Marxismo e Anarchismo
di Gian Mario Bravo
«La libertà del popolo non è la mia libertà», scriveva nel 1844 Max Stirner: e sul tema, cosi enunciato o meglio specificato in seguito, verterà il conflitto, durato quasi un secolo e mezzo e tuttora attuale, tra i fautori di una libertà collettiva e coloro che mirarono alla liberazione del singolo, da una parte fra i socialisti e comunisti, e dall’altra fra tutti coloro che genericamente possono esser definiti anarchici o antiautoritari. Ed è evidente che la liberazione collettiva ha ottenuto uno sbocco (ovvero una proposta di sbocco) nella «classe» operaia, e quindi nel movimento di classe, mentre l’aspirazione libertaria individuale ha piuttosto rappresentato una semplice brama, un’ansia e una tendenza, tipici di un’altra «classe» la piccola borghesia, mossa nei suoi intenti non tanto da una visione sociale quanto da «bisogni» di ordine intellettuale, psicologico, morale. Donde, anche, il giudizio sull’«irrazionalismo» di tutta la problematica dell’antiautoritarismo, cosi com’è andata sviluppandosi nel movimento anarchico, dalla fine del Settecento, da William Godwin, poi attraverso Proudhon, Bakunin, Kropotkin, giungendo fino ai più recenti epigoni del movimento stesso, si riconoscano costoro o no con le strutture ufficiali di esso. Il marxismo – nell’ambito del socialismo e del movimento operaio, ma anche al di fuori di essi – ha sempre dovuto fare i conti con molteplici correnti eversive, che apparentemente lo attaccavano da sinistra (ovvero anche da destra, sul piano della democrazia), ma che da una parte erano disgregatrici, e piccolo-borghesi dall’altra. Questo avvenne fin dai primi anni di attività di Marx e di Engels, a partire proprio dalle polemiche violentissime contro Stirner (nell’Ideologia tedesca) e contro Proudhon (nella Miseria della filosofia), per passare poi alle diatribe contro i vari «avventurismi» e «avventurieri», e arrivare dipoi a Bakunin e via via a Lenin.
L’anarchismo deve venir concepito non tanto come corrente immediatamente precisabile, organizzata o non-organizzata, ma comunque subito identificabile sia storicamente sia nel tempo presente, quanto come prospettiva ideologica, o intellettuale o d’azione, che si è contrapposta non criticamente ma sostitutivamente al marxismo, anteponendo alle affermazioni classistiche e rivoluzionarie di questo la volontà a-classistica del richiamo alle masse e l’asserzione a-rivoluzionaria della necessità immediata della ribellione contro il sistema. Per raggiungere tali obiettivi ha fatto leva su tutti quegli elementi (di origine tipicamente intellettuale e trasferiti meccanicamente e dall’alto a una realtà sociale), che risultano esser stati ed essere la maggior forza disgregatrice del movimento operaio e socialista: lo spontaneismo (staccato da ogni contesto di interpretazione marxistica), il volontarismo (inteso come forza predominante), il movimentismo (implicante il rifiuto, almeno implicito, di ogni forma di organizzazione), l’astratto insurrezionismo o ribellismo.
In questo quadro, discutere del rapporto fra marxismo e anarchismo non vuol dire seguire gli sviluppi di una polemica «storica», per cui invero si ha a disposizione un’ampia documentazione, quanto vedere il pericolo rappresentato in ogni tempo per il movimento operaio e socialista da quelle correnti, che oggi in qualche modo e in senso lato si possono raggruppare sotto la denominazione di «anarchismo». In una tale visuale, allorché si tiene presente l’insegnamento di Lenin, gli anarchici odierni non sono dei «residuati storici» (come spesso vengono rappresentati), ma si immedesimano piuttosto con gli estremisti di ogni tempo, i quali si riferiscono non a situazioni oggettive ma piuttosto ad analisi irrazionalistiche delle condizioni sociali del presente, non tenendo in alcun conto il rapporto mezzi-tattica-obiettivi: cioè, sono degli idealisti, in buona o cattiva fede a seconda dei casi.
