nei suoi tratti fondamentali nel corso dei primi tre decenni del Novecento. Tralasciamo completamente la storia della cosiddetta “vecchia meccanica quantistica”, incentrata sul modello atomico di Bohr, per concentrarci sulla “nuova meccanica”, che prese origine dall’idea di associare tra di loro due concetti ritenuti antitetici nella scienza precedente, il concetto di onda e quello di corpuscolo. Da questa associazione nacque l’indeterminismo.
1. Il principio di indeterminazione
La teoria che prese corpo attorno alla metà degli anni Venti si caratterizzava per essere probabilistica. La teoria, allorquando vuole fare qualche affermazione empiricamente verificabile, è in grado di compiere solamente stime probabilistiche del comportamento di un sistema, assegnando agli esiti di possibili misurazioni valori medi, scarti quadratici, probabilità di ottenere un determinato risultato. Queste previsioni statistiche possono essere controllate compiendo un gran numero di esperienze ripetute, mentre è insensato confrontarle con una singola esperienza. La teoria si esprime mediante leggi statistiche, mentre al comportamento di un singolo sistema non viene imposto alcun obbligo. I sistemi quantistici hanno, secondo quel che ne dice la teoria, un comportamento non rigidamente determinato, sfuggono al nesso causale rigido che è invece sempre operante nella descrizione del mondo propria delle leggi della fisica classica. Il principio quantistico che esprime in maniera esplicita il carattere probabilistico della teoria è il celeberrimo principio di indeterminazione enunciato da Heisenberg nel 1927. Vediamo brevemente in che modo tale principio è sorto e quali discussioni ha sollevato.
Occorre partire dal lavoro di De Broglie del 1923, nel quale era stata introdotta l’idea che una particella fosse sede di un fenomeno periodico interno, una entità ondulatoria che De Broglie aveva dichiarato fittizia, definendola “un’onda fittizia associata al movimento del mobile”. Sulla base di quest’onda cui non veniva attribuita alcuna interpretazione fisica, De Broglie aveva dimostrato (tra l’altro) come potesse essere spiegata l’idea di quantizzazione dell’energia di sistemi come un elettrone rotante attorno ad un centro, cioè il cuore dell’atomo di Bohr. Bohr nel proprio modello atomico del 1913 aveva introdotto come un postulato che per un elettrone rotante attorno al nucleo, fossero possibili solo orbite caratterizzate da particolari valori di energia e fossero invece vietate orbite con valori energetici intermedi. Nel modello di Bohr l’energia di un elettrone che passi da un’orbita all’altra varia in maniera discontinua, per quanti. Con la propria proposta De Broglie era in grado di spiegare per quale motivo l’elettrone dovesse muoversi solo su determinate orbite, tra tutte quelle permesse classicamente. De Broglie ammetteva che la definizione dell’onda introdotta rimaneva nel vago “così che la presente teoria deve essere considerata come uno schema formale il cui contenuto fisico non è pienamente determinato, piuttosto che una dottrina omogenea definitivamente costituita”.
Se De Broglie non credeva nella realtà fisica della nuova onda da lui proposta, ed era propenso a ritenerla un artificio calcolistico, Erwin Schroedinger assunse una posizione differente. Nel suo primo articolo del 1926, nel quale ottenne le regole di quantizzazione dell’energia di Bohr per l’atomo di idrogeno partendo dall’equazione (detta poi di Schroedinger) cui deve soddisfare una non ben definita entità ondulatoria Y, egli fu prudente nell’interpretazione fisica: “Si può naturalmente essere tentati di associare la funzione Y con un processo vibratorio interno all’atomo, un processo forse più reale delle orbite elettroniche la cui realtà è stata molto discussa in questi ultimi tempi. Originariamente anch’io intendevo porre in questa maniera più intuitiva la fondazione della nuova formulazione delle condizioni quantiche. Successivamente ho però preferito presentarla in una forma matematica neutrale, perché essa espone più chiaramente il punto essenziale”. Successivamente Schroedinger si spinse più avanti, fornendo una interpretazione fisica della Y: il modulo al quadrato della Y rappresenta la densità di carica elettrica distribuita nello spazio. L’elettrone appare dunque non più come una carica puntiforme, ma una carica distribuita nello spazio, perde la sua natura corpuscolare per diventare un pacchetto d’onde. Questi pacchetti d’onde per approssimare una particella dovevano essere molto ristretti spazialmente, ma sono pur sempre delle onde. Schroedinger si rendeva ben conto che una simile interpretazione fisica andava incontro a molte difficoltà: ad esempio la Y è definita nello spazio delle configurazioni, che coincide con lo spazio tridimensionale solo nel caso si stia trattando un sistema composto da una sola particella, diventa uno spazio a 6 dimensioni per un sistema di due particelle, ecc., dunque è difficile concepire la Y come se descrivesse sempre qualcosa di reale che accade nello spazio tridimensionale. Inoltre fu presto chiaro che un pacchetto d’onde, che per rappresentare qualcosa di simile ad una particella deve avere dimensioni ristrette, con il passare del tempo è destinato ad espandersi indefinitamente, a sparpagliarsi. L’elettrone, dunque, parrebbe destinato a spalmarsi su distanze sempre crescenti.
Schroedinger applicò inizialmente la propria teoria fondamentalmente allo studio della quantizzazione dei livelli energetici in vari sistemi, per spiegare quanto era spiegato dalla vecchia meccanica quantistica per mezzo di quelli che egli definiva i “dannati salti quantici”, dunque ad un genere di problemi in cui non emerge con chiarezza l’aspetto corpuscolare, ma nei quali si considera piuttosto l’energia del sistema e aspetti quali frequenze della radiazione e sua intensità, cioè concetti collocabili nell’orizzonte teorico proprio delle onde. Di diverso genere erano invece le ricerche che nel 1926 stava conducendo Max Born, il quale si occupava di fenomeni di collisione tra particelle (come elettroni o particelle γ) ed atomi. Ogni esperimento di questo genere gli appariva come “una nuova prova della natura corpuscolare dell’elettrone”. Convinto, anzi sempre più convinto corpuscolarista, Born non poteva ac...