Capitolo 1
L’evoluzione di un pensiero giuslavorista
Non si può racchiudere la vita di un uomo in un racconto.
Non è possibile dare ad ogni anno il proprio spazio, includere ogni evento,
ogni persona che ha dato forma ad una vita.
Si può essere fedeli in spirito alla storia
e cercare la strada che porta al cuore dell’uomo.
Richard Attenborough
Tra i caratteri costanti della vita umana organizzata in una società vi è l’attività lavorativa. Un’attività mutevole a seconda della complessità dell’aggregato sociale, del tipo di tecnologia disponibile, degli elementi culturali e dei modelli economici esistenti, in un rapporto di reciproca dipendenza.
La cultura dominante di una comunità possiede una notevole capacità d’influenza nell’individuazione della tipologia di attività concepita come lavorativa e del significato che le viene attribuito. Nelle diverse epoche della storia umana, infatti, il lavoro è stato oggetto di studio da un punto di vista teologico, antropologico, politico-sociale e storico, ed ognuno di questi approcci ha contribuito alla costruzione di ‘lenti’ attraverso cui vedere ed interpretare tale attività umana. A riprova di quanto appena detto, vale la pena soffermarsi per un attimo su ciò che si intende con il termine ‘lavoro’. Solitamente l’utilizzo della parola ‘mestiere’ si riferisce implicitamente all’associazione tra un’attività svolta e la sua monetizzazione. Per tal motivo risulta difficile avere la stessa considerazione che si ha verso l’impegno per, ad esempio, l’educazione di un figlio dall’infanzia all’età adulta, o per le azioni che si compiono quotidianamente per la sussistenza, oppure per le attività svolte volontariamente senza un ritorno economico, come l’impegno in associazioni di volontariato, la partecipazione alle iniziative di un movimento o di un partito politico. Tuttavia, nella sociologia del lavoro è possibile trovare una definizione più ampia del termine. Il ‘lavoro’ viene inteso “come un’attività intenzionalmente diretta, mediante un certo dispendio di tempo e di energia, a modificare in un determinato momento le proprietà di una qualsiasi risorsa materiale […] o simbolica […] onde accrescerne l’utilità per sé o per gli altri, col fine ultimo di trarre da ciò, in via mediata o immediata, dei mezzi di sussistenza.” Il ‘lavoro’ risulta così essere uno degli agenti di cambiamento più rilevanti della vita umana i cui effetti, quali la creazione di elementi di cultura materiale e non materiale, o la modificazione degli elementi naturali, rappresentano una delle maggiori cause dell’evoluzione sociale. Il lavoro, quindi, rappresenta qualcosa di più di un semplice modo per ‘guadagnarsi da vivere’, se così non fosse difficilmente potremmo spiegare le sensazioni di smarrimento e privazione che molti provano al momento del raggiungimento dell’età pensionabile.
A tal proposito, si considerino i diversi studi susseguitisi nel corso del XVIII secolo, nell’ambito sociologico e in quello della psicologia del lavoro, sulle conseguenze derivanti dal lavoro e sulle motivazioni e i bisogni che spingono una persona verso di esso, lo stimolo ad una maggiore o minore produttività che ne può derivare e lo status sociale conferito a determinate professioni. Le analisi di Adam Ferguson nel Saggio sulla storia della società civile del 1767, ad esempio, denunziavano le disparità di condizioni e l’ineguale coltivazione della mente dovuta alla differenziazione e separazione di arti e professioni.
Come dimenticare, inoltre, a distanza di un secolo dall’opera appena citata, le analisi di Karl Marx, nel primo libro de Il Capitale, sul progresso della divisione del lavoro nella manifattura in rapporto alla divisione del lavoro nella società ed alle conseguenze di tale sistema sulle capacità dell’operaio; oppure, i Grundzüge der Psychotechnik di Hugo Muensterberg, psicologo tedesco stabilitosi negli Stati Uniti, padre della ‘psicotecnica industriale’, avente come fine quello di ridurre le conseguenze psicofisiche derivanti dalla parcellizzazione del lavoro.
All’interno dei progetti di studio aventi come oggetto di analisi i problemi psicologici connessi all’attività lavorativa si ricordi il Centro di psicologia del lavoro presso il complesso industriale ‘Olivetti’ di Ivrea, voluto e creato da Adriano Olivetti, presidente della omonima Società, nell’ambito di un progetto globale di rinnovamento dell’azienda. Nel 1942 Olivetti, che nutriva un vivo interesse per la psicologia, dopo aver preso contatto con vari studiosi italiani per realizzare questo centro, affidò la direzione del progetto a Cesare Musatti. L’obiettivo di Olivetti, condiviso da Musatti, non era quello di creare un laboratorio di psicotecnica diretto alla selezione psicomotoria del personale mediante l’impiego di test attitudinali, ma quello di avviare una vera e propria attività di psicologia industriale, intesa come applicazione della psicologia sperimentale e clinica allo studio delle condizioni oggettive del lavoro e della situazione soggettiva del lavoratore.
Tra le teorie sviluppatesi all’inizio del XX secolo, che pongono in evidenza l’importanza delle relazioni interpersonali all’interno dell’ambiente lavorativo, indicandole come fattori rilevanti per il livello di produttività e soddisfazione dei lavoratori, ritroviamo le ricerche dirette da Elton Mayo nelle officine di Hawthorne della Western Electric Company, che segnano le origini della scuola delle ‘relazioni umane’. La teoria di Mayo verrà seguita dalle teorie delle ‘neo relazioni umane’, che si differenzieranno sia dall’impostazione delle teorie classiche (nel riconoscimento dei bisogni economici del lavoratore) sia dalla stessa corrente delle relazioni umane. Tra i rappresentanti più noti di tale scuola si possono ricordare Abraham Maslow, con la sua nota piramide dei bisogni, e Frederick Irving Herzberg con il suo modello dei fattori igienici e motivanti (teoria dei due fattori). Infine, le ‘teorie ad orientamento diagnostico’ sviluppatesi a partire dagli anni Sessanta del XX secolo in poi quali, ad esempio, la ’analisi strategica’ di Michel Crozier, quella ‘culturale’ di Edgar Schein, la ‘teoria delle contingenze’ e i ‘modelli sistemici’.
Si noti come le molteplici analisi scientifiche appena elencate, susseguitesi nel tempo, evidenzino la complessità della struttura lavorativa oltre alle interdipendenze presenti tra la struttura socio-economica e le diverse dimensioni sociali e psicologiche dell’individuo. I suddetti elementi ci permettono di cogliere il carattere vario e articolato di tale attività, che spesso costringe, ai fini di una sua maggiore comprensione, all’uso ...