Oggi, nell’attuale fase di sviluppo del capitalismo, sempre diverso nel suo affacciarsi pur nell’immutabilità della sua identità, si ripresenta con tutta la sua forza l’«utopia libertaria», non tanto per ampliare o rassodare quanto il socialismo ha già conquistato o vuole ottenere, ma contrapponendosi alternativamente agli scopi del socialismo stesso e del movimento operaio: acquistano perciò attualità straordinaria e validità generale quei testi di Marx e di Engels, di rifiuto polemico o critico nei confronti degli anarchici del loro tempo, fossero costoro uno Stirner, o un Proudhon o, negli anni della Prima Internazionale, un Bakunin temi affrontati sono però quelli del presente: sta al marxismo ristudiarli, confrontarli con quelli «vecchi» combatterli con forza nuova. Certo infatti che il pericolo è oggi più grande che non ieri proprio per la diffusione e l’affermazione ottenuta dal socialismo classista marxista.
Il marxismo – intendendo con tale termine il corpo dottrinale dell’insegnamento di Marx e di Engels colle successive interpretazioni di Lenin – ha nei confronti del fenomeno che genericamente può essere definito l’anarchismo un duplice valore critico:
1.di rifiuto dell’anarchismo tradizionale, cioè di quei movimenti di rottura verticale nella classe operaia, che hanno cercato – per scopi reconditi e utopistici in pari tempo – di disgregarla dall’interno;
2.di ripulsa dell’antiautoritarismo astratto sorto nel mondo neocapitalistico, espressione di un tentativo di rottura operato dall’esterno, con evidenti scopi eversivi nei confronti dei movimenti organizzati di classe: è questo l’anarchismo non più sociale, bensì soprattutto intellettuale, al quale può attribuirsi la taccia d’essere l’espressione diretta delle insoddisfazioni piccolo-borghesi della nostra epoca, evidentemente in connessione diretta (immediata o soltanto mediata e talvolta anche inconsapevole) del neocapitalismo.
Si ha invece una differenziazione formale, e non sostanziale, fra Marx ed Engels da una parte, e Lenin dall’altra: l’attenzione dei primi fu sollevata dagli anarchici tradizionali soprattutto, e specie da Bakunin; la polemica del marxismo-leninismo è invece indirizzata contro ogni deviazione estremistica e infantilistica. Ciò non toglie, però, che proprio Lenin abbia dimostrato che Marx ed Engels con l’anarchismo condannarono anche ogni estremismo e ogni minoritarismo velleitari.
La contrapposizione, anche violenta, fra marxismo e anarchismo esplose specie dopo la Commune, benché tutti i motivi ideologici e politici di essa possano ritrovarsi non soltanto negli anni immediatamente precedenti, ma anche parecchi decenni avanti. Infatti dopo una lunga gestazione, per opera soprattutto di Marx e di Engels, i quali traevano le conclusioni dalla partecipazione a un movimento ormai quasi trentennale, col 1871 si presentarono le condizioni ideali e organizzative entro le quali poterono successivamente costituirsi e svilupparsi i partiti socialisti della classe operaia. Il processo politico prese l’avvio precisamente con la Commune. Dopo di essa, nel movimento operaio cominciò il periodo dello sviluppo del marxismo «in larghezza», nel quale le forze del proletariato internazionale andarono cristallizzandosi e concentrandosi sempre più.
Sono ben noti i giudizi positivi e apprezzativi di Marx sulla Commune nella Guerra civile in Francia, dello stesso 1871: essi vennero ribaditi meno di un anno più tardi dallo stesso Marx, allorché questi volle celebrare brevemente il «18 marzo 1871», dicendo che la Commune era stata l’«aurora della grande rivoluzione sociale», che avrebbe «liberato per sempre gli uomini dal regime di classe». E ancora:
Essa dichiara che le...